Svolgimento del processo
1. Con ordinanza in data 25/10/2024, il Tribunale di Bologna – sezione impugnazione cautelari penali ha confermato l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bologna in data 04/10/2024, con la quale era stata applicata la custodia cautelare in carcere a carico di (omissis) per il reato di tentato omicidio in danno di (omissis), commesso nelle prime ore del mattino del 29/09/2024 nella piazza antistante la stazione ferroviaria di Bologna, colpendolo con alcune coltellate e provocandogli una lacerazione epatica da multiple ferite da arma bianca con annessa grave emorragia.
Il Tribunale ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza alla luce delle dichiarazioni rese nell’immediatezza dalla vittima, soccorsa mentre era sanguinante da personale sanitario e dalle forze dell’ordine, e dai riscontri acquisiti nel corso delle immediate successive indagini, culminate con il fermo di (omissis).
(omissis) aveva riferito di essere stato avvicinato da (omissis), soggetto che indicava in una foto sul profilo Facebook; costui insisteva per cedergli dello stupefacente e, vista la sua mancata risposta, si era innervosito e lo aveva improvvisamente colpito. Il Tribunale aveva ritenuto tale racconto attendibile e confermato dalle immagini estratte da una videocamera posta nei paraggi del luogo del delitto, nonché dal successivo intervento delle forze dell’ordine, che, individuato il (omissis), lo avevano bloccato mentre si dava alla fuga.
La misura cautelare della custodia in carcere veniva ritenuta la più adeguata sia per la gravità del fatto sia per la personalità dell’indagato, sia infine perché non era stato indicato alcun luogo idoneo dove l’indagato potesse essere accolto agli arresti domiciliari
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso il difensore di (omissis) e ha articolato i seguenti motivi.
2.1 Con il primo lamenta violazione ed erronea applicazione dell’art. 273 cod. proc. pen. in relazione all’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., per avere il Collegio ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza sulla base di un giudizio di attendibilità della persona offesa.
La difesa censura il provvedimento impugnato perché indica (omissis) come soggetto dedito agli illeciti in materia di stupefacenti, mentre egli è solo gravato da precedenti di polizia per reati contro il patrimonio e anche in occasione dell’inseguimento e poi della perquisizione da parte degli investigatori subito il tentato omicidio, gli è stata trovata indosso una quantità di stupefacente di cocaina, pienamente compatibile con l’uso personale. Il Tribunale avrebbe ravvisato una relazione tra questo fatto e il tentato omicidio, sulla base di mere presunzioni che non potevano valere a corroborare il racconto della persona offesa.
Le sue dichiarazioni invece dovevano essere considerate sospette perché i due si conoscevano ma sui loro rapporti e sulle ragioni dell’alterco della notte del (omissis) non aveva fornito alcun dettaglio.
Anche le immagini delle telecamere pubbliche non evidenziano movimenti effettivamente sovrapponibili alle descrizioni della dinamica offerta da (omissis).
Illogiche sarebbero anche le conclusioni del Tribunale in ordine alla sussistenza delle condizioni per ravvisare il tentato omicidio, respingendo le deduzioni difensive affermando in senso contrario che le ferite erano plurime.
Tuttavia, la difesa aveva sostenuto che non plurime, ma una sola era la ferita alla zona addominale, mentre quelle al braccio e al viso erano compatibili con azioni di autodifesa. Da questa diversa tipologia di ferite emergeva che non vi era volontà effettiva di uccidere ma al più di difendersi, come peraltro dimostra ulteriormente il fatto che dopo aver inferto i colpi il feritore abbia desistito da ogni azione violenta.
2.2 Con il secondo motivo si lamenta violazione ed erronea applicazione dell’art. 274 cod. proc. pen. in relazione all’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., per avere il Collegio ritenuto sussistenti le esigenze cautelari.
Il Tribunale ha basato questa valutazione sul fatto che la condotta illecita era avvenuta in un luogo pubblico e che (omissis) era aduso a portare con sé armi, circostanza quest’ultima che non si poteva presumere per via di un solo precedente presente sul casellario. Non vi erano, poi, altri elementi per ritenerlo attualmente pericoloso.
2.2 Con il terzo motivo si lamenta violazione ed erronea applicazione dell’art. 275 cod. proc. pen. in relazione all’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., per avere il Collegio ritenuto adeguata e proporzionata solo la misura della custodia cautelare in carcere, senza tenere conto dei principi costituzionali in materia di rieducazione e risocializzazione del condannato.
3. Il Procuratore Generale, (omissis), ha concluso con memoria scritta con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il giudizio di legittimità relativo alla verifica della sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza (ex art. 273 cod. proc. pen.), oltre che delle esigenze cautelari (ex art. 274 cod. proc. pen.), deve riscontrare – entro il perimetro circoscritto dalla devoluzione – la violazione di specifiche norme di legge o la mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. Essa, dunque, non può intervenire nella ricostruzione dei fatti, né sostituire l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza dei dati probatori, bensì deve dirigersi a controllare se il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l’hanno convinto della sussistenza o meno della gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e a verificare la congruenza della motivazione riguardante lo scrutinio degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che devono governare l’apprezzamento delle risultanze analizzate (cfr. Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, rv. 215828; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, rv. 255460; Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Mazzelli, rv. 276976).
È pertanto consequenziale il principio, secondo il quale “in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione che deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, o assenza delle esigenze cautelari, è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito” (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628).
Quanto alle norme processuali da applicare, si è affermato che “gli indizi di colpevolezza non devono essere valutati secondo i medesimi criteri richiesti per il giudizio di merito, essendo sufficiente la sola gravità di essi, evidenziata da qualsiasi elemento idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità della responsabilità dell’indagato, e non anche la precisione e la concordanza. (In motivazione, la Corte ha precisato che la previsione di cui all’art. 273, comma 1-bis, cod. proc. pen. richiama espressamente quelle di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 192 cod. proc. pen., ma non quella di cui al comma 2)” (Sez. 2, n. 8948 del 10/11/2022, dep. 2023, Pino, Rv. 284262 – 01).
3. Il primo motivo lamenta che il giudice della cautela non ha interpretato il quadro indiziario secondo una lettura alternativa degli indizi e quindi propone un’inammissibile censura rivalutativa, senza individuare alcuno specifico vizio logico nel percorso argomentativo del provvedimento impugnato.
I gravi indizi a carico di (omissis) sono costituiti, secondo la ricostruzione del Tribunale: a) dalle prime dichiarazioni della persona offesa che ne ha indicato subito agli operanti che lo soccorrevano il nome e l’immagine sul profilo Facebook per identificare la persona che lo aveva aggredito dopo una discussione relativa ad una cessione di stupefacente; b) dalle ricerche degli operanti che portavano all’individuazione dell’odierno ricorrente, il quale si dava alla fuga e, quando veniva bloccato, nello zaino da lui abbandonato per sottrarsi alle forze dell’ordine erano stati trovati denaro in contanti e due confezioni di sostanza stupefacente di tipo cocaina; c) dal successivo riconoscimento, da parte della persona offesa, della foto di (omissis) inserita in un album fotografico come quella del soggetto che lo aveva colpito con il coltello nelle prime ore del mattino del 29/09/2024 nella piazza antistante la stazione ferroviaria di Bologna, provocandogli una lacerazione epatica.
Si tratta di elementi convergenti che la difesa ritiene essere stati illogicamente valorizzati perché non si era tenuto conto delle contraddizioni e dell’inattendibilità della persona offesa (omissis), gravato da precedenti penali.
Ma il Tribunale del riesame ha logicamente esaminato il contesto nel quale tanto la persona offesa quanto l’indagato risultavano aver operato, essendo entrambi gravati da precedenti penali, per concludere, in modo congruo, circa la complessiva attendibilità delle ragioni dalle quali poteva essere scaturita l’azione violenta di (omissis), e cioè una contrattazione su stupefacenti, evidenziando che certamente il tenore del dialogo intercorso tra i due appariva, nella narrazione di (omissis), connotato dalla volontà di ridimensionare il proprio coinvolgimento nei traffici di illeciti.
Tuttavia, questo dato non poteva far dubitare della sua complessiva ricostruzione, immediatamente resa e confermata dagli ulteriori elementi ricavabili dalle immagini della videoripresa di una telecamera collocata nelle vicinanze, che, seppur non consentivano di identificare (omissis), segnalavano l’avvicinamento di un soggetto alla vittima con modi e abbigliamento compatibili con quelli riferiti dall’aggredito.
Questo elemento risultava coerente con i dati acquisiti dopo l’inseguimento di costui e il sequestro di stupefacenti.
Le doglianze proposte in ricorso dalla difesa in ordine alla valutazione degli indizi con i quali è stato ricostruito il quadro a carico dell’indagato sono del tutto sovrapponibili a quelle già esaminate dal Tribunale del riesame e non introducono alcun argomento critico, limitandosi a censurare il fatto che le proprie ragioni avrebbero dovuto avere diversa considerazione dal giudice di merito.
Lo stesso dicasi per la doglianza in ordine alla qualificazione della condotta come tentato omicidio; il ricorrente ripropone la tesi secondo la quale non plurime erano le ferite, come affermato dal giudice della cautela, ma una sola, quella alla zona addominale, mentre quella al braccio era compatibile con azioni di autodifesa, mentre quella al viso era rimasta priva di riscontro.
In forza di questi dati già la difesa aveva sostenuto che non vi era volontà effettiva di uccidere ma al più di difendersi, come peraltro dimostrava ulteriormente il fatto che dopo aver inferto i colpi il feritore avesse desistito da ogni azione violenta.
Tuttavia, con ineccepibile motivazione il Tribunale del riesame aveva ricavato gli elementi per la qualificazione della condotta come tentato omicidio dalle modalità aggressive descritte, dal fatto che comunque i colpi furono ripetuti, dalla particolare direzionalità del colpo in una zona dove sono collocati organi vitali e la cui potenzialità letale è stata attestata anche dai sanitari che avevano preso in carico il ferito, dalla sussistenza di tutti i profili indiziari del dolo diretto, quantomeno nella forma alternativa, visto che anche un solo colpo mirato a organi vitali è sintomatico di volontà omicida.
4. Il secondo motivo è del pari inammissibile.
Il ricorrente lamenta che il pericolo di reiterazione del reato è stato desunto dal fatto che la condotta illecita era avvenuta in un luogo pubblico e che (omissis) era aduso a portare con sé armi e censura il fatto che quest’ultima era stata inammissibilmente ricavata da un solo precedente presente sul casellario e che non sussistevano altri elementi per ritenerlo attualmente pericoloso.
Ma tali argomenti non si confrontano con il nucleo fondamentale della motivazione del giudice della cautela, che valorizza le modalità di esecuzione della condotta, indicativa dell’assoluta capacità di autocontrollo dell’indagato, e il suo contegno dopo la commissione del reato, caratterizzato da una fuga rocambolesca e pericolosa per sottrarsi al controllo delle forze dell’ordine, che ha comportato l’esplosione di colpi di arma da fuoco e l’inseguimento anche con l’aiuto di un’autovettura di un privato.
A fronte di questi univoci dati indicativi di pericolosità, i precedenti per reati in materia di stupefacenti e quello specifico per armi, pur ricondotto all’ipotesi di cui all’art. 131-bis cod. pen., sono elementi che si aggiungono a corroborare una valutazione cautelare che poggia soprattutto sulle risultanze del suo comportamento, più prossime all’adozione del provvedimento, e appare conforme all’indirizzo secondo il quale “in tema di presupposti per l’applicazione delle misure cautelari personali, il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato non va equiparato all’imminenza del pericolo di commissione di un ulteriore reato, ma indica, invece, la continuità del “periculum libertatis” nella sua dimensione temporale, che va apprezzata sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell’indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a realizzare” (Sez. 2, n. 6593 del 25/01/2022, Mungiguerra, Rv. 282767 – 01).
Da questi elementi (scarsa capacità di autocontrollo e insistita e protratta fuga) si traeva ineccepibilmente certezza anche sulla sua inaffidabilità rispetto all’osservanza di prescrizioni connesse con misure cautelari meno afflittive.
Sicché del pari inammissibile, perché apodittico e per nulla pertinente rispetto alle ragioni poste a base della decisione del giudice della cautelare, è il terzo motivo con il quale si lamenta che il Tribunale del riesame aveva dato “poca fiducia” all’indagato negandogli una misura meno afflittiva e in particolare quella degli arresti domiciliari, della quale si evocava genericamente la maggiore conformità ai principi costituzionali in materia di rieducazione senza tuttavia evidenziare sotto quale profilo in concreto, rispetto alla posizione di (omissis), la motivata scelta contenuta nel provvedimento impugnato dovesse considerarsi viziata.
5. Ne consegue che il ricorso va dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ravvisandosi ipotesi di esclusione della colpa nella determinazione della causa di inammissibilità ai sensi della sentenza della Corte Costituzionale n.186 del 07/06/2000 – anche della condanna al pagamento della somma, ritenuta congrua, di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende. manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così è deciso, 20 marzo 2025
Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2025
