Massima

La presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere per reati di omicidio aggravato da finalità mafiose e di detenzione di armi con aggravante mafiosa non è superata dalla mera condotta quiescente durante precedenti misure meno afflittive, né da elementi già valutati, richiedendosi la prova univoca e decisiva di una definitiva e attuale recisione dei legami con la criminalità organizzata per vincere tale presunzione e giustificare una misura meno afflittiva.

Supporto alla lettura

MISURE CAUTELARI

Si tratta di quei provvedimenti, di natura provvisoria ed immediatamente esecutiva, emessi dall’Autorità Giudiziaria, finalizzati a prevenire determinati eventi che possono verificarsi durante le indagini preliminari o nel corso del processo, capaci di compromettere la funzione giurisdizionale.

Le misure cautelari si dividono in:

– PERSONALI: cioè limitative della libertà personale. Possono essere:

  • coercitive (sopprimono o limitano la libertà personale): si distinugono in custodiali, quindi arresti domiciliari (art. 284 c.p.p.), custodia in carcere (art. 285 c.p.p.), custodia in luogo di cura (art. 286 c.p.p.); non custodiali, divieto di espatrio (art. 281 c.p.p.), obbligo di presentazione alla P.G. (art. 282 c.p.p.), allontanamento dalla casa familiare (art. 282bis c.p.p.), divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282ter c.p.p.), divieto e obbligo di dimora (art. 283 c.p.p.)
  • interdittive (diritti e facoltà personali): quindi: sospensione della potestà di genitore (art. 288 c.p.p.), sospensione da un pubblico ufficio o servizio (art. 289 c.p.p.), in questo caso il GIP deve prima procedere ad interrogatorio, divieto di esercitare determinate attività (art. 290 c.p.p.)

– REALI: provvedimenti che incidono sul patrimonio, hanno finalità cautelari riferibili o alla garanzia per il pagamento delle pene pecuniarie, spese di giustizia ed eventuali risarcimenti danni (sequestro conservativo, artt. 316-320 c.p.p.), ovvero all’esigenza di impedire la commissione di nuovi reati o ulteriori conseguenze a quelli già commessi (sequestro preventivo, artt. 321-323 c.p.p.). Tali misure vanno richieste al giudice da parte del P.M., per esse è previsto un sistema di impugnazioni e non sono condizionate ai presupposti dei gravi indizi e delle esigenze cautelari.

Per quanto riguarda le condizioni per l’applicazione di tali misure, bisogna guardare a:

  • limite edittale della pena: delitti, pena dell’ergastolo o della reclusione superiore al massimo a 3 anni per le misure coercitive diverse dalla custodia cautelare in carcere e per le misure interdittive, pena della reclusione non inferiore nel massimo a 4 anni per la custodia cautelare in carcere;
  • gravi indizi di colpevolezza;
  • esigenze cautelari (art. 274 c.p.p.): devono essere specifiche ed inderogabili, relative ad un pericolo di inquinamento probatorio ed attuale, fondate su circostanze, espressamente indicate nel provvedimento, pena nullità (in questo caso la custodia cautelare non può avere durata superiore ai 30 giorni ed è prorogabile fino a un massimo di 90 giorni). Se vi è fuga o pericolo di fuga, quando la pena applicabile in concreto superi i due anni di reclusione, oppure per gravi delitti con uso delle armi o altri mezzi di violenza personale, contro ordine costituzionale, criminalità organizzata.

Il giudice adotterà la misura cautelare più opportuna, secondo i principi di adeguatezza di proporzionalità, di obbligatorietà della custodia cautelare, nel caso di criminalità organizzata, omicidio volontario, prostituzione o pornografia minorile. Non può disporsi la custodia cautelare in carcere di donna incinta, madre di prole inferiore a 3 anni con lei convivente, padre se la madre è deceduta o impossibilitata a dare assistenza alla prole, ultrasettantenne.

L’applicazione della misura avviene con provvedimento del giudice, su richiesta del P.M., il quale dovrà trasmettere al giudice, unitamente alla richiesta di applicazione di una misura cautelare, non solo gli elementi che sono a fondamento di essa, ma anche quelli a favore dell’imputato, le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate. All’esecuzione dell’ordinanza dovrà seguire l’interrogatorio (c.d. di garanzia) della persona interessata. Nel caso di mancata esecuzione per irreperibilità della persona da sottoporre alla misura cautelare, l’art. 295 c.p.p. prevede che a seguito di verbale di vane ricerche, il giudice dichiari la latitanza del soggetto, quando la misura sia di tipo coercitivo, ma non necessariamente custodiale.

Avverso l’ordinanza che applica le misure, oltre il ricorso per cassazione è previsto il duplice rimedio del riesame e dell’appello

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 09/12/2024, il Tribunale per il riesame di Napoli ha confermato l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli in data 29/10/2024, con la quale era stata respinta l’istanza di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico in favore di (omissis).

(omissis) era stato condannato in primo grado con sentenza del 25/06/2024 per omicidio aggravato dalla finalità di agevolare l’associazione camorristica, denominata clan (omissis), alla pena di anni 18 e mesi 8 di reclusione.

L’omicidio, commesso in (omissis) il (omissis), in danno di (omissis), rientrava nella faida che opponeva il clan (omissis) al clan (omissis).

Il lungo periodo di detenzione sofferto dal ricorrente dal 2005 al 2016, così come il suo successivo trasferimento a Torino e la sua sottoposizione agli arresti domiciliari da parte del Tribunale del riesame il 21/07/2022, che aveva sostituito la più severa misura della custodia in carcere in relazione ad altro procedimento in cui era gravato da indizi per il reato di cui all’art. 74 D.P.R. n. 309/90, commesso fino all’anno 2017, non venivano considerati elementi nuovi, perché già valutati dal Tribunale del riesame in questo procedimento con ordinanza in data 18/04/2023, che costituiva giudicato cautelare.

L’omicidio (omissis) doveva considerarsi un fatto assai grave, non noto all’autorità giudiziaria, che in passato per altro titolo aveva ritenuto sufficiente ed adeguata la misura gradata degli arresti domiciliari.

Sebbene nel giudizio di merito, rispetto all’originaria contestazione oggetto di valutazione cautelare, fosse stata esclusa l’aggravante della premeditazione ed era stata pronunciata l’assoluzione per il tentato omicidio di (omissis), l’accusa che era rimasta asseverata dalla sentenza di primo grado costituiva certamente la più grave ed allarmante ai fini della presunzione di adeguatezza della misura in atto.

Il Tribunale aggiungeva, poi, che dalla documentazione in atti emergeva che (omissis) era stato condannato in via definitiva anche per un reato di detenzione di armi aggravato dall’art.416-bis.1. cod. pen., commesso l’08/03/2021; circostanza, questa, che smentiva la tesi difensiva, secondo la quale, dopo il 2017, (omissis) si sarebbe allontanato dal contesto criminale.

Per questo titolo era stato ristretto agli arresti domiciliari, ma per un periodo troppo breve per essere significativo di un cambiamento delle scelte di vita dell’imputato. Non risultavano, inoltre, altri segni di resipiscenza, univocamente dimostrativi di un reale allontanamento dagli ambienti camorristici.

2. Avverso tale ordinanza hanno proposto ricorso i difensori di (omissis) e hanno dedotto vizi ex art. 606, lett. b) e c), cod. proc. pen., in riferimento agli art. 274275, comma 3, 292 e 310 cod. proc. pen., nonché ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per motivazione illogica, contraddittoria e apodittica con riguardo all’asserita insussistenza di elementi idonei a determinare il superamento della presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari.

Contraddittorio è il richiamo del provvedimento impugnato al giudicato cautelare, visto che esso si è formato prima che fosse ridimensionato il quadro di gravità indiziaria dal quale originava la

presunzione di adeguatezza della misura cautelare in carcere, cioè prima che (omissis) fosse assolto da una delle imputazioni a lui contestate di tentato omicidio e fosse esclusa a suo carico la premeditazione per il reato di omicidio.

Viziata è la motivazione perché trascura il tema riguardante la sostituzione della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari in relazione all’ipotesi di reato a suo carico di partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, peraltro con ruolo apicale, perché il comportamento corretto da lui tenuto durante la sottoposizione agli arresti domiciliari doveva essere analizzata quale prova principe della recisione dei legami con il contesto criminale.

Inoltre, la motivazione si era limitata a richiamare il reato di detenzione di arma da guerra aggravato ex art. 416-bis.1. cod. pen., senza esaminare in concreto il fatto e spiegare per quali ragioni dovesse considerarsi sintomatico dell’attualità dei legami con il clan operante all’epoca del reato di omicidio per il quale era stata applicata la misura cautelare.

3. Il Procuratore Generale, Antonio Balsamo, ha concluso con memoria scritta con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Le censure proposte dalla difesa sono tutte meramente controvalutative e restano fuori dai confini entro i quali deve muoversi il giudizio di legittimità.

Anzitutto fuori fuoco è la doglianza secondo la quale il Tribunale del riesame avrebbe opposto l’esistenza del giudicato cautelare, poiché il provvedimento impugnato è motivato facendo riferimento a tutti gli elementi che la difesa ha indicato come ulteriori e successivi, valutandoli con insindacabile giudizio di merito, sorretto da percorsi argomentativi immuni da vizi logici, e considerandoli privi dei necessari elementi di novità e di decisività.

Il Tribunale ha spiegato che il venir meno di alcune accuse, a fronte del mantenimento del dato che fonda la presunzione cautelare e di adeguatezza della misura, cioè l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1. cod. pen., non può incidere sul ridimensionamento sia della presunzione sia delle esigenze cautelari nella loro consistente effettività.

Resta incontestato il dato di fatto della già avvenuta valutazione con ordinanza del Tribunale del riesame della presofferta detenzione dal 2005 al 2016 e del suo trasferimento a Torino con la scelta di sostituire in suo favore in relazione al delitto di cui all’art. 74 D.P.R. n. 309/90 la misura più afflittiva con quella degli arresti domiciliari.

Il ricorrente ritiene che tali circostanze siano state valutate con riferimento ad una contestazione che successivamente è stata ridimensionata, in quanto per l’omicidio per il quale si procedeva il (omissis) era stato condannato con l’esclusione dell’aggravante della premeditazione e per altro tentato omicidio era stato assolto. Ritiene, altresì, che tali elementi avrebbero dovuto essere valutati nell’ambito di una valutazione complessiva che doveva tenere conto del fatto che, nel periodo in cui era stato sottoposto agli arresti domiciliari per il reato di cui all’art. 74 D.P.R. n. 309/90, non aveva mai contravvenuto alle prescrizioni e non risultava che si fosse adoperato per riattivare i legami con la criminalità organizzata, fatto questo che sorreggeva la prova positiva dell’intervenuta recisione di tali legami; anzi, nell’ambito di altra parallela indagine relativa al suo stesso gruppo per reati di cui all’art. 74 D.P.R. n. 309/90, non era emerso alcun suo protagonismo.

Tuttavia, tali censure non si confrontano con gli argomenti del Tribunale del riesame, che ha specificamente sottolineato, in modo logico, come il ridimensionamento delle originarie accuse non avesse inciso sulla rilevante gravità del titolo di reato per il quale era stato condannato, comunque espressivo di una notevole potenzialità criminale e di stabile incardinamento in una struttura mafiosa.

Il Tribunale ha anche valutato il dato del comportamento corretto durante la restrizione domiciliare di (omissis) quale elemento neutro, affermando, del tutto logicamente, che esso non può dimostrare la recisione dei legami, ma, al più, la quiescenza, e ha sottolineato, ineccepibilmente, che i numerosi precedenti del (omissis) sono gravi e allarmanti, indicativi di una propensione alla reiterazione di condotte criminale e che, infine, la condotta più recente per la quale è stato condannato (peraltro successiva al periodo di sottoposizione agli arresti domiciliari) è comunque in sé grave, riguardando la disponibilità e l’uso di armi ed essendo aggravata dall’art 416- bis.1. cod. pen.

Sul punto il ricorrente lamenta che il giudice della cautela non abbia speso nemmeno una parola per spiegare le concrete modalità di commissione di questa condotta di armi e quindi per dare conto delle ragioni che dimostrerebbero l’esistenza dei legami con il contesto delinquenziale di appartenenza.

La censura, oltre che investire il merito, ribalta inammissibilmente i criteri applicativi della presunzione cautelare di cui all’art. 275 cod. proc. pen.

A fronte dell’argomentata evidenziazione della sussistenza di elementi dimostrativi dell’inserimento da epoca risalente di (omissis) in un’associazione mafiosa e dell’insussistenza di elementi nuovi e specifici che diano conto di una definitiva fuoriuscita da essa, si pretende che di fronte all’accertamento di condotta recente attestante il mantenimento di tali legami, asseverati da sentenza irrevocabile, il Tribunale debba svolgere un’ulteriore e specifica valutazione di un ineliminabile dato comunque incompatibile, perché cristallizzato dal giudicato, con la prova positiva richiesta per vincere la presunzione già sopra richiamata.

3. Ne consegue che il ricorso va dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ravvisandosi ipotesi di esclusione della

colpa nella determinazione della causa di inammissibilità ai sensi della sentenza della Corte Costituzionale n.186 del 07/06/2000 – anche della condanna al pagamento della somma, ritenuta congrua, di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende. manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.

Così è deciso, 20 marzo 2025

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2025

Allegati

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