Svolgimento del processo
1. La ricorrente, per il tramite del proprio procuratore speciale, impugna la sentenza in data 21/10/2024 della Corte di appello di Torino, che ha confermato la sentenza in data 08/02/2022 del G.u.p. del Tribunale di Asti, che l’aveva condannata per due fatti di estorsione, ritenuti in continuazione.
Deduce:
1.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla qualificazione giuridica dei fatti.
Il primo motivo d’impugnazione si rivolge alla qualificazione giuridica dei fatti che, secondo la ricorrente, andavano più correttamente ricondotti all’ipotesi della truffa c.d. vessatoria, in quanto dalle dichiarazioni delle persone offese emergeva che l’imputata non profferiva mai minacce, ma si presentava quale scudo rispetto a malefici e/o disgrazie provenienti da cause a lei esterne.
1.2. Violazione di legge e vizio di motivazione per il mancato riconoscimento della continuazione con il fatto giudicato con la sentenza del Tribunale di Asti in data 06/06/2017.
A tale proposito si sostiene che la Corte di appello, al pari del Tribunale, ha erroneamente rigettato la richiesta di riconoscimento della continuazione, pur in presenza di tutti i requisiti a tal fine richiesti, attesa l’uniformità delle condotte e l’analogia rispetto alle vittime designate, oltre che per l’identità del motivo a delinquere, da rintracciarsi nella ludopatia dell’imputata, pur dimostrata.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Al fine della risoluzione della questione relativa alla qualificazione giuridica, occorre premettere i fatti, così come ricostruiti dai giudici di merito con la doppia sentenza conforme.
1.1.1. Con riguardo alla persona offesa del capo A), i giudici hanno osservato che l’imputata convinceva la vittima di essere in possesso di poteri magici. All’opera di convincimento seguivano le minacce di scatenare nei suoi confronti malefici e disgrazie qualora non avesse pagato le somme di denaro che le venivano, volta per volta, richieste.
I giudici rimarcavano che le richieste di somme di denaro erano avanzate con tono minaccioso e prepotente, al punto che l’imputata si presentava anche a casa della vittima per sollecitare i pagamenti, poi effettivamente eseguiti.
1.1.2. Con riguardo alla persona offesa del capo B), i giudici hanno osservato che quest’ultima si presentava presso l’imputata per avvalersi dei suoi servizi di cartomante. Decorso un certo lasso di tempo, l’imputata iniziava ad avanzare alla vittima richieste di somme di denaro, accompagnata dalla minaccia di scatenarle dei malefici qualora non le avesse corrisposte.
I giudici rimarcavano che le richieste e le minacce diventavano sempre più insistenti, al punto che l’imputata arrivava a telefonare a casa della persona offesa anche nel cuore della notte, pronunciando le parole “ti rovino”, “tu non sai chi sono io”. Parole ribadite anche alla figlia della vittima, che una volta rispondeva al t ele-fono sentendosi rispondere dall’imputata “dì a tua madre quella sbirra che adesso la rovino io”.
A tanto seguiva il pagamento delle somme di denaro indicate nel capo d’imputazione.
1.2. Così riassunti i fatti nei tratti salienti, va rilevata la correttezza della qualificazione giuridica, così come ritenuta dai giudici di merito, che hanno applicato i princìpi affermati dalla consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione, quando il fatto è connotato dalla minaccia di un male, va ravvisato essenzialmente nel diverso modo di atteggiarsi della condotta lesiva e della sua incidenza nella sfera soggettiva della vittima: ricorre la prima ipotesi delittuosa se il male viene ventilato come possibile ed eventuale e comunque non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona offesa non è coartata, ma si determina alla prestazione, costituente l’ingiusto profitto dell’agente, perché tratta in errore dalla esposizione di un pericolo inesistente; mentre si configura l’estorsione se il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri, in tal caso la persona offesa è posta nella ineluttabile alternativa di far conseguire all’agente il preteso profitto o di subire il male minacciato (Sez. 2, n. 7662 del 27/01/2015, Lanza, Rv. 262574-01; nello stesso senso, Sez. 2, n. 46084 del 21/10/2015, Le-vak, Rv. 265362-01, secondo cui il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione, quando il fatto è connotato dalla minaccia di un male, va ravvisato essenzialmente nel diverso modo di atteggiarsi della condotta lesiva e della sua incidenza nella sfera soggettiva della vittima: ricorre la prima ipotesi delittuosa se il male viene ventilato come possibile ed eventuale e comunque non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona offesa non è coartata, ma si determina alla prestazione, costituente l’ingiusto profitto dell’agente, perché tratta in errore dalla esposizione di un pericolo inesistente; mentre si configurando, invece, l’estorsione se il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri, poiché in tal caso la persona offesa è posta nella ineluttabile alternativa di far conseguire all’agente il preteso profitto o di subire il male minacciato; v. anche, Sez. 2, n. 21974 del 18/04/2017, Cianci, Rv. 270072-01, secondo cui integra il reato di estorsione, e non di truffa aggravata, la minaccia di un male, indifferentemente reale o immaginario, dal momento che identico è l’effetto coercitivo esercitato sul soggetto passivo, tanto che la sua concretizzazione dipenda effettivamente dalla volontà dell’agente, quanto che questa rappresentazione sia percepita come seria ed effettiva dalla persona offesa, ancorché in contrasto con la realtà, a lei ignota).
I giudici, invero, hanno ritenuto sussistente la coartazione della volontà della persona offesa a fronte della prospettazione di un male indicato come certo e realizzabile ad opera della stessa imputata.
A tale fine sarebbe sufficiente evidenziare come l’imputata, al fine di realizzare i propri propositi delittuosi, perpetrava vere e proprie condotte persecutorie, accompagnate da frasi indubbiamente minacciose, intese a piegare la volontà delle vittime che, così, venivano coartate al pagamento delle somme richieste.
Pagamenti che, in effetti, venivano eseguiti, così che risulta infondata anche la deduzione difensiva volta a far riconoscere il tentativo di estorsione rispetto all’estorsione consumata, per come correttamente evidenziato dalla Corte di appello alle pagine 5 e 6 della sentenza impugnata.
La deduzione difensiva in punto di qualificazione giuridica del fatto è manifestamente infondata.
1.3. Va aggiunto che il ricorso è altresì inammissibile perché -in realtà- si fonda su di una ricostruzione dei fatti alternativa a quella dei giudici di merito, in quanto la sentenza impugnata viene -in sostanza- censurata per non avere accolto la ricostruzione fattuale proposta dalla difesa (che rappresenta l’imputata come scudo mistico rispetto a cause a lei esterne), sulla base di una lettura delle emergenze istruttorie alternativa a quella ritenuta dalla Corte di appello.
Da ciò la sua inammissibilità, atteso che “il giudice di legittimità, investito di un ricorso che proponga una diversa valutazione degli elementi di prova (cosiddetto travisamento del fatto), non può optare per la soluzione che ritiene più adeguata alla ricostruzione dei fatti, valutando l’attendibilità dei testi e le conclusioni dei periti e consulenti tecnici, potendo solo verificare, negli stretti limiti della censura dedotta, se un mezzo di prova esista e se il risultato della prova sia quello indicato dal giudice di merito, sempre che questa verifica non si risolva in una valutazione della prova” (cfr., exmultis, Sez. 4, n. 36769 del 09/06/2004, Cricchi, Rv. 229690-01).
2. A identica conclusione d’inammissibilità si perviene anche per il secondo motivo di ricorso, con cui si contesta il mancato riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati oggetto del presente procedimento con quelli accertati nella sentenza del 6 giugno 2017 emessa dal Tribunale di Asti.
Il motivo è manifestamente infondato, atteso che i giudici (alla pag. 6 della sentenza impugnata) hanno escluso la configurabilità del medesimo disegno criminoso osservando -con una congrua e non illogica motivazione- che a ciò vi ostava la distanza temporale tra le condotte e la diversità delle loro rispettive modalità esecutive.
Il Tribunale, alla luce di tali (e altri) elementi, ha osservato che non si configurava l’unicità del disegno criminoso, ma piuttosto una scelta di vita delinquenziale, così facendo corretta applicazione del principio di diritto a mente del quale “in tema di applicazione della continuazione, l’identità del disegno criminoso, che caratterizza l’istituto disciplinato dall’art. 81, comma secondo, cod. pen., postula un programma di condotte illecite previamente ideato e voluto, ma non si identifica con la semplice estrinsecazione di un genere di vita incline al reato” (così, Sez. 2, n. 10033 del 07/12/2022, dep. 2023, Qomiha, Rv. 284420-01; nello stesso senso, Sez. 1, n. 39222 del 26/02/2014, B., Rv. 260896-01).
A fronte di una motivazione giuridicamente corretta e aderente alle emergenze processuali, la ricorrente -anche in questo caso- prospetta una valutazione in punto di continuazione antagonista a quella dei giudici dell’appello, senza rappresentare alcuno dei vizi scrutinabili in sede di legittimità.
Da qui l’inammissibilità del secondo motivo d’impugnazione e, con esso, del ricorso nella sua interezza.
3. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di Euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20 maggio 2025
Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2025
