RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 30/5/2018 del giudice dell’esecuzione del Tribunale di Oristano, è stata rigettata l’istanza proposta nell’interesse di S.R., diretta alla declaratoria di illegittimità dell’ordine di esecuzione per la carcerazione emesso – senza contestuale decreto di sospensione – dal Pubblico ministero in sede in relazione alla pena di anni 1 e mesi 8 di reclusione riportata dal condannato per il reato di cui all’art. 572, aggravato ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 11, con specificazione testuale che tale aggravante deve intendersi quella ex art. 61 c.p., n. 11 quinquies.
Il Giudice dell’esecuzione ha rilevato che tra il reato di maltrattamenti in famiglia, come indicato nell’elenco dei titoli ostativi di cui all’art. 656 c.p.p., comma 9, lett. a) – art. 572 c.p., comma 2, – e l’attuale formulazione dell’ipotesi aggravata ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 11 quinquies, introdotta con L. 15 ottobre 2013, n. 119, esiste continuità normativa, limitatamente alle ipotesi di fatto commesso in danno o alla presenza di minore infra-quattordicenne. Nel caso in esame, a tenore della contestazione di reato, il segmento di condotta tenuta dal S. dal 2012 al 22/4/2016 si collocava nel periodo in cui il figlio del medesimo non aveva ancora compiuto i quattordici anni, e pertanto integrava la forma di reato aggravata nei termini da risultare oggetto del rinvio “mobile” o formale che deve riconoscersi all’elenco dei titoli ostativi contenuto nella citata disposizione esecutiva. Pertanto, il GE ha rigettato l’incidente di esecuzione proposto dal condannato.
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del S., avv. Pier Luigi Meloni, censurando – ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) – l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 656 c.p.p., comma 9, lett. a), in rapporto all’art. 572 c.p., quanto all’abrogata forma aggravata, nonchè a quella introdotta con l’art. 61 c.p., n. 11 quinquies, per contrasto con l’art. 25 Cost., art. 2 c.p., artt. 12 e 14 preleggi. Si censura inoltre la manifesta illogicità della motivazione, con riferimento all’art. 656 c.p.p., commi 1, 5 e 9.
2.1 Il ricorrente denuncia che l’impugnata ordinanza abbia erroneamente ritenuto esservi continuità normativa tra due aggravanti di cui la prima, Ora abrogata, era circoscritta alla commissione del fatto in danno di persona minore degli anni quattordici, mentre quella di recente introduzione ricomprende anche le condotte alla presenza, oltre che in danno, di un minore di anni diciotto.
Pertanto, nel caso di specie non si registra alcuna continuità normativa, essendo stata la condotta dell’imputato diretta contro la moglie, sia pure alla presenza del figlio infraquattordicenne. Questo profilo non era contemplato nella precedente formulazione dell’art. 572 c.p., comma 2, e non può nemmeno ricavarsi dall’esegesi giurisprudenziale, cui pure si è riferita la motivazione dell’impugnata ordinanza. Invero, non può sussistere continuità normativa tra disposizioni susseguitesi nel tempo, che prevedono fattispecie differenti, pena la violazione del principio di legalità sancito dall’art. 25 Cost., del principio di irretroattività ex art. 2 c.p., e del divieto di interpretazione analogica in materia penale, previsto dagli artt. 12 e 14 preleggi.
2.2 I secondo profilo di censura riguarda il dato, messo in risalto dal S., che nessuna aggravante risulta applicata nella sentenza ex art. 444 c.p.p. della cui esecuzione trattasi, in quanto non vi è traccia della considerazione dell’aggravante in parola, nè nel corpo della motivazione nè nel dispositivo della citata sentenza.
A detta del ricorrente, il giudice dell’esecuzione sarebbe incorso nel vizio di illogicità della motivazione nello sforzo di fare scaturire dal silenzio del giudice di cognizione la considerazione dell’aggravante per il sol fatto che la quantificazione della pena non sia partita dal minimo edittale e che il giudice abbia escluso la contestata recidiva. Anzi, proprio l’espressa esclusione della recidiva rende ragione del fatto che il giudice abbia completamente tralasciato l’aggravante ex art. 61 c.p., n. 11 quinquies; inoltre la pena concordata di anni due e mesi sei di reclusione, poi ridotta per il rito, viene espressamente definita “pena base” senza alcuna specificazione dell’operatività di circostanze.
3. Il Procuratore generale, Dott. Ciro Angelillis, ha depositato requisitoria scritta, nella quale chiede l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve trovare accoglimento nei termini che seguono.
1.1 La continuità normativa tra l’originaria forma aggravata del reato di maltrattamenti ex art. 572 c.p., comma 2, e quella introdotta con l’art. 61 c.p., n. 11 quinquies deve intendersi limitata alle condotte commesse in danno dei minori di anni 14, unico terreno comune ad entrambe le aggravanti. Invece, non rientrano nell’originaria previsione nè possono ritenersi richiamate in forma “mobile” o formale, ai fini di cui all’art. 656 c.p.p., comma 9, lett. a), le ulteriori forme di aggravamento della condotta introdotte con l’art. 61 c.p., n. 11 quinquies, trattandosi di nuove ipotesi di responsabilità aggravata, quindi soggette ai principi di tassatività e di irretroattività della legge penale.
1.2 Tale lettura discende dalla interpretazione letterale e sistematica delle due disposizioni a raffronto, nonchè dalla natura mobile o formale del rinvio che opera l’art. 656 c.p.p., comma 9 lett. a) a determinati titoli di reato, ostativi alla concessione dei benefici esecutivi.
Che si tratti di un rinvio di tale natura, è un dato acquisito da condivisa giurisprudenza di legittimità: vedi da ultimo Sez. 1, n. 52181 del 08/11/2016, Rv. 268352 – 01, Brandi, in cui si esplicita la natura “mobile” del rinvio contenuto nell’art. 656 c.p.p., comma 9, all’art. 572 c.p., comma 2, in quanto conforme allo scopo della disposizione processuale in esame che, richiamando talune fattispecie incriminatrici, prescinde dalla formulazione linguistica delle stesse e consente alla norma richiamante di incorporarne le evoluzioni. Una simile conclusione, non solo è “pienamente coerente con il criterio dell’interpretazione letterale di cui all’art. 12 preleggi”, ma “nel settore penale è la tecnica del rinvio “mobile” o “formale” quella che appare più coerente con il carattere permanente del potere del legislatore di compiere le scelte punitive (sez. 1, 28 gennaio 2005, n. 6775)”.
Va precisato che in ogni caso il rinvio deve contemperarsi con il basilare principio di irretroattività delle norme penali sfavorevoli, ed in tal senso soccorre il criterio di continuità normativa, onde espungere da un generalizzato rinvio le disposizioni che per l’appunto non si pongono in linea di continuità con le norme non più vigenti, ma che costituiscono una novità legislativa.
2. La motivazione dell’impugnata ordinanza non ha fatto buon governo degli indicati principi, cercando da un lato di assimilare situazioni diverse per forzare la portata della continuità normativa, e dall’altro individuando sponde per questa costruzione in pronunce di legittimità che in effetti recavano insegnamenti di differente lettura.
Sotto il primo profilo, e ponendo l’accento sull’interpretazione della legge secondo i canoni dettati dagli artt. 12 e 14 preleggi, che indirizzano ad attribuire alla norma il senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, non può accedersi all’interpretazione che parifica la fattispecie aggravata in danno del minore con quella alla presenza del minore, poichè trattasi all’evidenza di situazioni ontologicamente diverse, e tale dualità è insita nella stessa necessità di prevederle distintamente, nonchè in modo alternativo grazie alla congiunzione “o”, pur nel contesto della medesima aggravante: invero l’art. 61, n. 11-quinquies sancisce l’aggravamento di pena per chi abbia commesso il fatto in presenza o in danno di un minore degli anni diciotto.
Quanto all’altro criterio, pure dettato dal citato art. 12 preleggi, che impone di considerare nell’operazione ermeneutica l’intenzione del legislatore, la nuova aggravante, si è detto, risponde ad una ratio di maggior rigore punitivo per contrastare condotte ritenute di particolare disvalore alla stregua della acuita sensibilità sociale per i fenomeni di violenza all’interno delle mura domestiche.
Orbene, se questa è la chiara intenzione del legislatore, è evidente che l’introduzione della nuova aggravante, sviluppata in tale maggiore portata, costituisce una norma peggiorativa che quindi deve trovare applicazione soltanto per i fatti successivi alla sua introduzione, a tenore dell’art. 2 c.p. e in primis dell’art. 25 Cost., comma 2, (Sez. 6, sentenza n. 22530 del 18/3/2015).
2.2 L’aggravante di avere commesso il fatto alla presenza di minore non combacia con la forma aggravata del reato ex art. 570 c.p. indicata nell’elenco dei reati ostativi di cui all’art. 656 c.p.p., comma 9, lett. a), e pertanto non costituisce limite alla sospensione dell’esecuzione prevista al comma 5 della citata disposizione.
Nè può concordarsi con la lettura del giudice dell’esecuzione, secondo il quale la commissione del reato alla presenza del minore equivale alla commissione in danno del medesimo. O meglio, tale impostazione ben può ritenersi legittima quando la materialità stessa del reato si sostanzia nell’infliggere al minore un danno diretto, derivante proprio dall’assistere agli atti di violenza nei confronti di altri familiari o conviventi, e così parlandosi di “violenza assistita” (in tali termini, Sez. 6, Sentenza n. 18833 del 23/02/2018, Rv. 272985 – 01: “Il delitto di maltrattamenti è configurabile anche nel caso in cui i comportamenti vessatori non siano rivolti direttamente in danno dei figli minori, ma li coinvolgano indirettamente, come involontari spettatori delle liti tra i genitori che si svolgono all’interno delle mura domestiche (c.d. violenza assistita), sempre che sia stata accertata l’abitualità delle condotte e la loro idoneità a cagionare uno stato di sofferenza psicofisica nei minori spettatori passivi.”).
Ma nell’impugnata ordinanza il giudice dell’esecuzione ha traslato il concetto nell’ambito dell’elemento circostanziale, onde ravvisare la continuità normativa anche laddove non vi può essere, per le ragioni sopra esplicitate.
3. Anche il secondo motivo di impugnazione risulta fondato.
Il giudice dell’esecuzione ha ritenuto che l’aggravante – se pure non espressamente citata nella motivazione, nè richiamata nel dispositivo della sentenza in data 1/12/2017 – sia stata applicata nel conteggio della pena, poichè la sanzione è stata fissata al di sopra del minimo edittale ed inoltre è stata esclusa la contestata recidiva.
3.2 Tali argomentazioni sono inconferenti e peraltro smentite per tabulas, considerato che la sentenza, sia nel paragrafo “conclusioni” che nel corpo motivazionale definisce la pena di anni due e mesi 6 di reclusione come “pena base”; inoltre l’espressa esclusione della recidiva a fronte del silenzio serbato sulla circostanza aggravante pure contestata, non autorizza a ritenere quest’ultima come applicata, quanto piuttosto conduce a ritenerla implicitamente esclusa, data l’assenza di riflessi sulla determinazione del trattamento sanzionatorio.
4. Conclusivamente, l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio al giudice dell’esecuzione perchè proceda a nuovo esame attenendosi ai principi sopra enunciati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Oristano.
Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2019.
