Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 23/03/2022, la Corte d’appello di Roma, nel riformare parzialmente la sentenza del 18/05/2021 del G.u.p. del Tribunale di Tivoli, emessa in esito a giudizio abbreviato, confermava la condanna di (omissis), (omissis) e (omissis) per i reati di estorsione aggravata in concorso (art. 110 c.p. e art. 629 c.p., comma 2), lesione personale aggravata in concorso (artt. 110, 582 e 585 c.p., in relazione all’art. 576 c.p., comma 1, n. 1, e art. 61 c.p., n. 2), porto in luogo pubblico di un’arma comune da sparo aggravato in concorso (art. 110 c.p. e art. 61 c.p., n. 2, e L. 2 ottobre 1967, n. 895, artt. 4 e 7) e porto di un coltello a scatto e di un coltello a serramanico aggravato in concorso (art. 110 c.p. e art. 61 c.p., n. 2, e L. 18 aprile 1975, n. 110, art. 4).
Secondo i capi d’imputazione, i predetti quattro reati erano stati contestati ai tre imputati:
a) quello di estorsione aggravata in concorso, perchè, “in concorso tra loro, mediante minaccia consistita nel puntargli una pistola calibro 38 prima all’addome e poi al volto, nonchè mediante violenza consistita nello sferrargli un pugno dietro la nuca, si procuravano un ingiusto profitto costringendo (omissis) a consegnargli la somma in contanti di 150 Euro, quale rata per un pregresso debito derivante dall’acquisto di cocaina” (capo a);
b) quello di lesione personale aggravata in concorso, perchè, “in concorso tra loro, e al fine di commettere il reato di cui al capo a), colpendolo con un pugno dietro la nuca, cagionavano a (omissis) lesioni personali consistite in un trauma cranico, contusione del collo, distrazione dei muscoli laterocervicali, contusione alla parete addominale, giudicate guaribili con prognosi di giorni 20 s.c.” (capo b);
c) quello di porto in luogo pubblico di un’arma aggravato in concorso, perchè, “in concorso tra loro e al fine di commettere il reato di cui al capo a), portavano in luogo pubblico una pistola a tamburo calibro 38 marca Smith&Wesson con matricola abrasa e 5 proiettili inseriti, che il (omissis) puntava prima al basso ventre e poi al volto del (omissis)” (capo c, riqualificato dal Tribunale di Tivoli come porto in luogo pubblico di arma comune da sparo);
d) quello di porto di un coltello a scatto e di un coltello a serramanico aggravato in concorso, perchè, “in concorso tra loro e al fine di commettere il reato di cui al capo a), portavano in luogo pubblico un coltello a scatto della lunghezza totale di cm 22 con lama di cm 11 e un coltello a serramanico di tipo svizzero della lunghezza totale di cm 15 con lama di cm 6” (capo d).
Fatti commessi in (omissis).
2. Avverso l’indicata sentenza della Corte d’appello di Roma, hanno proposto distinti ricorsi per cassazione, per il tramite dei propri rispettivi difensori, gli imputati (omissis), (omissis) e (omissis).
3. Il ricorso di (omissis) è affidato a quattro motivi.
3.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), l'”(i)nosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 24 e 111 Cost.”.
Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Roma, nonostante abbia attribuito un rilievo fondamentale, ai fini della ricostruzione del fatto e dell’affermazione di responsabilità, a quanto risultava dall’acquisito filmato dello stesso fatto (che era stato ripreso da telecamere di videosorveglianza), abbia negato la visione di tale filmato nel contraddittorio, con la conseguente violazione del diritto di difesa.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), l'”illogicità e/o contraddittorietà (della) motivazione” della sentenza impugnata con riguardo all’affermazione di responsabilità.
Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Roma: a) abbia ritenuto l’irrilevanza della diversità tra la dinamica del fatto che risultava dal menzionato filmato e le descrizioni dello stesso fatto, diverse anche tra di loro, fornite dalla persona offesa (omissis) e nel verbale di arresto degli imputati; b) abbia ricostruito lo stesso fatto in modo “contrastante rispetto a quanto emerge chiaramente dalla visione del filmato”; c) abbia affermato, in un primo passaggio, che dal filmato “non si ved(eva) (omissis) infilare la mano nei pantaloni, passare la pistola a (omissis)” e “si vede a un certo punto (omissis) armeggiare con il proprio giubbotto” (pag. 12) e, in un secondo passaggio, nel negare l’attenuante di cui all’art. 114 c.p., che lo stesso (omissis): “aveva effettivamente estratto la pistola e l’aveva passata a (omissis)” (pag. 19); di) non abbia considerato quanto da lui dichiarato in sede di spontanee dichiarazioni circa il “suo ruolo meramente passivo e, soprattutto, non essendo a conoscenza di alcun tipo di condotta illecita posta in essere” (così il ricorso), versione che era “in linea con quanto emerge dall’esame del filmato”.
3.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 114 c.p. e, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), l'”illogicità e/o contraddittorietà (della) motivazione” della sentenza impugnata con riguardo all’argomentazione del mancato riconoscimento dell’attenuante, prevista dal predetto art. 114 c.p., della partecipazione di minima importanza.
Il ricorrente rappresenta che dal menzionato filmato risulta “un atteggiamento meramente passivo del sig. (omissis)” e lamenta che la Corte d’appello di Roma, nonostante il già ricordato fondamentale rilievo da essa attribuito a quanto risultava dallo stesso filmato, abbia ritenuto irrilevanti i fatti che da esso “non si vede l’imputato infilare la mano nei pantaloni e passare la pistola al (omissis)” e “non si ved(e) una delle persone presenti avvicinarsi al volto della p.o. e profferire minacce”, attribuendo al (omissis), in contrasto con quanto in precedenza affermato, di avere estratto la pistola e averla passata al (omissis) e di avere concluso l’incontro minacciando la persona offesa.
3.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), violazione di legge e “(c)arenza di motivazione” della sentenza impugnata, con riguardo all’argomentazione del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in particolare, alla valenza attribuita al proprio comportamento processuale.
4. Il ricorso di (omissis) è affidato a otto motivi.
4.1. Con il primo motivo – relativo all’affermazione di responsabilità per il reato di estorsione aggravata in concorso – il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata “per travisamento della prova (…) in quanto la violenza e minaccia sono successive al perfezionamento del reato”.
Il ricorrente rappresenta che da tutto il compendio probatorio, e anche dall’interpretazione data dalla Corte d’appello di Roma al più volte menzionato filmato, le contestate minaccia e violenza erano successive alla dazione della somma di denaro da parte della persona offesa e, quindi, erano intervenute “quando l’estorsione (evidentemente per pregresse azioni minacciose o violente del (omissis) e di altri soggetti, cui era rimasto estraneo il (omissis)) si era già perfezionata”, con la conseguente insussistenza del reato.
Il ricorrente deduce poi come sia la versione dei fatti fornita dal (omissis) sia la versione dei fatti fornita nel verbale di arresto fossero state smentite dalla visione del filmato – dal quale risultava, tra l’altro, che, dopo avere sferrato uno schiaffo al (omissis), il (omissis) si allontanava, sicchè quanto accadde dopo non avvenne alla presenza dello stesso (omissis) (il quale, perciò, anche ad ammettere che sia stata estratta un’arma, non ebbe la possibilità di avvedersi della presenza di essa) – dal che si desumerebbe sia l’inattendibilità del (omissis), attesa la sua “incapacità di percepire i fatti che accadono in sua presenza”, sia che gli agenti di polizia giudiziaria che operarono l’arresto “avevano ricostruito l’episodio a posteriori”.
Il ricorrente contesta poi la tesi della Corte d’appello di Roma secondo cui l’episodio in contestazione del 13 dicembre 2021 costituirebbe il momento terminale di una precedente condotta estorsiva posta in essere dagli stessi imputati, rappresentando, al riguardo, che la stessa Corte d’appello: a) quanto al precedente episodio risultante dal colloquio telefonico tra il (omissis) e il (omissis) (registrato da quest’ultimo), da un lato, avrebbe travisato la prova in quanto il cittadino albanese cui si fa riferimento in tale colloquio non era il (omissis) (che è croato) e, dall’altro lato, avrebbe “arricchi(to)” la prova in quanto, con riguardo allo stesso episodio, il (omissis) non aveva visto una pistola ma solo un gesto che aveva percepito come possibilmente rivelatore della presenza di un’arma, con la conseguenza che sarebbe inficiata da travisamento della prova anche la successiva affermazione della Corte d’appello di Roma secondo cui i tre imputati si sarebbero presentati alla persona offesa “ancora una volta armati con la solita pistola”; b) avrebbe travisato la prova anche là dove afferma che il (omissis) “aveva riconosciuto i tre come già visti in passato insieme in occasione di altre richieste, e quanto accaduto lì era solo l’ultimo segmento minaccioso e violento di un’estorsione che durava da tempo”, atteso che “in nessuna parte della denuncia il (omissis) sostiene che i due imputati erano le persone che appunto accompagnavano il (omissis)”, che egli accompagnò il (omissis) dal (omissis) solo in una precedente occasione in cui “non accade nulla di significativo” e che, come aveva chiarito in sede di spontanee dichiarazioni, aveva incontrato il (omissis) insieme al (omissis) e al (omissis) solo il 13 dicembre 2019 e non in precedenti occasioni; c) si sarebbe “discosta(ta) dalla imputazione”, nella quale “non viene fatto alcun riferimento a condotte pregresse”, così “esten(ndendola) a condotte pregresse al 13.12.2019”.
4.2. Con il secondo motivo – relativo sempre all’affermazione di responsabilità per il reato di estorsione aggravata in concorso – il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata “per travisamento della prova in ordine alla ritenuta consapevolezza della natura illecita del credito vantato nei confronti della persona offesa – Mancanza del dolo di estorsione”.
Il ricorrente, dopo avere esposto che, anche per le ragioni evidenziate nel primo motivo, “dagli eventi che hanno preceduto l’incontro del (omissis) non è possibile ricavare la consapevolezza da parte del (omissis) della natura illecita del credito azionato dal (omissis)”, lamenta che la Corte d’appello di Roma avrebbe inammissibilmente desunto la sussistenza di tale consapevolezza e, quindi, del dolo del reato concorsuale di estorsione, dal solo apporto materiale da lui prestato ai fatti del 13 dicembre 2019, così erroneamente sovrapponendo l’accertamento dell’elemento psicologico a quello inerente all’elemento oggettivo.
4.3. Con il terzo motivo – relativo all’affermazione di responsabilità per il reato di lesione personale aggravata in concorso – il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), la violazione e la falsa applicazione “della legge penale” e dell’art. 576 c.p., comma 1, n. 1), e art. 61 c.p., n. 2), in quanto la Corte d’appello di Roma “avrebbe dovuto riformare la sentenza di prime cure per insussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 576 c.p., comma 1, n. 1 ed emettere declaratoria di non doversi procedere per mancanza di querela”.
Il ricorrente sostiene che la tesi della Corte d’appello di Roma secondo cui egli avrebbe colpito la persona offesa con un pugno alla nuca e questo avrebbe cagionato alla stessa persona offesa le lesioni certificate nel referto medico agli atti sarebbe il frutto di un duplice travisamento della prova in quanto “non vi è alcun pugno alla nuca sferrato dall’imputato e il referto di Pronto Soccorso non è compatibile con tale dinamica”. Sotto il primo aspetto, il ricorrente rappresenta, da un lato, che il Tribunale di Tivoli, sulla scorta del filmato, aveva parlato di un colpo al capo e non alla nuca e, dall’altro lato, che dalla visione del filmato emergeva che si era trattato “di uno schiaffo sferrato lateralmente e quindi nè di un pugno, nè di un colpo alla nuca”. Per tale ragione, sotto il secondo aspetto, il referto del Pronto soccorso non sarebbe “in grado di dimostrare il nesso causale tra la condotta del (omissis) e le lesioni”, in particolare, non sarebbe “in grado di spiegare la “contusione della parete addominale” (…) nè il relativo “trauma cranico” e ciò a dimostrazione della verosimile esistenza di una patologia pregressa del (omissis) (…) che non consente di dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio l’effetto che sulla persona offesa ha causato lo schiaffo dell’imputato, con conseguente impossibilità di ricondurre la condotta nell’alveo applicativo del reato di cui all’art. 582 c.p., ma semmai in quello di cui all’art. 581 c.p., improcedibile per mancata presentazione della querela da parte della persona offesa”.
4.4. Con il quarto motivo – relativo sempre all’affermazione di responsabilità per il reato di lesione personale aggravata in concorso – il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), la violazione e la falsa applicazione “della legge penale” e dell’art. 576 c.p., comma 1, n. 1), e art. 61 c.p., n. 2), in quanto la Corte d’appello di Roma “avrebbe dovuto riformare la sentenza di prime cure per insussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 576 c.p., comma 1, n. 1 ed emettere declaratoria di non doversi procedere per mancanza di querela”.
Il ricorrente rappresenta che dalla stessa sentenza impugnata risulterebbe che la condotta di lesioni era stata posta in essere dopo che si era perfezionato, con la consegna dei 150 Euro, il reato fine di estorsione, con le conseguenze della non configurabilità dell’attribuita aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 2), e dell’improcedibilità del reato di lesioni per difetto di querela.
4.5. Con il quinto motivo – relativo all’affermazione di responsabilità per il reato di porto in luogo pubblico di arma comune da sparo – il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), la violazione e la falsa applicazione “della legge penale” e dell’art. 110 c.p. e L. n. 895 del 1967, artt. 4 e 7, nonchè, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la carenza e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in quanto la Corte d’appello di Roma “avrebbe dovuto riformare la sentenza di prime cure ed assolvere l’imputato dal reato di cui al capo c) per non aver commesso il fatto per insussistenza di una condotta concorsuale del (omissis)”.
Il ricorrente rappresenta in primo luogo che la Corte d’appello di Roma avrebbe omesso di confrontarsi con la propria censura, avanzata nell’atto di appello, “relativa alla mancanza di prova in ordine alla pregressa conoscenza da parte del (omissis) della detenzione dell’arma da parte del (omissis), non potendosi escludere che ciò sia stata una iniziativa personale di costui, non preventivamente rappresentata al primo”.
In secondo luogo, il ricorrente rappresenta che la ricostruzione operata dalla stessa Corte d’appello di Roma sarebbe inficiata da un travisamento della prova, atteso che dal filmato (e anche dai fotogrammi presenti nella consulenza tecnica del pubblico ministero e dalle proprie spontanee dichiarazioni) risulterebbe che egli, dopo avere colpito la persona offesa, “si allontana, non partecipa più alla discussione, nè ha possibilità di avvedersi della presenza dell’arma”, con la conseguenza che neppure sarebbe ipotizzabile una sua adesione successiva all’uso della stessa da parte del (omissis).
4.6. Con il sesto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata con riguardo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità prevista dall’art. 62 c.p., n. 4).
Il ricorrente lamenta anzitutto che la Corte d’appello di Roma sarebbe rimasta del tutto silente sulla propria richiesta, avanzata con l’atto di appello, di riconoscimento di quest’ultima circostanza attenuante, senza che, nella motivazione della sentenza impugnata, sia riscontrabile neppure un rigetto implicito.
In secondo luogo, quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, il ricorrente lamenta che essa si fonderebbe: da un lato, su un'”informazione inesistente”, cioè la sua ritenuta “pervicacia criminosa (segnalata dalla pluralità di incontri che aveva(…) avuto con la p.o.)”, atteso che quest’ultima circostanza “non risulta dal compendio probatorio”; dall’altro lato, sull’elemento dell’esercizio di facoltà processuali, il quale non può essere valutato al fine di negare le attenuanti generiche.
4.7. Con il settimo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la violazione e la falsa applicazione della legge penale e, in particolare, dell’art. 81 c.p., comma 2, lamentando che “la pena irrogata è contra legem per errore di calcolo e per omessa motivazione in ordine all’entità dell’aumento ex art. 81 c.p.”.
Il ricorrente rappresenta anzitutto l’errore di calcolo nel quale sarebbe incorsa la Corte d’appello di Roma atteso che se, come sostenuto dalla stessa Corte, “i singoli aumenti devono riprodurre quelli stabiliti (…) per (omissis)”, poichè a questi, quanto alla pena pecuniaria, erano stati irrogati gli aumenti di Euro 250,00 di multa per il reato di cui al capo b), Euro 300,00 di multa per il reato di cui al capo c) ed Euro 50,00 di multa per il reato di cui al capo dl), la pena pecuniaria che gli doveva essere applicata prima della diminuzione per il rito doveva essere di Euro 5.600,00 di multa – corrispondenti alla pena base di Euro 5.000,00 più i menzionati aumenti di Euro 250,00, Euro 300,00 ed Euro 50,00 – e non di Euro 6.000,00 di multa.
In ogni caso, secondo il ricorrente, l’onere di motivazione degli aumenti di pena per i tre reati satellite non potrebbe essere adempiuto, come ha invece fatto la Corte d’appello di Roma, mediante il generico rinvio agli aumenti di pena per i reati satellite applicati dal giudice di primo grado al coimputato (omissis), non solo per la già evidenziata erroneità sul piano aritmetico dello stesso rinvio, ma anche perchè “appare maggiormente rispondente alla dinamica dell’evento parametrare tali aumenti a quelli stabiliti per la posizione (omissis)”, atteso che la Corte d’appello aveva “dimostra(to) di apprezzare la maggiore intensità della risoluzione criminosa e il più consistente apporto materiale fornito dal (omissis) nella realizzazione del reato rispetto agli altri due imputati”, con la conseguenza che “appare, oltre che aritmeticamente errato, anche illogico e contraddittorio applicare al (omissis) gli stessi aumenti di pena applicati al (omissis)(anzichè quelli del (omissis)), il tutto in assenza di qualsivoglia motivazione in ordine alla diversità di trattamento rispetto al (omissis), la cui posizione è assimilabile al più a quella del (omissis)”.
4.8. Con l’ottavo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la violazione e la falsa applicazione della legge penale e, in particolare, dell’art. 81 c.p. e dell’art. 442 c.p.p., comma 2, come modificato dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, lamentando che “la pena irrogata è contra legem per mancata riduzione della metà per il reato contravvenzionale – capo d) – e per omessa considerazione dei reati puniti con pene eterogenee”.
Sotto un primo profilo, il ricorrente lamenta che i giudici di merito abbiano ridotto la pena irrogata per il reato satellite contravvenzionale di cui al capo d) dell’imputazione di un terzo anzichè della metà, in contrasto con il citato art. 442 c.p.p., comma 2, come modificato dalla L. n. 103 del 2017. Il ricorrente rappresenta che la Corte d’appello di Roma avrebbe dovuto applicare tale più favorevole trattamento sanzionatorio anche d’ufficio e che sarebbe ammissibile il ricorso per cassazione volto a fare valere l’erronea applicazione, per la contravvenzione, della diminuzione di un terzo anzichè della metà, attesa la rilevabilità d’ufficio del trattamento sanzionatorio più favorevole.
Sotto un secondo profilo, il ricorrente rappresenta come, venendo qui in rilievo la continuazione tra reati puniti con pene eterogenee, l’avere la Corte d’appello di Roma aumentato la pena prevista per il reato più grave, c:on la conseguente conversione della pena per il reato satellite contravvenzionale in una pena più grave per genere o specie – in particolare, una fattispecie contravvenzionale punita con il solo arresto o l’ammenda viene a essere punita con la reclusione e la multa – si tradurrebbe in una violazione del principio del favor rei che ispira l’istituto del reato continuato.
5. Il ricorso di (omissis) è affidato a un unico motivo, con il quale il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e ed e), con riferimento all’art. 629 c.p., comma 2, l’erronea applicazione della legge penale con riguardo alla sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di estorsione di cui al capo a) dell’imputazione nonchè la carenza e l’illogicità della motivazione della sentenza impugnata anche per l'”omesso riscontro ai motivi di appello”.
Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Roma avrebbe omesso di giustificare adeguatamente la divergenza tra quanto risultava dal più volte menzionato filmato dei fatti e quanto dichiarato sia dalla persona offesa sia dalla polizia giudiziaria nel verbale di arresto, e avrebbe altresì omesso di dare riscontro, se non in modo meramente apparente, alle doglianze avanzate nel proprio atto di appello, con le quali “aveva censurato la mancata valorizzazione del filmato proprio in relazione alla consumazione del reato di estorsione aggravata”, essendosi “limita(ta) a proporre generiche affermazioni sulla sostanziale attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, e del verbale” e avendo “mancato di valutare proprio quelle prove trascurate dal GLP, in questo modo incorrendo nello stesso errore motivazionale in cui era incappato il Giudice di primo grado; non solo, la sentenza di secondo grado, nonostante le specifiche censure mosse con l’atto di appello ed involgenti tali specifiche questioni, non ha offerto alcuna replica a tale puntuale rilievo”.
Motivi della decisione
1. Il ricorso di (omissis) è inammissibile.
1.1. primo motivo è manifestamente infondato.
Si deve infatti ritenere che la Corte d’appello di Roma abbia legittimamente negato che, ai fini del rispetto del contraddittorio, fosse necessaria la visione del filmato del fatto (che, come si è detto, era stato ripreso da telecamere di videosorveglianza) davanti alla stessa Corte, atteso che, come essa ha correttamente rilevato, il predetto filmato era già stato visionato, alla presenza dei difensori degli imputati, nel corso dell’udienza che si era tenuta il 18 maggio 2021 davanti al Tribunale di Tivoli – nel pieno rispetto, perciò, del contraddittorio e dei diritti della difesa – ed era nella disponibilità della Corte ai fini della decisione, la quale mostra di averlo essa stessa visionato (“la Corte terrà in considerazione quanto emerge dal video, unico contributo in grado di provare in maniera oggettiva la ricostruzione del fatto”).
1.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
In primo luogo, appare del tutto logico che la Corte d’appello di Roma, disponendo di un filmato del fatto, cioè di un’oggettiva rappresentazione di esso, abbia ritenuto di fondare la propria decisione su tale prova documentale e di considerare, perciò, non rilevanti le descrizioni che, dello stesso fatto, erano state fornite dalla persona offesa (omissis) e dagli stessi agenti di polizia giudiziaria che avevano proceduto all’arresto degli imputati. Parimenti del tutto logica appare la motivazione della Corte d’appello di Roma in ordine all’irrilevanza delle inesattezze delle predette descrizioni con riguardo alle condotte specificamente poste in essere da ciascun imputato, non solo perchè, come si è detto, tali condotte risultavano oggettivamente dal menzionato fillmato, ma anche perchè: da un lato, le predette inesattezze potevano derivare, quanto al (omissis), dallo stato di agitazione e di paura in cui egli ebbe a trovarsi nella concitazione del fatto, e, comunque, erano attribuibili a soggetti – tra cui anche, come si è detto, gli agenti della polizia giudiziaria – che non avevano alcun interesse ad attribuire singoli atti all’uno piuttosto che all’altro degli imputati; dall’altro lato, la compresenza al fatto di tutti e tre gli imputati, rendeva attribuibile lo stesso a tutti, a prescindere dalla paternità dei singoli atti compiuti da ciascuno.
In secondo luogo, risulta del tutto generica la doglianza del ricorrente secondo cui la Corte d’appello di Roma avrebbe ricostruito il fatto in modo “contrastante rispetto a quanto emerge chiaramente dalla visione del filmato”, avendo lo stesso ricorrente del tutto omesso di indicare in cosa consisterebbe tale lamentato contrasto.
In terzo luogo, non sussiste la lamentata contraddizione tra le affermazioni della Corte d’appello di Roma secondo cui, da un lato, dal filmato “non si ved(eva) (omissis) infilare la mano nei pantaloni, passare la pistola a (omissis)” e “si vede a un certo punto (omissis) armeggiare con il proprio giubbotto” (pag. 12) e, dall’altro lato, che lo stesso (omissis) “aveva effettivamente estratto la pistola e l’aveva passata a (omissis)”, atteso che la stessa Corte d’appello, nel fare le prime due citate affermazioni, aveva chiarito che, subito dopo che il (omissis): aveva armeggiato con il proprio giubbotto, “la pistola appare nella mano di (omissis)”, con la conseguenza che non appare nè contraddittorio nè illogico che la stessa Corte d’appello abbia ritenuto che la pistola, in quanto era apparsa nella mani del (omissis) subito dopo che il (omissis)aveva armeggiato con il proprio giubbotto, fosse stata passata al (omissis) dal (omissis).
In quarto luogo, con riguardo alla lamentata omessa considerazione di quanto il ricorrente aveva dichiarato in sede di spontanee dichiarazioni, si deve osservare che: a) quanto al suo asserito “ruolo meramente passivo”, ESSO è palesemente smentito dalla già evidenziata logica – per le ragioni che si sono dette conclusione della Corte d’appello di Roma secondo cui fu proprio il (omissis) a passare al (omissis) la pistola con la quale fu commessa la minaccia, oltre che dal fatto, pure evidenziato dalla Corte d’appello (pag. 12), che era stato il (omissis) a concludere l’incontro dei tre imputati con il (omissis), segnatamente, come era stato da questi riferito, minacciandolo con la frase “io sono cattivo, torno domattina a prendere i soldi” (e la Corte d’appello ha altresì evidenziato come alla fine della visionata registrazione del fatto si vedesse il (omissis) colloquiare con il (omissis)); b) quanto alla sua asserita non “conoscenza di alcun tipo di condotta illecita posta in essere”, si tratta, all’evidenza, di una prospettazione del tutto generica, atteso che il ricorrente ha del tutto omesso di indicare una qualsivoglia ragione lecita della minacciosa e violenta richiesta di denaro che era stata da lui avanzata nei confronti del (omissis).
1.3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Ai fini dell’integrazione della circostanza attenuante della minima partecipazione (art. 114 c.p.), non è sufficiente una minore efficacia causale dell’attività prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri, in quanto è necessario che il contributo dato si sia concretizzato nell’assunzione di un ruolo di rilevanza del tutto marginale, ossia di efficacia causale così lieve rispetto all’evento da risultare trascurabile nell’economia generale dell’iter criminoso. Ne deriva che, ai fini dell’applicabilità dell’attenuante in questione, non è sufficiente procedere a una mera comparazione tra le condotte dei vari soggetti concorrenti, ma occorre accertare – attraverso una valutazione della tipologia del fatto criminoso perpetrato in concreto con tutte le sue componenti soggettive, oggettive e ambientali – il grado di efficienza causale, sia materiale, sia psicologica, dei singoli comportamenti, rispetto alla produzione dell’evento, configurandosi la minima partecipazione, di cui all’art. 114 c.p., solo quando la condotta del correo abbia inciso sul risultato finale dell’impresa criminosa in maniera del tutto marginale, cioè tale da poter essere avulsa, senza apprezzabili conseguenze pratiche, dalla serie causale produttiva dell’evento (Sez. 5, n. 21082 del 13/04/2004, Terreno, Rv. 229201-01; successivamente, tra le moltissime: Sez. 6, n. 34539 del 23/06/2021, I., Rv. 281857-01; Sez. 2, n. 835 del 18/12/2012, Modafferi, Rv. 254051-01).
Nel caso in esame, la Corte d’appello di Roma ha correttamente disconosciuto al (omissis) l’attenuante di cui all’art. 114 c.p., avendo ritenuto, come si è già detto esaminando il secondo motivo, da un lato, in modo del tutto logico, che il (omissis) avesse passato al (omissis) la pistola con la quale fu cornmessa la minaccia, e, dall’altro lato, che lo stesso (omissis), come era stato riferito dalla persona offesa (omissis), aveva minacciato la stessa con la frase “io sono cattivo, torno domattina a prendere i soldi”, il che aveva trovato conferma nella visione del filmato che mostrava il (omissis) che, conformemente a quanto affermato dal (omissis), al termine dell’incontro con i tre imputati, colloquiava con la stessa persona offesa.
Tale logica ricostruzione del contributo dato dal (omissis) all’esecuzione del reato esclude, all’evidenza, che la condotta ch tale correo abbia inciso sul risultato finale dell’impresa criminosa in maniera marginale, cioè tale da poter essere avulsa, senza apprezzabili conseguenze pratiche, dalla serie causale produttiva dell’evento, con la conseguente logica e corretta negazione della circostanza attenuante prevista dall’art. 114 c.p..
1.4. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purchè sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269-01; nella specie, la Corte di cassazione ha ritenuto sufficiente, ai fini dell’esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell’imputato).
Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244-01).
Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o no il riconoscimento del beneficio, sicchè anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549-01; Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163-01).
Nel caso di specie, la Corte d’appello di Roma ha negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche ritenendo decisivi e prevalenti, a tale fine, gli elementi, attinenti all’entità del reato e alla capacità a delinquere dell’imputato, della pervicacia criminosa, confermata dalla pluralità di incontri che il (omissis) aveva avuto con la persona offesa, della disponibilità di armi utilizzate ai fini delle intimidazioni, delle minacce rivolte direttamente dallo stesso (omissis) alla persona offesa alla fine dell’incontro con essa del 13 dicembre 2019, legittimamente ritenendo “neutro”, anche a fronte di tali elementi, il fatto che l’imputato avesse reso delle spontanee dichiarazioni.
Alla luce dei consolidati principi della giurisprudenza legittimità sopra esposti, tale motivazione si deve ritenere sufficiente e, in quanto espressiva di un giudizio di fatto, non sindacabile in questa sede di legittimità.
2. Il ricorso di (omissis) deve essere rigettato.
2.1. Il primo motivo non è fondato, attesa l’insussistenza delle contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con esso denunciate.
La Corte d’appello di Roma ha ritenuto che i fatti che erano accaduti il 13 dicembre 2019 altro non fossero che l’ultimo segmento violento e minaccioso di una condotta estorsiva da tempo e ancora in corso, come era dimostrato dall’esistenza di precedenti incontri con la persona offesa, ai quali aveva partecipato anche il (omissis) – la Corte d’appello di Roma ha in particolare rammentato quello del 2 novembre 2019, nel corso del quale, come era stato riferito dallo stesso (omissis) in sede di sommarie informazioni, si era parlato di un debito del (omissis) nel confronti del Vini di Euro 500,00 (e il Tribunale di Tivoli fa riferimento anche a un incontro, documentato dal sistema di videosorveglianza, del 5 dicembre 2019) – e dal fatto che il pugno che era stato sferrato dal (omissis) alla persona offesa il 13 dicembre 2019 si doveva ritenere motivato, tenuto conto, evidentemente, dell’indicato ammontare del debito del (omissis), dalla ritenuta insufficienza della somma di Euro 150,00 che, quel giorno, era stata consegnata dal (omissis) al (omissis).
Tale motivazione appare priva di contraddizioni e illogicità manifeste, e giustifica logicamente che la Corte d’appello di Roma abbia conseguentemente ritenuto l’irrilevanza, ai fini dell’integrazione del delitto di estorsione, del fatto che, il 13 dicembre 2019, la minaccia (consistita nel mostrare, da parte del (omissis), la pistola al (omissis)) e la violenza (consistita nel pugno sferrate allo stesso (omissis) proprio dal (omissis)) fossero state successive alla consegna al (omissis) della somma di C 150,00.
Tale motivazione resiste alle censure del ricorrente atteso: a) quanto si è già detto in ordine alla logicamente ritenuta irrilevanza della posteriorità temporale, rispetto alla consegna del denaro, delle minaccia e violenza poste in essere il 13 dicembre 2019; che la Corte d’appello di Roma ha motivato che, dal più volte menzionato filmato, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, quando fu posta essere la minaccia a mano armata, il (omissis) era presente (la Corte fa in particolare riferimento alle pagg. 26-27 della relazione del consulente tecnico); b) si è già detto, esaminando il secondo motivo del ricorso del (omissis), come la Corte d’appello di Roma, disponendo di un filmato del fatto, abbia ritenuto di fondare la propria decisione su tale prova documentale e di considerare, perciò, non rilevanti le descrizioni che, dello stesso fatto, erano state fornite dalla persona offesa (omissis) e dagli stessi agenti di polizia giudiziaria che avevano proceduto all’arresto degli imputati; c) non appare nè contraddittorio nè manifestamente illogico ritenere che, come ha fatto la Corte d’appello di Roma, poichè, nel corso del precedente incontro, che risultava dal colloquio telefonico tra il (omissis) e il (omissis) da questi registrato, il (omissis) aveva fermato il (omissis) che stava per estrarre qualcosa dalla cintola – compiendo, cioè, lo stesso gesto che avrebbe poi compiuto il 13 dicembre 2019 – anche nella prima occasione, come era stato acclarato nella seconda, il (omissis) e il (omissis) portassero una pistola, mentre appare irrilevante l’erronea attribuzione allo stesso (omissis) della nazionalità albanese, anzichè croata, atteso che era indubbio che si trattasse della persona del (omissis); d) contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte d’appello di Roma non si può ritenere essersi “discostata dall(a) imputazione”, atteso che la stessa Corte ha condannato i tre imputati per il fatto a essi contestato nella stessa imputazione, limitandosi a collocare lo stesso fatto nell’ambito della condotta estorsiva da tempo in corso ai danni del (omissis).
2.2. Il secondo motivo è inammissibile per genericità.
A fronte di una pretesa del (omissis) di ottenere dal (omissis), tramite minaccia e violenza, il corrispettivo della vendita, allo stesso D.D., di sostanza stupefacente – cioè di una pretesa certamente non tutelabile dall’ordinamento (Sez. 3, n. 9880 del 24/01/2020, Tordo, Rv. 278767-01; Sez. 6, n. 1672 del 20/12/2013, dep. 2014, Dò, Rv. 258284-01; Sez. 2, n. 40051 del 14/10/2011, Conversano, Rv. 251547-01) – e del contributo materiale dato dal B.B., tramite le condotte minacciose e violente che si sono dette, per il conseguimento, da parte del (omissis), del menzionato profitto ingiusto, il ricorrente ha del tutto omesso anche solo di allegare qualsiasi fatto, riscontrabile, quindi, dalla pubblica accusa, dal quale fosse possibile desumere la ragione, diversa da quella illecita indicata, che egli riteneva essere a fondamento della pretesa che aveva concorso, con minaccia e violenza, ad azionare.
2.3. Il terzo motivo e il quarto motivo – i quali, concernendo entrambi l’affermazione di responsabilità per il reato di lesione personale aggravata in concorso, possono essere esaminati congiuntamente – non seno fondati.
Partendo dall’esame del terzo motivo, si deve osservare come la Corte d’appello di Roma abbia evidenziato come, dalla visione del più volte menzionato filmato, fosse possibile vedere il (omissis) che colpiva il (omissis) con un violento pugno alla nuca, portato improvvisamente da dietro, e che si trattò, appunto, di un pugno, e non di un semplice schiaffo, come sostenuto dalla difesa del (omissis) (pag. 11). Tale valutazione della predetta prova documentale rispetto alla quale il ricorrente reitera quanto aveva già sostenuto in sede di appello – non è sindacabile in questa sede. Nè rileva che il Tribunale di Tivoli avesse parlato di un colpo al capo (e non alla nuca), atteso che ciò che conta è, evidentemente, quanto è stato ritenuto dalla Corte d’appello di Roma nella sentenza qui impugnata.
La stessa Corte d’appello di Roma ha quindi ritenuto la compatibilità tra le lesioni riportate dal (omissis), diagnosticate dai sanitari del pronto soccorso dell’ospedale di Palestrina, di “trauma cranico, contusione del collo, distrazione dei muscoli laterocervicali” (senza menzionare la contusione alla parete addominale), con il pugno che era stato sferrato dal (omissis) alla nuca del (omissis), tenuto conto anche che, sempre dal filmato, risultava la violenza del pugno e che esso fu portato da dietro, senza che la persona offesa potesse aspettarselo. Tale valutazione della menzionata compatibilità appare del tutto coerente e logica, sicchè non può essere in alcun modo rivisitata in questa sede, mentre risulta del tutto congetturale, in quanto priva di alcun riscontro negli atti del procedimento, l’asserzione del ricorrente circa “la verosimile esistenza di una patologia pregressa del (omissis)”.
Quanto al quarto motivo, si è già detto, esaminando il primo motivo, come la Corte d’appello di Roma abbia logicamente ritenuto che i fatti che erano accaduti il 13 dicembre 2019 altro non fossero che l’ultimo segmento violento e minaccioso di una condotta estorsiva da tempo e ancora in corso, tanto che il pugno che era stato sferrato dal (omissis) alla persona offesa il 13 dicembre 2019 si doveva ritenere motivato dalla ritenuta insufficienza della somma di 42 150,00 che, quel 13 dicembre 2019, era stata consegnata dal (omissis) al (omissis).
Alla luce di ciò, appare del tutto corretta in diritto la ritenuta sussistenza della circostanza aggravante del cosiddetto nesso teleologico, atteso che, per la configurabilità di tale circostanza aggravante, è sufficiente che, indipendentemente dalla unicità o pluralità delle condotte criminose o dalla contestualità delle stesse, la volontà del soggetto agente sia diretta alla commissione del reato-fine e che, a tale scopo, egli si sia servito del reato-mezzo, (Sez. 5, n. 22 del 26/11/2019, dep. 2020, Taimburrino, Rv. 277754-01), come era avvenuto nel caso di specie, nel quale, per le ragioni che si sono dette, risulta l’evidente strumentalità del reato di lesioni rispetto alla conclusione (ed eventuale prosecuzione) di quello di estorsione.
Ne consegue che del tutto correttamene la Corte d’appello di Roma ha ritenuto la sussistenza del reato di lesioni aggravato dal cosiddetto nesso teleologico, procedibile d’ufficio.
2.4. Il quinto motivo – relativo all’affermazione di responsabilità per il reato di porto in luogo pubblico di arma comune da sparo – non è fondato.
Quanto al secondo profilo del motivo, che è logicamente preliminare, si è già evidenziato, nel rigettare il primo motivo, come la Corte d’appello di Roma abbia motivato che, dal più volte menzionato filmato, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, quando fu posta essere la minaccia a mano armata, il (omissis) era presente (come si è detto, la Corte fa in particolare riferimento alle pagg. 2627 della relazione del consulente tecnico). Tale valutazione della predetta prova documentale -rispetto alla quale il ricorrente reitera quanto aveva già sostenuto in sede di appello – non è sindacabile in questa sede.
Quanto al primo profilo del motivo, specificamente relativo al concorso del (omissis) nel porto della pistola che era stata passata dal (omissis) al (omissis), la Corte d’appello di Roma ha ritenuto tale concorso anche del (omissis) sulla base delle circostanze che questi era presente quando fu posta in essere la minaccia a mano armata nei confronti del (omissis), avendo altresì reputato che il comportamento dello stesso (omissis), che aveva con sè due coltelli e che, come si è detto, aveva colpito il (omissis) con un violento colpo alla nuca per “punirlo” della ritenuta insufficienza della somma di Euro 150,00, dimostrasse il suo originario concorso all’estorsione come poi realizzata, con l’uso,, quindi, anche della pistola.
Tale motivazione della rappresentazione e dell’adesione del (omissis) a un’estorsione che comportava l’impiego di un’arma e all’utilizzazione della stessa arma nella realizzazione del reato appare priva di contraddizioni e illogicità manifeste, nonchè conforme alla giurisprudenza della Corte di cassazione in tema di concorso nel reato di porto in luogo pubblico di un’arma (Sez. 1, n. 40702 del 21/12/2017, dep. 2018, Foschini, Rv. 274364-01; Sez. 2, n. 46286 del 23/09/2003, Inglese, Rv. 226971-01).
2.5. Il sesto motivo non è fondato.
Quanto al lamentato mancato riconoscimento della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità prevista dall’art. 62 c.p., n. 4), si deve rammentare che tale attenuante non è configurabile in riferimento al delitto di estorsione, di natura plurioffensiva, quando, seppur derivato dalle azioni violente o minacciose un pregiudizio patrimoniale di modesto valore economico, lo stesso sia accompagnato però da rilevanti conseguenze sulla libertà e integrità fisica e morale della vittima (Sez. 2, n. 46504 del 13/09/208, B., Rv. 274080-01, la quale ha attribuito rilievo al perdurante stato d’ansia determinato dalle reiterate e pesanti minacce esercitate dall’imputato. In precedenza, in senso analogo: Sez 2, n. 12456 del 04/03/2008, Umina, Rv. 239749-01, la quale ha affermato il principio secondo cui, ai fini della configurabilità dell’attenuante del danno di speciale tenuità in riferimento al delitto di estorsione, non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia, atteso che il delitto ha natura di reato plurioffensivo perchè lede non solo il patrimonio ma anche la libertà e l’integrità fisica e morale aggredite per la realizzazione del profitto, con la conseguenza che solo ove la valutazione complessiva del pregiudizio sia di speciale tenuità si può fare luogo all’applicazione dell’attenuante in questione; Sez. 2, n. 45985 del 23/10/2013, Donati, Rv. 257755-01).
Il ricorrente ha del tutto omesso di confrontarsi con tale giurisprudenza della Corte di cassazione e non ha quindi considerato le rilevanti conseguenze del commesso reato di estorsione sulla libertà e integrità fisica e morale del (omissis), il quale era stato vittima di una protratta condotta ricattatoria, culminata in una minaccia con una pistola e in una violenza che gli aveva cagionato lesioni guaribili in venti giorni, conseguenze che – alla luce delle predetta non considerata giurisprudenza della Corte di cassazione – appaiono palesemente incompatibili con il riconoscimento dell’invocata circostanza attenuante.
Quanto al lamentato mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, richiamati i principi, già ricordati al punto 1.4, affermati dalla Corte di cassazione in materia, si deve rilevare che la Corte d’appello di Roma ha negato la concessione delle richieste circostanze attenuanti generiche ritenendo decisivi e prevalenti, a tale fine, gli elementi, attinenti all’entità del reato e alla capacità a delinquere dell’imputato, della pervicacia criminosa, confermata dalla pluralità di incontri che il (omissis) aveva avuto con la persona offesa – della cui effettiva sussistenza, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, si è già detto al punto 2.1 – della disponibilità di armi utilizzate ai fini delle intimidazioni, della violenza (costituita dal menzionato forte pugno alla nuca) esercitata dall’imputato sulla persona offesa, legittimamente ritenendo “neutro”, anche a fronte di tali elementi, il fatto che l’imputato avesse reso delle spontanee dichiarazioni.
Alla luce dei consolidati principi della giurisprudenza di legittimità sopra esposti, tale motivazione si deve ritenere sufficiente e, in quanto espressiva di un giudizio di fatto, non sindacabile in questa sede di legittimità.
2.6. Il settimo motivo non è fondato.
Anzitutto, non si può ritenere sussistente il lamentato errore nel calcolo della pena pecuniaria, atteso che, posto che la Corte d’appello di Roma ha fatto riferimento all’irrogazione, da parte del Tribunale di Tivoli, di una maggiorazione di pena per la continuazione “identica a quella praticata per (omissis)”, tale riferimento non può che intendersi riferito alla pena detentiva, atteso che l’aumento per la continuazione che era stato irrogato al (omissis) dallo stesso Tribunale di Tivoli era identico a quello del (omissis) solo con riguardo alla pena detentiva (sei mesi di reclusione per entrambi), mentre era diverso con riguardo alla pena pecuniaria (Euro 1.000,00 per il (omissis) ed Euro 600,00 per il (omissis)).
Quanto alla doglianza secondo cui l’aumento per la continuazione irrogato al (omissis), contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello di Roma, avrebbe dovuto essere parametrato a quello irrogato al (omissis), piuttosto che a quello irrogato al (omissis), si deve anzitutto osservare che, secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, la determinazione della pena rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito e non è sindacabile in cassazione quando, nel caso di maggiorazioni per la continuazione, come nel caso di specie siano irrogati aumenti di esigua entità, poichè in tale caso è escluso in radice ogni abuso del potere discrezionale conferito al giudice dall’art. 132 c.p. (Sez. 6, n. 44428 del 05/10/2022, Spampinato, Rv. 284005-01).
Nè, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, si può ritenere arbitraria l’irrogazione al (omissis) di un aumento per la continuazione analogo (quanto alla pena detentiva) a quello irrogato al (omissis), piuttosto che a quello irrogato al (omissis), ove solo si tenga conto del fatto che, dei tre imputati, il (omissis) era quello che aveva usato materialmente violenza nei confronti della persona offesa e le aveva materialmente cagionato le conseguenti lesioni.
2.7. L’ottavo motivo non è fondato sotto entrambi i profili in cui è articolato.
Quanto al primo profilo, il Collegio, pur non ignorando l’esistenza di precedenti di segno opposto (Sez. 1, n. 39087 del 24/05/2019, Mersini, Rv. 276869-01; Sez. 2, n. 14068 del 27/02/2019, Selvaggio, Rv. 275772-01), ritiene di aderire all’orientamento, espresso da più recenti pronunce della Corte di cassazione, secondo cui, in tema di giudizio abbreviato, la riduzione di cui all’art. 442 c.p.p., comma 2, come novellato dalla L. n. 103 del 2017, deve essere operata, nel caso di continuazione tra delitti e contravvenzioni, nella misura unitaria di un terzo prevista per i delitti, essendo la pena del reato continuato parametrata su quella stabilita per il delitto in applicazione della regola del cumulo delle pene concorrenti ex art. 76 c.p. (Sez. 6, n. 48834 del 07/11/2022, Sterrantino, Rv. 284076-01; Sez. 3, n. 41755 del 06/07/2021, A., Rv. 28267001).
Quanto al secondo profilo, il Collegio ritiene di dare seguito all’orientamento ribadito dalle Sezioni unite di questa Corte (Sez. U, n. 40983 del 21/06/2018, Giglia, Rv. 273751-01) secondo cui l’art. 81 c.p. comporta che l’aumento di pena per il reato satellite si debba effettuare secondo il criterio della pena unica progressiva “per moltiplicazione”, rendendo omogenea la pena per il reato satellite a quella dello stesso genere, sia pure più grave, del reato base, senza che tale omogeneizzazione, discendendo dalla previsione del menzionato art. 81 c.p., si possa ritenere comportare alcuna violazione del principio del favor rei.
3. Il ricorso di (omissis) è inammissibile.
Anzitutto, come si è visto esaminando il secondo motivo del ricorso di (omissis), la Corte d’appello di Roma ha ritenuto di fondare la propria decisione sulla prova documentale costituita dal filmato che rappresentava il fatto, considerando, perciò, logicamente, non rilevanti le descrizioni che, dello stesso fatto, erano state fornite dalla persona offesa (omissis) e dagli stessi agenti di polizia giudiziaria che avevano proceduto all’arresto degli imputati. Si è pure detto come, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la stessa Corte d’appello di Roma abbia argomentato in modo del tutto logico anche in ordine all’irrilevanza delle inesattezze delle predette descrizioni con riguardo alle condotte specificamente poste in essere da ciascun imputato, sulla scorta degli argomenti che, non solo tali condotte risultavano oggettivamente dal menzionato filmato, ma anche che: da un lato, le predette inesattezze potevano derivare, quanto al (omissis), dallo stato di agitazione e di paura in cui egli ebbe a trovarsi nella concitazione del fatto, e, comunque, erano attribuibili a soggetti – tra cui anche, come si è detto, gli agenti della polizia giudiziaria – che non avevano alcun interesse ad attribuire singoli atti all’uno piuttosto che all’altro degli imputati; dall’altro lato, la compresenza al fatto di tutti e tre gli imputati, rendeva attribuibile lo stesso a tutti, a prescindere dalla paternità dei singoli atti compiuti da ciascuno.
In secondo luogo, quanto alla censura del ricorrente secondo cui la Corte d’appello di Roma non avrebbe dato adeguato riscontro alle doglianze che erano state sollevate con il proprio atto di appello, la stessa censura risulta del tutto generica e, quindi, inammissibile, atteso che il ricorrente non ha neppure indicato quali risultanze del filmato del fatto non sarebbero state “valorizzate” dalla Corte d’appello di Roma, quali prove, già “trascurate dal GUP”, la Corte d’appello 19 avrebbe omesso di valutare, e, più in generale, a quali doglianze del proprio atto di appello la Corte romana non avrebbe replicato.
4. Pertanto: i ricorsi di (omissis) e di (omissis) devono essere dichiarati inammissibili, con la conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., comma 1, al pagamento delle spese del procedimento, nonchè, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende; il ricorso di (omissis) deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., comma 1, al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi di (omissis) e (omissis) che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Rigetta il ricorso di (omissis) che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2023.
Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2023
