Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 21/6/2024 la Corte di appello di Roma ha parzialmente riformato la sentenza del GIP del Tribunale di Roma in data 3/10/2023 che, in esito a giudizio abbreviato, aveva condannato, per qual che qui interessa, Ci.Ro. per più episodi di estorsione e minaccia aggravati dal metodo mafioso e Ia.Fr. per il delitto di estorsione aggravata dal metodo mafioso.
La Corte di appello, inoltre, ha assolto Ci.Ro. dai reati a lui ascritti ai capi 4) e 17) dell’imputazione, quest’ultimo con riferimento all’episodio di minaccia in danno di Sc.Ma., perché il fatto non sussiste; ha riqualificato i fatti di cui al capo 18) ai sensi dell’art. 581 cod. pen. e al capo 19) ai sensi dell’art. 610 cod. pen. escludendo, rispetto all’estorsione di cui al capo 19), l’aggravante del metodo mafioso rideterminando la pena in anni otto, mesi quattro e giorni venti di reclusione, oltre alla multa.
Quanto alla posizione di Ia.Fr., odierno ricorrente, la Corte di appello ha integralmente confermato la sentenza di primo grado che lo aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia in ordine al delitto di cui al capo 3).
2. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione Ci.Ro. il quale, tramite l’avv. Pietro Parente lamenta:
2.1.1. carenza ed illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen. in relazione al delitto di estorsione di cui capo 3). Ad avviso del ricorrente la riqualificazione del fatto estorsivo di cui al capo 2) in violenza privata, con esclusione, rispetto a detta fattispecie, dell’aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, avrebbe dovuto condurre la Corte di appello ad escludere (anche) in relazione al reato ritenuto più grave (capo 3): estorsione in danno di Co.Fa., l’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen. per l’assenza di minacce esplicite da parte del Ci.Ro., soggetto non appartenente ad un consorzio mafioso, il quale si era limitato a dichiarare il proprio nome e cognome (così per tutte le ipotesi estorsive aggravate dal metodo). Ad avviso del difensore la Corte di appello avrebbe reso, sul punto, una motivazione meramente apparente senza spiegare le ragioni per le quali ha ritenuto la fattispecie estorsiva dotata di maggiore forza intimidatrice.
2.1.2 violazione di legge in relazione all’art. 597 cod. proc. pen.
La Corte di appello nel ritenere più grave il delitto di cui al capo 3) ha rideterminato la pena partendo da una pena maggiore rispetto a quella inflitta a Ia.Fr., condannato per lo stesso reato, per il quale la pena è stata determinata partendo dal minimo edittale.
2.2.1. Con il ricorso a firma dell’avv. Andrea Palmiero si ribadiscono le medesime censure poc’anzi illustrate in merito alla sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso in relazione a tutti i reati per quali vi è stata condanna aggiungendo, quanto al capo 3), che Ci.Ro. non partecipò all’estorsione posta in essere, invero, solo da Pr.An. e, quanto al capo 33) (estorsione di danno di Zu.Ma.) che la motivazione sarebbe fondata sulle sole dichiarazioni della persona offesa, connotate da genericità e prive di riscontri oggettivi.
2.2.2. Con il secondo motivo, erroneamente rubricato come IV, il ricorrente eccepisce la nullità della sentenza per carenza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen., basata alla Corte di appello sul legame parentale di Ci.Ro. con soggetti appartenenti a contesti delinquenziali mafiosi e detenuti da tempo, senza considerare che l’imputato versava in condizioni economiche disperate, era stato assolto da diverse imputazioni vedendo così ridimensionata, nel complesso, la sua posizione. Tale circostanza avrebbe dovuto condurre la Corte di merito a riconoscere le attenuanti generiche in regime di prevalenza sulle aggravanti, come richiesto dal difensore, tanto più che il giudice di appello aveva riconosciuto la “banalità e modestia” di molte delle richieste estorsive.
2.3. Ia.Fr. con il primo motivo contesta l’affermazione di responsabilità per il delitto di estorsione in danno di Co.Fa. siccome basata sulle dichiarazioni della persona offesa e su quelle del coimputato Pr.An., divenuto collaboratore di giustizia i quali, tuttavia, non riferirono che Ia.Fr. partecipò alla richiesta estorsiva.
2.3.1. Deduce il ricorrente che Co.Fa. fece i nomi dei soli Ci.Ro. e Ci.Ma., quali soggetti che gli offrirono gli protezione all’interno del carcere ove si trovava detenuto, in cambio della corresponsione di Euro 2.000 e Pr.An. non disse che l’imputato era a conoscenza della pretesa estorsiva, né dell’ingiustizia del profitto.
2.3.2. Con il secondo motivo, connesso al primo, il ricorrente lamenta il vizio di motivazione non avendo la Corte di appello spiegato le ragioni della mancata riqualificazione del delitto di estorsione in quello di minaccia, posto che lo Ia.Fr. non era animato da fine di profitto, né in sentenza sono stati richiamati pregressi accordi dell’imputato con i correi ovvero accordi per la ripartizione dei profitti.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
2. Essi, pur avendo formalmente espresso censure riconducibili alle categorie del vizio di motivazione, in realtà, non lamentano una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica, ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata del materiale probatorio.
Il controllo di legittimità, tuttavia, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione; sicché il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di cassazione, alla quale, pertanto, è preclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217) 3. Partendo dai ricorsi di Ci.Ro., rileva il collegio che la doglianza di fondo sulla quale si concentrano, sia pure con differenti accenti, entrambi i difensori riguardante la sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso, contestata in maniera specifica con riferimento alle estorsioni di cui capi 3) e 33) e genericamente in relazione a tutti gli episodi per i quali il Ci.Ro. è stato condannato, è aspecifica.
3.1. La Corte di appello (cfr. pag. 12 e segg. della sentenza impugnata) con argomentazioni logico-giuridiche ineccepibili ha spiegato che la minaccia esercitata nei confronti di Co.Fa., avvocato di L, detenuto in carcere, consistita dapprima nell’accusarlo (Ia.Fr.) di avere arrecato nocumento ad un ragazzo che avrebbe dovuto risarcire e, qualche giorno dopo, direttamente da Ci.Ro., il quale “offrì” a Co.Fa., detenuto in carcere, protezione in cambio di denaro (euro 2000), non solo integrava gli estremi della estorsione, ma era dotata di particolare efficacia intimidatrice, come è tipico nel caso di utilizzo del metodo mafioso, posto che Ci.Ro. quando si presentò a Co.Fa. ci tenne a fargli sapere che era il figlio di Ci.Fe. detto “(Omissis)”, ben consapevole della caratura criminale della famiglia di appartenenza. La Corte di appello, al riguardo, ha ricordato che i membri delle famiglie (Omissis) sono stati condannati con sentenze definitive per il delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso e che lo stesso Co.Fa. riferì che il cognome dei (Omissis) era ben noto per essere i membri della famiglia, soggetti che esercitavano un notevole potere criminale in territorio pontino.
3.2. Quanto all’affermazione di responsabilità per l’estorsione aggravata in danno di Zu.Ma. (capo 33), la sentenza poggia sulle dichiarazioni della persona offesa – la cui attendibilità è stata approfonditamente vagliata dal giudicante che ha rilevato l’assenza di decisive contraddizioni o discrasie – la quale ha riferito che dovette rinunciare al compenso che gli spettava per la riparazione di una tenda presso un locale di L sottoposto alla protezione dei (Omissis), in quanto la richiesta proveniva da Ci.Ro. appartenente alla nota famiglia mafiosa di L.
3.3. In entrambe le ipotesi dunque (e in tutti i casi in cui è stata contestata l’aggravante del metodo mafioso) il giudicante ha valorizzato le modalità della richiesta estorsiva che sebbene non violente, presentavano una notevole carica intimidatoria in quanto promananti da un soggetto che si vantava di appartenere alla famiglia (Omissis), clan mafioso a base familiare dotato di riconosciuta fama criminale operante nel territorio pontino.
La Corte territoriale, sul punto, si è uniformata all’indirizzo giurisprudenziale che il collegio condivide, secondo cui integra la circostanza aggravante del metodo mafioso l’utilizzo di un messaggio intimidatorio anche silente, cioè privo di una esplicita richiesta, qualora l’associazione abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l’avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti di violenza o minaccia (Sez. 3, n. 44298 del 18/06/2019, Rv. 277182; Sez. 2, n. 26002 del 24/05/2018, Rv. 272884, Sez. 2, n. 20187 del 03/02/2015, Rv. 263570).
Nella realtà accade infatti, soprattutto nei territori in cui allignano consorterie di notoria fama criminale, che l’intimidazione è tale da non richiedere esplicitazioni plateali. L’aggravante del metodo mafioso, che riguarda le modalità della condotta, e non un fatto, è correlata, infatti, alla avvertita esigenza di prevedere un trattamento sanzionatorio più severo tutte le volte in cui l’evocazione della contiguità ad una organizzazione mafiosa pone la vittima in una condizione di soggezione ulteriore rispetto a quella solitamente derivata dalla condizione di vittima di estorsione (Sez. 2, n. 19245 del 30/3/2017, Rv. 269938).
Non occorre, dunque, che alla evocata contiguità corrisponda una concreta e verificata origine mafiosa della minaccia, dovendo il giudice viceversa limitarsi a controllare (nella verosimiglianza offerta dal dato dichiarativo) che quella evocazione sia effettivamente funzionale a creare nella vittima una condizione di assoggettamento particolare, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a dover fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che quelle di un criminale comune.
3.4. Nella fattispecie, le persone offese hanno dato conto proprio di questo timore ingenerato dalla spendita del nome, avendo il dichiarante avuto la percezione esatta del pericolo di doversi trovare a fronteggiare una agguerrita ed organizzata plurisoggettività, che delinque con metodo mafioso, piuttosto che lo sprovveduto criminale comune (Sez. 2, n. 39424 del 09/09/2019, Rv. 277222; Sez. 5, n. 14867 del 26/01/2021, Rv. 281027).
La Corte di appello ha congruamente valorizzato il radicamento territoriale che, alla stregua del dato normativo, è condizione imprescindibile del concreto esercizio della metodologia mafiosa in quanto proprio attraverso il controllo, stabile e duraturo, del contesto ambientale si creano le condizioni per l’efficace dispiegarsi dell’intimidazione e possono conseguirsi le condizioni di assoggettamento ed omertà che rendono pressocchè impermeabili intere comunità alle sollecitazioni istituzionali.
3.5. Il secondo motivo di ricorso proposto dall’avv. Parente che lamenta la violazione del divieto di reformatio in peius è manifestamente infondato.
Il giudice di appello ha proceduto alla ristrutturazione del reato continuato ritenendo il capo 3), reato più grave ed apportando per i restanti reati satellite aumenti contenuti, sino ad irrogare una pena complessivamente inferiore (anni otto, mesi quattro e giorni venti di reclusione) rispetto a quella inflitta dal primo giudice (anni nove reclusione oltre alla multa).
Intende il collegio ribadire il principio secondo cui non viola il divieto di “reformatio in peius” previsto dall’art. 597 cod. proc. pen. il giudice dell’impugnazione che, quando muta la struttura del reato continuato (come avviene se la regiudicanda satellite diviene quella più grave o cambia la qualificazione giuridica di quest’ultima), apporta per uno dei fatti unificati dall’identità del disegno criminoso un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore rispetto a quella inflitta dal primo giudice (Sez. U, n. 16208 del 27/03/2014, Rv. 258653; Sez. 2 n. 48538 del 21/10/2022 Rv. 284214). A ciò aggiungasi che la Corte di merito ha giustificando il differente trattamento sanzionatorio riservato a Ci.Ro., rispetto a Ia.Fr. concorrente nel reato di cui al capo 3), per la negativa personalità criminale dell’imputato.
4. I motivi di ricorso a firma dell’avv. Palmiero per Ci.Ro. sono parimenti inammissibili.
4.1. La difesa con argomentazioni in fatto, mette in discussione il coinvolgimento del ricorrente nel delitto di estorsione in danno di Co.Fa. laddove la Corte di appello ha diffusamente spiegato le ragioni del proprio convincimento circa la responsabilità di Ci.Ro. nell’estorsione in danno di Co.Fa., valorizzando le dichiarazioni della persona offesa rese il 14/6/2021 e quelle del collaboratore di giustizia Ri.Ag., in assenza di travisamenti della prova.
4.2. Allo stesso modo per quanto riguarda l’estorsione in danno di Zu.Ma. (capo 33), la censura è inammissibile perché aspecifica.
Il ricorrente come anticipato al punto 3.2., non si confronta con l’ampia motivazione riportata a pag. 24 della sentenza impugnata dovendosi qui ribadire che le dichiarazioni della persona offesa possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Rv. 253214).
4.3. Quanto all’aggravante del metodo mafioso si rinvia a quanto osservato al punto 3.3.
4.4. Con riferimento alla dosimetria della pena ed al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche si osserva che la motivazione appare tutt’altro che mancante, illogica o arbitraria avendo il giudice di appello valorizzato il grado di partecipazione dell’imputato alle vicende estorsive e sottolineato come lo stesso ne fosse il protagonista attivo, evidenziando anche la gravità dei fatti. Questi infatti, seppur modesti sotto in profilo strettamente economico, erano connotati da particolare gravità in quanto manifestazione della sistematica sopraffazione che l’imputato, in quanto appartenente ad una determinata famiglia, esercitava nei confronti dei suoi interlocutori. È stata poi rimarcata la caratura criminale dell’imputato, gravato da plurimi precedenti penali e sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale.
4.5. Il motivo sulla recidiva è inammissibile per carenza di interesse. Dalla sentenza risulta, infatti, che la recidiva è stata di fatto disapplicata (cfr. pag. 29 della sentenza impugnata).
5. Con riferimento a Ia.Fr. deve rilevarsi che entrambi i motivi, tra loro connessi, che contestano la correttezza della motivazione posta a base del giudizio di responsabilità, sono non consentiti perché attraverso apparenti censure legittimità mirano, in realtà, a sollecitare una rilettura del materiale probatorio, invero conformemente valutato nei due gradi di giudizio, in assenza di travisamenti.
5.1. La Corte di appello, con motivazione logicamente ineccepibile ha ritenuto Ia.Fr. partecipe dell’estorsione (pagg. 9 e 10 della sentenza impugnata) valorizzando le dichiarazioni della persona offesa Co.Fa., il quale riferì del collegamento percepito tra la minaccia esercitata dall’imputato e quella poi posta in essere da Ci.Ro.; e le dichiarazioni di Pr.An., correo, della cui attendibilità non si dubita, il quale disse chiaramente che l’intervento di Ia.Fr., consistito nell’esigere da Co.Fa., con fare minaccioso, un risarcimento non dovuto, era funzionale a che poi il Co.Fa., intimorito, accettasse la protezione di Ci.Ro. (cfr. anche pagg. 16-23 della sentenza di primo grado).
I giudici di merito hanno dunque fatto corretta applicazione del diritto vivente in tema di concorso di persone nel reato: la responsabilità di chi partecipa a un fatto criminoso presuppone che l’apporto di chi coopera sia stato prestato con consapevole volontà di contribuire, anche solo agevolandola, alla commissione del delitto; carattere decisivo riveste l’unitarietà del “fatto collettivo” realizzato, che si verifica quando le condotte dei concorrenti risultino, con giudizio di prognosi postuma, integrate in unico obiettivo, perseguito in varia e diversa misura dagli agenti (Sez. U, n. 31 del 22/11/2000, Rv.218525; Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, Rv. 277773; Sez. 2, n. 18745 del 15/01/2013, Rv. 255260). Pertanto, per la configurabilità del concorso di persone è necessario e sufficiente che il concorrente abbia posto in essere un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato.
Nel caso in esame la motivazione della sentenza impugnata non è affatto carente o contraddittoria, avendo i giudici di merito attribuito al ricorrente un contributo materiale nell’esecuzione dell’ estorsione in danno dell’avvocato Co.Fa., valorizzando prove dichiarative, pacificamente attendibili che davano conto della cadenza temporale delle due incursioni, susseguitisi in progressione criminosa, in un unico contesto, verso la stessa persona offesa, così da ritenere il fatto unitario.
La ricostruzione operata dai giudici di merito trova significativo riscontro nell’orientamento pacifico della giurisprudenza di legittimità che ravvisa un unico delitto di estorsione, pur in presenza di molteplici atti di minaccia, allorché gli stessi siano sorretti da un’unica e continua determinazione, che non registri sul piano della volontà interruzioni o desistenze (Sez. 2, n. 7555 del 22/01/2014, Rv. 258543; Sez. 2, n. 27314 del 05/06/2003, Rv. 225174; Sez. 6,n. 2070 del 10/11/1994, Rv. 200554).
5.2. Anche in punto di elemento soggettivo, la sentenza appare adeguatamente motivata dovendosi ricordare che in tema di concorso di persone nel reato, la responsabilità di chi coopera ad un fatto criminoso non presuppone la convergenza psicologica sull’evento finale perseguito da altro dei concorrenti, essendo sufficiente che il suo apporto sia stato prestato con consapevole volontà di contribuire, anche solo agevolandola, alla verificazione del fatto criminoso.
La Corte di appello, contrariamente a quanto si assume nel ricorso, ha correttamente applicato i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di dolo del reato concorsuale (Sez. 2, n. 44859 del 7/10/2019, Rv. 277773). In particolare ha sottolineato che le modalità del fatto dimostravano che Ia.Fr. avesse agito nella consapevolezza della condotta altrui. Egli, infatti, fu inviato dal correo Pr.An. ad esercitare la pretesa risarcitoria, palesemente infondata, poco prima dell’intervento del Ci.Ro., al fine di creare nella persona offesa quello stato di soggezione psicologica che serviva a fargli accettare la proposta di protezione che i correi di lì a poco gli avrebbero fatto (pag. 10 della sentenza impugnata). Appare dunque irrilevante che Ia.Fr. non abbia conseguito dall’operazione un vantaggio di tipo economico avendo comunque contribuito, con il suo apporto, alla verificazione del fatto criminoso dovendosi ricordare che l’ingiusto profitto cui deve essere finalizzata la condotta dell’agente si individua in qualsiasi vantaggio, non solo di tipo economico, che l’autore intenda conseguire e che non si collega ad un diritto (Sez. 2, n. 16658 del 31/03/2008, Rv. 239780) rimanendo irrilevante, nel concorso di persone nel reato, che lo scopo perseguito, ancorché comunque tipico, non sia identico per tutti i correi (Sez. 5, Sentenza n. 8352 del 13/01/2016, Rv. 266066).
5.3. Alla stregua delle considerazioni che precedono appare manifestamente infondato anche il secondo motivo di ricorso con cui si contesta la mancata derubricazione del delitto di estorsione in quello di minaccia, tema sul quale la Corte territoriale ha pertinentemente risposto (cfr. pag. 10 della sentenza impugnata).
6. In conclusione, ritiene il collegio che i ricorsi introducano motivi non consentiti in quanto, sotto le spoglie del “travisamento della prova” che, preme ribadirlo, si identifica con le ipotesi di infedeltà della motivazione rispetto al processo e, dunque, con distorsioni del patrimonio conoscitivo valorizzato dalla motivazione rispetto a quello effettivamente acquisito nel giudizio, deducono un “travisamento del fatto”, non deducibile nel giudizio di legittimità, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Rv. 238215; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217).
7. La declaratoria di inammissibilità dei ricorsi comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende nonché la condanna in solido alla rifusione delle spese processuali in favore delle parti civili come indicato in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, gli imputati in solido alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Ass. Nazionale per la lotta contro le illegalità e le mafie “(Omissis)” che liquida in complessivi Euro 3.645,00 oltre accessori di legge e nei confronti del Comune di Latina che liquida in complessivi Euro 3.686,00 oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, I’8 gennaio 2025.
Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2025.
