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Cassazione penale Sez. I, 25/09/2025, n. 31897

Massima

Nel processo penale, il contrasto tra il dispositivo e la motivazione della sentenza deve essere risolto accordando prevalenza al primo, quale immediata espressione della volontà decisoria del giudice. Tale principio non è assoluto e può essere derogato solo quando la motivazione contenga elementi “certi e logici” che facciano ritenere palesemente errato il dispositivo.

Supporto alla lettura

RICORSO PER CASSAZIONE

Il ricorso per cassazione, nel processo penale, disciplinato dagli art. 606 e ss. c.p.c, è un mezzo di impugnazione ordinario, costituzionalmente previsto avverso i provvedimenti limitativi della libertà personale ed esperibile negli altri casi previsti dal codice di procedura penale, tramite il quale l’impugnante lamenta un errore di diritto compiuto dal giudice nell’applicazione delle norme di diritto sostanziale (c.d. error in iudicando) o di diritto processuale (c.d. error in procedendo).

Legittimata a ricorrere è la parte che vi abbia interesse e conseguentemente le parti necessarie quali l’imputato (a mezzo di difensore abilitato al patrocinio avanti le giurisdizioni superiori) e il pubblico ministero. Altresì, possono proporre ricorso anche le parti ritualmente costituite come la parte civile, civilmente responsabile, civilmente obbligato per la pena pecuniaria.

I giudici della Cassazione possono decidere soltanto nell’ambito dei motivi palesati dal ricorrente, in quanto il giudizio verte sulla fondatezza di tali motivi che devono corrispondere alle ipotesi tassativamente previste dall’art. 606 c.p.p.:

  • eccesso di potere;
  • error in iudicando;
  • error in procedendo;
  • mancata assunzione di una prova decisiva;
  • carenza o manifesta illogicità della motivazione.

Il ricorso può essere presentato da una parte o da un suo difensore, che deve essere iscritto ad un albo speciale predisposto dalla Corte stessa, (in mancanza viene nominato uno d’ufficio), quindi il Presidente della Cassazione assegna il ricorso ad una delle sei sezioni della Corte a seconda della materia e di altri criteri stabiliti dall’ordinamento giudiziario. Se rileva l’inammissibilità del ricorso, lo assegna alla VII Sezione Penale (c.d. Sezione Filtro), composta dai magistrati di Cassazione delle altre Sezioni Penali che vi si alternano a rotazione biennale. Entro 30 giorni la sezione adìta si riunisce in Camera di Consiglio e decide se effettivamente esiste la causa evidenziata dal Presidente, in mancanza rimette gli atti a quest’ultimo. Come nel procedimento civile, la Cassazione si riunisce a “Sezioni Unite” quando deve decidere una questione sulla quale esistono pronunce contrastanti della Corte di Cassazione stessa o per questioni di importanza rilevante.

Qualora non si proceda in camera di consiglio, l’art. 614 c.p.p. prevede l’ovvia fase dibattimentale. Particolarità è che la sentenza non viene emanata dopo la chiusura del dibattimento, ma subito dopo il termine dell’udienza pubblica. Tuttavia il presidente può decidere di differire la deliberazione ad un’udienza successiva se le questioni sono numerose o particolarmente importanti e complesse.

Sono quattro i tipi di sentenza che la Corte può emettere:

  • di inammissibilità;
  • di rigetto;
  • di rettificazione;
  • di annullamento (con rinvio o senza rinvio).

Come per il procedimento civile, anche nel processo penale è previsto il “ricorso per saltum“, cioè dal primo grado direttamente in Cassazione (art. 569 c.p.p.), è importante precisare che non si può ricorrere per saltum per i motivi alle lettere d) ed e) dell’art. 606 c.p.p. (prove non ammesse in giudizi di grado inferiore e per illogicità o motivazione carente nella sentenza) in quanto la Cassazione ha potere cognitivo di merito molto ristretto.

Ambito oggettivo di applicazione

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del Tribunale di Bergamo del 17 gennaio 2025, pronunciata nei confronti di (Omissis), è stata irrogata la pena di due mesi di arresto per la contravvenzione di cui all’art. 660 cod. pen.

Il dispositivo non risulta invece contenere alcuna indicazione in ordine ai benefici di legge, mentre la motivazione indica le ragioni per cui la pena deve essere condizionalmente sospesa, affermando che, alla luce della ipotizzata deterrenza svolta dalla sentenza di condanna, all’imputato potevano concedersi i doppi benefici di legge.

 

2. Interpone ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Brescia, significando che, ai sensi dell’art. 568, comma 4 – bis, cod. proc. pen. sussiste interesse all’impugnazione in capo al Procuratore nell’interesse dell’imputato.

Sottolinea, inoltre, che l’impugnazione si prefigge di risolvere anticipatamente problemi che si porrebbero in sede esecutiva, domandando che la Corte voglia integrare il dispositivo della sentenza, mediante l’aggiunta dell’indicazione dei benefici di legge.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

 

1.1. Osserva il Collegio che è ravvisabile l’interesse del Procuratore generale presso la Corte di appello a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza in oggetto, atteso che, alla luce della disposizione di chiusura di cui all’art. 608, comma 4, cod. proc. pen., il Procuratore generale presso la Corte di appello e il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale possono anche ricorrere per cassazione nei casi previsti dall’art. 569 e da altre disposizioni di legge e che, a mente dell’art. 568, comma 4 – bis, cod. proc. pen., “Il pubblico ministero propone impugnazione diretta a conseguire effetti favorevoli all’imputato solo con ricorso per cassazione”.

Appare significativo rilevare che il ricorrente, segnalando l’interesse in favore dell’imputato, combinato con l’esigenza di “scongiurare il rischio di insorgenza di problematiche nella fase esecutiva”, ha evidenziato come l’impugnazione miri ad ottenere effettivi riflessi sulla posizione dell’imputato, per cui il ricorso è ammissibile, non ravvisandosi l’ipotesi di inammissibilità, riservata ai casi di ricorso per cassazione della parte pubblica finalizzato ad ottenere l’esatta applicazione della legge, ma senza effettive conseguenze sulla posizione dell’imputato (cfr. cfr. Sez. 5, n. 15143 del 06/03/2025, P., Rv. 287913 – 01; Sez. 2, n. 37876 del 12/09/2023, Gagliardi, Rv. 285026 – 01).

 

1.2. Ciò premesso, è costante affermazione giurisprudenziale, condivisa dal Collegio, che il contrasto tra dispositivo e motivazione debba risolversi con la logica prevalenza dell’elemento decisionale sull’elemento giustificativo (cfr. Sez. 6, n. 7980 del 01/02/2017, Esposito, Rv. 269375 – 01, Sez. 6, n. 19851 del 13/04/2016, Mucci, Rv. 267177 – 01), salvo specificità del caso, come nell’ipotesi di un errore materiale nel dispositivo (cfr., tra le altre, Sez. 2, n. 13904 de 09/03/2016, Palumbo, Rv. 266660 – 01, e Sez. F, n. 47576 del 09/09/2014, Savini, Rv. 261402 – 01).

In altre decisioni si osserva peraltro che, in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza, la regola della prevalenza del dispositivo, in quanto immediata espressione della volontà decisoria del giudice, non è assoluta, ma va contemperata, tenendo conto del caso specifico, con la valutazione degli elementi tratti dalla motivazione, che conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni della decisione e che, pertanto, ben può contenere elementi certi e logici che facciano ritenere errato il dispositivo o parte di esso (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 3969 del 25/09/2018, dep. 2019, B., Rv. 275690 – 01, relativa ad una fattispecie in cui nel dispositivo era stata omessa la statuizione di concessione della sospensione condizionale della pena, i presupposti della quale, invece, erano stati riconosciuti in motivazione).

Osserva il Collegio che la possibilità di modificare con la motivazione il dispositivo, anche quando questo non è inficiato da errori materiali obiettivamente rilevabili dagli atti, si riflette tuttavia in senso negativo, finendo per vanificarne la portata, sulla regola della immediatezza della deliberazione subito dopo la chiusura del dibattimento (art. 525 cod. proc. pen.) e sulla fondamentale funzione di garanzia che questa regola assume per l’imputato (art. 525, comma 3, cod. proc. pen.).

 

2. Ciò premesso ed esaminando il caso di specie, la sentenza del Tribunale, con riguardo alla concessione dei benefici di legge (id est: sospensione condizionale della pena e non menzione), presenta una difformità tra il dispositivo letto in udienza e la motivazione, non redatta e letta contestualmente, ma depositata in cancelleria nel termine di sessanta giorni dopo la decisione del giudizio.

 

2.1. Come il dispositivo letto all’udienza del 17 gennaio 2025, anche quello a corredo del corpo motivazionale della sentenza non reca l’indicazione della concessione dei benefici della sospensione condizionale e della non menzione, così recitando: “Visti gli artt. 533 e 535 e ss. c.p.p. dichiara (Omissis) responsabile del reato a lui ascritto e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di mesi due di arresto, oltre al pagamento delle spese processuali. Motivazione entro il termine di 60 giorni”.

In motivazione, la decisione osserva, dopo avere affermato che “l’imputato per circa un anno ha quotidianamente importunato la persona offesa con le molestie descritte supra dalla stessa” che “Sotto il profilo sanzionatorio, per il consenso all’acquisizione di atti da parte della difesa, è possibile riconoscere le circostanze attenuanti generiche. Valutati i criteri indicati dall’art. 133 cod. pen., si ritiene congrua la pena di mesi due di arresto, così calcolata: mesi tre di arresto, diminuita per le circostanze attenuanti generiche all’inflitto. Ritenendo che la presente sentenza assurga a deterrente per la commissione di ulteriori azioni illecite, si ritiene che possano essere concessi i benefici di legge”.

Il Tribunale è rimasto pertanto silente in ordine alla concessione dei benefici al momento della lettura del dispositivo, espressione della volontà decisoria, ritenendo di potere concedere i benefici di legge con la motivazione non contestuale della sentenza, giustificandone il riconoscimento con l’argomento secondo il quale la sentenza di condanna poteva assurgere a deterrente rispetto alla commissione di ulteriori azioni illecite.

Alla luce di tali indicazioni, osserva il Collegio come non sia dato stabilire se la mancata inclusione dei benefici sia stata frutto di mera vista o dimenticanza – cui non soccorre la scarna motivazione – o se la successiva indicazione della loro concessione sia stata effetto di un ripensamento postumo, rispetto al momento della decisione, (cfr., in tale senso, Sez, 1. n. 40240 del 12/09/2024, PG contro Halmane Karime, non mass.), come tale non consentito.

Alla luce della sintetica motivazione, da valutarsi congiuntamente alla mancata richiesta delle parti di benefici in sede di discussione, deve ritenersi insormontabile il principio generale della prevalenza del dispositivo sulla motivazione, difettando quegli elementi “certi e logici”, suscettibili di fare ritenere erroneo il dispositivo, per contro emergendo dagli atti indicazioni di contrario segno a suffragare una non trascurabile gravità della condotta di molestie, reiteratasi per la durata di circa un anno.

Tanto premesso, il ricorso deve essere rigettato.

 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

 

Conclusione

Così deciso il 12 settembre 2025.

 

Depositata in Cancelleria il 25 settembre 2025.

Allegati

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