Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 23 aprile 2024 il Tribunale di sorveglianza di Torino respingeva il reclamo avverso l’ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Novara del 21 settembre 2023, con cui era stato rigettato il reclamo proposto contro il provvedimento del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria che aveva respinto l’istanza di svolgimento di un colloquio visivo tra il detenuto e il fratello, De.Ca., che il ricorrente affermava di non vedere da diversi anni.
Il respingimento del reclamo veniva giustificato dal Tribunale di sorveglianza di Torino sull’assunto che, essendo entrambi i fratelli De. sottoposti al regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bis legge 26 luglio 1975, n. 353 (Ord. pen.), le esigenze, pur costituzionalmente riconosciute, di tutelare l’affettività di tale categoria soggettiva di detenuti dovevano ritenersi recessive rispetto alle esigenze di sicurezza, intramuraria ed extramuraria, connesse all’elevata pericolosità sociale dei due germani e alle difficoltà oggettive di controllare le forme di comunicazione, anche gestuali o verbali, con cui si sarebbe svolto il colloquio richiesto.
2. Avverso questa De.Gi., a mezzo dell’avv. Marcello Manna, proponeva ricorso per cassazione, deducendo la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento agli artt. 41-bis Ord. pen., 12 e 16 Circolare D.A.P. 2 ottobre 2017, n. 3676/6126, per non avere il Tribunale di sorveglianza di Torino, nel respingere l’istanza di svolgimento di un colloquio visivo tra il detenuto e il fratello, De.Ca., effettuato un corretto bilanciamento tra le esigenze di affettività del soggetto istante e del germano e la loro pericolosità sociale.
Si deduceva, in proposito, che il giudizio di bilanciamento tra le richiamate, contrapposte, esigenze era stato effettuato dal Tribunale di sorveglianza di Torino in termini assertivi e svincolati dalle emergenze processuali, trascurando di considerare le connotazioni di eccezionalità della richiesta presentata da De.Gi., rese incontroverse dalla circostanza che il ricorrente non vedeva il fratello da diversi anni.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso proposto da De.Gi. è infondato.
2. Osserva il Collegio che il Tribunale di sorveglianza di Torino respingeva il reclamo presentato da De.Gi. avverso l’ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Novara del 21 settembre 2023 – con cui era stato rigettato il reclamo proposto contro il provvedimento del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria che aveva respinto l’istanza di svolgimento di un colloquio visivo tra il detenuto e il fratello, De.Ca. – sull’assunto che la condizione di soggetti sottoposti al regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bis Ord. pen. dei due fratelli imponeva di ritenere recessive le esigenze di tutela dell’affettività invocate dal familiare.
Veniva, quindi, effettuato un giudizio di bilanciamento tra la condizione di soggetti sottoposti al regime differenziato di cui all’art. 41-bis Ord. pen. dei fratelli De. e le esigenze di affettività del ricorrente, ritenute recessive sia per l’elevata pericolosità sociale dei due germani sia per le difficoltà di controllare le modalità di svolgimento del colloquio visivo richiesto, tenuto conto della possibilità che i due germani comunicassero tra loro mediante forme convenzionali, verbali o gestuali, difficilmente decifrabili.
Il Tribunale di sorveglianza di Torino, dunque, muoveva dall’assunto, che appare condivisibile, che la sottoposizione di un detenuto al regime carcerario differenziato di cui all’art. 41-bis Ord. pen. non esclude, in quanto tale, che lo stesso possa essere autorizzato a svolgere colloqui visivi con un altro detenuto sottoposto allo stesso regime carcerario, al quale è legato da rapporti familiari, mediante forme di comunicazione controllabili.
Non può, in proposito, non rilevarsi che l’astratta ammissibilità dei colloqui visivi tra detenuti sottoposti al regime carcerario differenziato di cui all’art. 41-bis Ord. pen., che riceve copertura costituzionale e convenzionale dal combinato disposto degli artt. 27, secondo comma Cost. e 3CEDU, discende dalla necessità di consentire la coltivazione delle relazioni affettive di tale categoria soggettiva, a condizione che il perseguimento di questi obiettivi umanitari del trattamento penitenziario, pur irrinunciabili, non agevolino il compimento di forme di comunicazione idonee a generare pericoli per la sicurezza interna dell’istituto penitenziario o per quella pubblica. Su queste, ineludibili, connotazioni umanitarie del trattamento sanzionatorio, peraltro, la Corte EDU si è soffermata in più occasioni, anche in vicende processuali riguardanti il nostro Paese, con argomenti ermeneutici difficilmente superabili (tra le altre, Corte EDU, 13 giugno 2019, Viola c. Italia, n. 77633/16; Corte EDU, 25 ottobre 2018, Provenzano c. Italia, n. 55080/13; Corte EDU, Sez. I, 26 aprile 2016, Murray c. Paesi Bassi, n. 10511/10; Corte EDU, Sez. I, 9 luglio 2013, Vinter e Hutchinson c. Regno Unito, n. 57592/08).
Tuttavia, il riconoscimento del diritto dei detenuti sottoposti al regime carcerario differenziato di cui all’art. 41-bis Ord. pen. a coltivare le proprie relazioni affettive trova un punto di necessario equilibrio nell’esigenza di preservare le esigenze di sicurezza interna delle strutture penitenziarie coinvolte dalle eventuali richieste di colloqui visivi e la tutela dell’ordine pubblico, che potrebbe essere messo in pericolo dall’incontro, anche se realizzato attraverso strumenti telematici, di due soggetti provenienti da ambienti di criminalità organizzata di elevata caratura.
Non può, in proposito, non rilevarsi che la Corte EDU, intervenendo censoriamente contro il nostro Paese, in Corte EDU, Sez. I, 13 giugno 2019, Viola c. Italia, cit., non ha escluso che si debba tenere conto delle esigenze di sicurezza pubblica connesse all’elevata pericolosità sociale di un detenuto, proveniente da contesti di criminalità organizzata – che rappresentano una peculiarità socio-criminale del nostro Paese che i Giudici strasburghesi hanno avuto ben presente -, ma ha soltanto affermato che il principio della dignità umana dei soggetti ristretti in una struttura penitenziaria, riconducibile alla previsione dell’art. 3 CEDU, impone di riconoscere anche ai detenuti sottoposti al regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bis Ord. pen. un nucleo essenziale e irrinunciabile di diritti individuali, tra cui quello di coltivare i rapporti affettivi con i componenti del proprio nucleo familiare.
3. In questa, stratificata, cornice, resa ancora più complessa dall’assenza, per quanto consta, di precedenti in termini, deve evidenziarsi che il Tribunale di sorveglianza di Torino respingeva il reclamo presentato da De.Gi. avverso sulla base di un ragionamento che appare condivisibile, affermando che il giudizio di bilanciamento tra la condizione di soggetti sottoposti al regime differenziato di cui all’art. 41-bis Ord. pen. dei fratelli De. e le esigenze di affettività del ricorrente era stato effettuato dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria nel rispetto del combinato disposto degli artt. 12 e 16 Circolare D.A.P. n. 3676/6126 del 2017.
Il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, infatti, svolgeva un’articolata attività istruttoria, acquisendo il parere della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria – che possiede connotazioni obbligatorie ma non vincolanti – e richiamando, in tale contesto informativo, gli esiti dei procedimenti denominati “(omissis)”, “(omissis)” e “(omissis)”, confluiti nel procedimento “(omissis)”, nel quale diversi componenti della famiglia De. risultavano coinvolti, che imponevano di ritenere il nucleo familiare del ricorrente collocato ai vertici degli ambienti ‘ndranghetistici calabresi. Basti, in proposito, considerare che, secondo quanto riferito dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, De.Gi., per lungo tempo, ha guidato l’omonima cosca ‘ndranghetistica, venendo sostituito in tali compiti di reggenza, dopo il suo arresto, dal fratello, De.Ca., che è proprio il soggetto con cui il ricorrente voleva svolgere il colloquio visivo controverso.
Veniva, in questo modo, effettuato un adeguato bilanciamento tra le esigenze di sicurezza, intramuraria ed extramuraria, connesse alla condizione di soggetti sottoposti al regime differenziato di cui all’art. 41-bis Ord. pen. dei fratelli De. e la tutela dell’affettività del ricorrente, attuato nel rispetto del principio di diritto affermato su un piano generale da Sez. 1, n. 7654 del 12/12/2015, dep. 2016, Trigila, Rv. 262417 – 01, secondo cui: “La sottoposizione al regime carcerario differenziato di un detenuto non esclude, in via di principio, che lo stesso possa essere autorizzato ad avere colloqui visivi con altro detenuto sottoposto al regime dell’art. 41-bis Ord. pen. legato a questo da rapporti genitoriali o familiari, mediante forme di comunicazione controllabili a distanza (come la videoconferenza), tali da consentire la coltivazione della relazione parentale e, allo stesso tempo, da impedire il compimento di comportamenti fra presenti, idonei a generare pericolo per la sicurezza interna dell’istituto o per quella pubblica” (in realtà, per come emerge dalla motivazione della sentenza, solo uno dei due detenuti era, nel caso di specie, sottoposto al regime di cui all’art. 41-bis Ord. pen.).
Questo arresto ermeneutico, a sua volta, deve essere integrato dal principio di diritto affermato da Sez. 1, n. 19290 del 09/04/2021, Emmanuello, Rv. 281221 – 01, che attribuisce una valenza non assoluta ma temperata al diritto all’affettività familiare dei detenuti sottoposti al regime di cui all’art. 41-bis Ord. pen., che induce a ritenere tale prerogativa soggettiva irrinunciabile ma non intangibile. Secondo tale decisione, “Il detenuto sottoposto a regime differenziato, ai sensi dell’art. 41-bis ord. pen., può essere autorizzato ad avere colloqui visivi con i familiari – in situazioni di impossibilità o, comunque, di gravissima difficoltà ad effettuare i colloqui in presenza – mediante forme di comunicazione audiovisiva controllabili a distanza, secondo modalità esecutive idonee ad assicurare il rispetto delle cautele imposte dal citato art. 41-bis”.
Occorre, pertanto, ribadire conclusivamente che il diritto di coltivare la propria affettività familiare, mediante colloqui visivi, dei detenuti sottoposti al regime di cui all’art. 41-bis Ord. pen., inerendo al nucleo essenziale dei diritti del detenuto, non può essere escluso nemmeno quando il familiare che si vuole incontrare è, anch’egli, sottoposto al regime in esame; in questi casi, però, (. occorre operare un giudizio di bilanciamento, in concreto, tra le esigenze di C. affettività del detenuto e le istanze di sicurezza intramuraria ed extramuraria, le quali, laddove ritenute prevalenti, non consentono di soddisfare tale diritto nemmeno con l’impiego di strumenti audiovisivi.
4. Le considerazioni esposte impongono conclusivamente il rigetto del ricorso proposto da De.Gi., con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 21 novembre 2024.
Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2024.
