1. Con provvedimento 20 dicembre 2023 il Magistrato di sorveglianza di Catania autorizzava il detenuto domiciliare Gi.Sa. ad assentarsi dal domicilio, due giorni a settimana, in orario rispettivamente antimeridiano e pomeridiano, onde consentire al medesimo, in relazione ad un processo penale pendente a suo carico, lo svolgimento del programma di messa alla prova, ai sensi dell’art. 168-bis cod. pen., alla quale Gi.Sa. veniva conseguentemente sottoposto dal giudice di cognizione in data 29 gennaio 2024.
2. In costanza di esperimento sopraggiungeva il provvedimento in epigrafe, adottato d’ufficio, con il quale il Magistrato di sorveglianza dava atto della diversità ontologica esistente tra la detenzione domiciliare e la sospensione del procedimento con messa alla prova, riteneva l’impossibilità di applicazione congiunta dei due regimi (dovendo il secondo essere postergato alla conclusione del primo) e revocava le autorizzazioni già concesse.
3. Gi.Sa. ricorre per cassazione avverso tale secondo provvedimento, con il ministero del suo difensore di fiducia.
Nel motivo unico il ricorrente deduce l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, e processuale penale, sostenendo non esservi alcuna rigida preclusione alla concessione della messa alla prova in pendenza di una misura alternativa alla detenzione e rimarcando l’assenza di circostanze sopravvenute, ostative al mantenimento delle autorizzazioni già concesse.
1. Il ricorso è anzitutto ammissibile, giacché, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1, n. 52134 del 07/11/2019, Z., Rv. 277884 – 01; Sez. 1, n. 108 del 30/11/2012, dep. 2013, Fazzari, Rv. 254166- 01; Sez. 1, n. 45581 del 23/11/2007, Priebke, Rv. 238919 – 01), nei confronti dei provvedimenti adottati dal Magistrato di sorveglianza, ex art. 47-ter, comma 4, legge 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.), è sempre esperibile il ricorso in cassazione per violazione di legge, trattandosi di provvedimenti che incidono sulla libertà personale.
2. Il ricorso è altresì fondato, alla luce delle seguenti considerazioni.
3. L’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova, esteso dalla legge 28 aprile 2014, n. 67, agli imputati maggiorenni, si caratterizza quale modalità alternativa di definizione del procedimento penale (v. già Sez. F., n. 35717 del 31/07/2014, Ceccaroni, Rv. 259935 – 01), attivabile nella fase delle indagini preliminari o nei prodromi dell’udienza preliminare o del giudizio, mediante la quale è possibile pervenire, in presenza di determinati presupposti normativi, ad una pronuncia di proscioglimento per estinzione del reato all’esito di un periodo di prova, destinato a saggiare l’avvenuto reinserimento sociale del condannato.
Si tratta di un meccanismo che, su base consensuale e in funzione della riparazione sociale e individuale del torto connesso alla consumazione del reato, innesta nel procedimento una vera e propria fase incidentale in cui si svolge l’esperimento trattamentale, il cui esito positivo determina l’effetto estintivo (Sez. U., n. 36272 del 31/03/2016, Sorcinelli, Rv. 267238 – 01).
L’istituto riveste una portata rieducativa e afflittiva al tempo stesso, in quanto l’esperimento è accompagnato, tra l’altro, dall’obbligo di prestare lavoro di pubblica utilità, nonché dall’imposizione di prescrizioni, concordate all’atto dell’ammissione al beneficio e modulate sullo schema dell’affidamento in prova al servizio sociale, incidenti in maniera significativa, nel corso del procedimento penale, sulla libertà personale del soggetto che vi è sottoposto (Sez. U., n. 14840 del 27/10/2022, dep. 2023, Società La Sportiva, Rv. 284273 – 02).
4. L’art. 298 cod. proc. pen. regola il concorso di titoli esecutivi e misure cautelari processuali.
Tale disposizione, nel suo comma 1, risolve l’interferenza tra ordine di carcerazione e cautela processuale, accordando rilievo poziore al primo, salvo che gli effetti della misura cautelare disposta siano compatibili con l’espiazione della pena (Sez. 6, n. 33051 del 07/06/2018, Baku).
In base al suo comma 2, è da ritenere viceversa possibile, in linea di principio, la contestuale esecuzione della misura alternativa alla detenzione e di una misura cautelare, dovendosi poi solo verificare, in concreto, avuto riguardo alle limitazioni connaturali alle due misure anzidette, l’effettiva compatibilità fra l’una e l’altra, nel rispetto, dalla legge ritenuto preminente, della misura cautelare (Sez. 1, n. 35781 del 27/11/2020, Russo, Rv. 280095 – 01).
5. La natura di misura endoprocessuale, sostanzialmente limitatrice della libertà personale, che, come osservato, deve essere riconosciuta alla messa alla prova ex art. 168-bis cod. pen., rende analogicamente applicabile l’art. 298, comma 2, cod. proc. pen.
La coesistenza di una misura alternativa alla detenzione, anche restrittivamente conformata, quale la detenzione domiciliare, con il regime della messa alla prova, anteriormente o successivamente disposta, non solo, dunque, non è da escludere in linea di principio, ma deve essere ammessa tutte le volte in cui risulti possibile armonizzare le relative prescrizioni.
In materia di detenzione domiciliare, il condannato può essere autorizzato a lasciare il domicilio non solo per il soddisfacimento delle proprie indispensabili esigenze di vita, o per svolgere l’attività lavorativa necessaria per il sostentamento, a norma dell’art. 284, comma 3, cod. proc. pen., ma per ogni diversa esigenza connessa agli interventi del servizio sociale, anche relativi ad una procedura giudiziaria diversa da quella esecutiva in atto, o, più in generale, per altre finalità di giustizia penale; le prescrizioni della detenzione domiciliare possono essere, a tal fine, sempre modificate dal magistrato di sorveglianza, come consentito dall’art. 47-ter, comma 4, Ord. pen.
Il criterio, che deve orientare la discrezionalità di quest’ultimo organo giudiziario, e che funge da limite esclusivo alla concessione di tali autorizzazioni, è che quest’ultima non alimenti realmente il pericolo che il condannato commetta, suo tramite, altri reati, essendo la detenzione domiciliare costruita sul presupposto che la misura risulti idonea a scongiurare la recidiva delittuosa.
6. Il provvedimento impugnato non è conforme agli esposti principi di diritto e deve essere annullato senza rinvio.
Esso muove dal presupposto dell’ontologica inconciliabilità tra le misure giudiziarie di causa, che si è visto essere errato.
Esclusa una tale inconciliabilità, il ritiro delle autorizzazioni già concesse al detenuto domiciliare, necessarie all’esecuzione del programma di messa alla prova, disposto peraltro proprio a seguito del loro rilascio, avrebbe dovuto essere giustificato da concrete sopravvenienze ostative, dal giudice a quo neppure ipotizzate.
Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato.
Così deciso in Roma, il 31 ottobre 2024.
Depositata in Cancelleria l’8 novembre 2024.
