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Cassazione penale sez. I, 14/01/2021, n. 1438

Massima

In sede di giudizio abbreviato, la riduzione della pena deve essere applicata distintamente in base alla natura del reato, conformemente all’Art. 442 c.p.p. come novellato dalla L. 23 giugno 2017, n. 103. Nello specifico, per le contravvenzioni, la riduzione di pena è stabilita nella misura della metà, mentre per i delitti essa è pari a un terzo.

Supporto alla lettura

RITO ABBREVIATO

Il sistema processuale penale italiano è un sistema di stampo accusatorio: esso impone che all’accertamento della responsabilità dell’imputato si pervenga con il massimo delle garanzie e nel rispetto del principio del contraddittorio nella formazione della prova. Le garanzie comportano una maggiore complessità delle forme e un allungamento dei tempi del processo, ma soprattutto del dibattimento, nel quale le prove dichiarative devono essere assunte con il metodo dell’esame incrociato. Quindi si è posta l’esigenza di prevedere procedure alternative, finalizzate a semplificare i meccanismi processuali e a consentire forme di definizione anticipata rispetto al procedimento ordinario. Il giudizio abbreviato costituisce la rinuncia dell’imputato alle garanzie del dibattimento, decidendo lo stesso di essere giudicato sullo stato degli atti d’indagine ricevendo in compenso per tale rinuncia una riduzione sull’eventuale pena finale di 1/3. Il giudizio abbreviato è stato introdotto nel codice di rito del 1988 agli artt. 438-443 c.p.p., sulla base dell’art. 2 n. 53 della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81. I presupposti di accesso al rito erano tre: la richiesta dell’imputato, il consenso del pubblico ministero e la valutazione del giudice per le indagini preliminari circa la possibilità di definire il processo “allo stato degli atti”. Intervenne la l. 479/1999(c.d. legge “Carotti), per ottemperare ai moniti della Corte costituzionale, riscrivendo i presupposti di accesso al rito abbreviato con l’eliminazione dei requisiti del consenso del pubblico ministero e della valutazione preliminare del giudice sulla definibilità del processo allo stato degli atti, al fine di rendere la nuova disciplina più semplice e più “attrattiva” della precedente. Quindi, venuti meno questi due requisiti, conditio sine qua non del giudizio abbreviato resta la richiesta dell’imputato. La novella del 1999 ha introdotto due diverse modalità di accesso al rito abbreviato: l’imputato può scegliere se formulare una richiesta “semplice”, ex art. 438 comma 1 c.p.p., oppure, “condizionata”, subordinando la richiesta stessa ad un’integrazione probatoria, ex art. 438 comma 5 c.p.p. La l. 103/2017, nota nel gergo come “riforma Orlando”, ha previsto l’opportunità per l’imputato di presentare istanze subordinate di rito abbreviato «allo stato degli atti» (c.d. semplice o secco) e financo di patteggiamento, nel caso in cui la richiesta (principale) di giudizio abbreviato condizionato non sia accolta. Le finalità del legislatore, nell’introduzione di tale previsione, appaiono chiaramente deflattive, riconoscendo alla difesa una valida alternativa al rigetto dell’istanza di cui al co. 5, prodromica ad impedire che il processo prosegua nelle forme del rito ordinario. Con la Legge 12 aprile 2019, n. 33, ha introdotto il co. 1bis nell’art. 442 c.p.p. che, nell’esclusivo caso in cui si proceda per i delitti per cui è prevista la pena dell’ergastolo, esclude l’applicazione del rito abbreviato, la cui richiesta determina la dichiarazione di inammissibilità del giudice dell’udienza preliminare.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

1. (omissis) ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona del 16 maggio 2019 che, in parziale riforma della sentenza emessa il 25 settembre 2018, a seguito di giudizio abbreviato, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Pesaro, lo ha condannato alla pena di anni uno, mesi dieci di reclusione di Euro 1.800,00 di multa, in ordine ai seguenti reati, commessi il (omissis), avvinti tra loro dal vincolo della continuazione:

– detenzione e porto di arma clandestina, ai sensi della L. 18 aprile 1975, n. 110art. 23, commi 3 e 4 (capo a), perchè aveva detenuto e portato in luogo pubblico un’arma clandestina, in particolare un fucile da caccia, cal. 24, monocanna, con matricole del fusto e della canna entrambe da lui cancellate tramite abrasione e punzonatura, unitamente a una cartucciera contenente n. 24 cartucce cal. 24, rinvenuto a bordo di un camper sul quale viaggiava;

– detenzione abusiva di armi, ai sensi dell’art. 697 c.p. (capo c), perchè aveva illegalmente detenuto, senza alcuna autorizzazione, presso la propria abitazione in (omissis), precisamente nel capanno adiacente all’immobile, n. 24 cartucce ca. 24 e n. 2 cartucce cal. 12.

2. Il ricorrente affida l’impugnazione a due motivi.

2.1. Col primo motivo, la difesa denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 131 bis c.p. e vizio di motivazione della sentenza impugnata, perchè la Corte territoriale, offrendo sul punto una motivazione carente, avrebbe omesso di valutare la sussistenza dei parametri applicativi dell’istituto della esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, tra i quali la modalità della condotta, l’esiguità del danno o del pericolo concretamente recato, il grado della colpevolezza e l’abitualità o meno della condotta.

Invece – secondo il ricorrente – il giudice di merito ha giustificato il mancato riconoscimento dell’istituto, limitandosi a valutare i precedenti penali di (omissis) e la reiterata commissione di reati anche della stessa specie. Così facendo, tuttavia, la Corte territoriale avrebbe omesso di verificare se il fatto accertato presentava un ridotto grado di offensività in concreto.

Il ricorrente, inoltre, evidenzia che i precedenti penali non potevano far ritenere sussistente l’abitualità del comportamento, che si manifesta solo quando il soggetto agente abbia commesso in precedenza due illeciti della stessa indole. Il giudice di merito, infine, avrebbe omesso di considerare che l’imputato è stato assolto dai reati compresi in cinque capi di imputazione in rapporto ai sette contestati.

2.2. Con il secondo motivo, si lamentano inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 99 c.p. e vizio di motivazione della sentenza impugnata, perchè la Corte territoriale avrebbe in maniera errata applicato la recidiva, omettendo del tutto di valutare che le precedenti condanne penali erano riferite a fatti posti in essere ad una notevole distanza di tempo.

Infine, il ricorrente si duole che il giudice di merito abbia applicato la recidiva reiterata, anche se il predetto non era mai stato dichiarato recidivo in precedenza, come risulta dal casellario giudiziale.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è manifestamente infondato nei due motivi proposti, ma la sentenza di condanna va annullata senza rinvio, quanto al trattamento sanzionatorio, nei termini di seguito indicati.

2. Il primo motivo di ricorso è ictu oculi privo di ogni fondamento.

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno chiarito che, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis c.p., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133 c.p., comma 1, delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo. Ciò che è necessario è una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, in quanto è la concreta manifestazione del reato che ne segna il disvalore (Sez. U., n. 13681, del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590).

Ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis c.p., inoltre, non osta, in astratto, che il reato sia posto in continuazione con altri, dovendo, tuttavia, valutarsi, anche in ragione del suo inserimento in un contesto più articolato, se la condotta sia espressione di una situazione episodica, se la lesione all’interesse tutelato dalla norma sia comunque minimale e, in definitiva, se il fatto nella sua complessità sia meritevole di un apprezzamento in termini di speciale tenuità (Sez. 2, n. 11591 del 27/01/2020, T., Rv. 278830).

Nel caso di specie, il giudice di appello, con motivazione adeguata e non manifestamente illogica, ha evidenziato, oltre al riferimento ai precedenti penali dell’imputato, le modalità concrete della sua condotta, che denotavano una spiccata pericolosità sociale.

A ciò si aggiunga che le ragioni ostative possono emergere anche motivazione implicitamente riferita all’argomentazione con la quale il giudice di appello ha considerato gli indici di gravità oggettiva del reato e il grado di colpevolezza dell’imputato, alla stregua dell’art. 133 c.p., per stabilire la congruità del trattamento sanzionatorio determinato dal giudice di primo grado (Sez. 5, n. 15658 del 14/12/2018, dep. 2019, Di Mauro, Rv. 275635).

Il giudizio negativo sull’applicabilità della causa di esclusione della punibilità, pertanto, ben può essere racchiuso implicitamente anche nella stessa motivazione del provvedimento con cui il giudice di merito ha valutato le circostanze di fatto, il grado di colpevolezza e gli indici di gravità oggettiva della condotta previsti dall’art. 133 c.p., ed a questi ha commisurato la pena, argomentandone la congruità rispetto alla determinazione di essa svolta dal giudice di primo grado.

E anche tale valutazione, operata dai giudici di merito, risulta essere stata incensurabilmente compiuta nel caso in esame.

3. Anche il secondo motivo di ricorso non può trovare accoglimento perchè afferisce a doglianze inerenti al trattamento punitivo, quando il provvedimento impugnato è sorretto da sufficiente e non illogica motivazione e da adeguato esame delle deduzioni difensive, salvo che per l’aspetto specifico di cui in prosieguo.

La Corte territoriale ha evidenziato che i fatti accertati, per la loro modalità di commissione, costituivano un’evidente evoluzione in senso negativo della condotta illecita dell’imputato ed erano sintomatici di una sua maggiore pericolosità.

Il giudice di merito, quindi, ha correttamente ritenuto che tale circostanza fosse sintomatica di una pericolosità sociale sempre più crescente di (omissis) e di una sua particolare inclinazione all’attività criminosa e, avuto riguardo ai suoi precedenti penali e ai criteri dettati dall’art. 133 c.p., con una motivazione logica e coerente, ha ritenuto di non escludere la contestata e ritenuta recidiva, evidenziando che l’imputato, reiterando condotte delittuose, aveva dimostrato in concreto un’elevata temerarietà e pericolosità sociale, oltre che una spregiudicata e deliberata pervicacia a delinquere.

4. La pena irrogata con la sentenza impugnata deve comunque essere rettificata nei termini di seguito indicati, in tal senso riconducendo a legalità il trattamento sanzionatorio, perchè la riduzione per il rito abbreviato, quando si procede per le contravvenzioni, è stabilita dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, nella misura della metà della pena, con modifica favorevole rispetto alla disciplina previgente.

Pertanto, onde verificare il rispetto della disposizione suindicata, occorre verificare quali siano le singole pene irrogate – e come siano state diminuite ex art. 442 c.p.p. – dal giudice di merito per la determinazione del trattamento sanzionatorio nei casi in cui, come quello in esame, sia ritenuta la continuazione tra delitti e contravvenzioni.

A questo proposito, il Collegio ritiene che la netta diversità delle decurtazioni stabilite per il rito abbreviato in relazione ai delitti ed alle contravvenzioni non possa essere superata valorizzando la generica finalità mitigatrice dell’istituto della continuazione: mentre l’abbattimento della sanzione che consegue al riconoscimento del vincolo teleologico è discrezionale, seppur soggetta ai limiti previsti dall’art. 81 c.p., nel caso dell’accesso al rito abbreviato, l’ammontare della decurtazione è sottratta alla discrezionalità del giudice, perchè è stabilita dalla legge in modo fisso e predeterminato: l’applicazione di una decurtazione inferiore a quella indicata si risolverebbe nella inflizione di una pena illegale.

Va ribadito il principio più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità per il quale, in tema di giudizio abbreviato, l’art. 442 c.p.p., comma 2, così come novellato, costituisce norma penale di favore ed impone che, in caso di continuazione tra delitti e contravvenzioni, la riduzione per il rito vada effettuata distintamente sugli aumenti di pena disposti per le contravvenzioni, nella misura della metà, e su quelli disposti per i delitti (oltre che sulla pena base), nella misura di un terzo (Sez. 2, n. 14068 del 27/02/2019, Selvaggio, Rv. 275772).

Nel caso di specie, la Corte territoriale, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riqualificando il reato sub c) nella contravvenzione di cui all’art. 697 c.p., ha rideterminato la pena finale in anni uno, mesi dieci di reclusione ed Euro 1.800,00 di multa, così quantificata: pena base di anni due, mesi sei di reclusione ed Euro 2.500,00 di multa per il reato sub a), aumentata di mesi tre di reclusione ed Euro 200,00 di multa per la continuazione con il reato sub c), pena globalmente ridotta di un terzo per la scelta del rito abbreviato.

Così facendo, il giudice di merito ha applicato la riduzione di un terzo di pena per tutti i reati, compresa, quindi, la contravvenzione di detenzione abusiva di armi, laddove per esso avrebbe dovuto applicare la riduzione della metà.

Tale erronea quantificazione determina la necessità del corrispondente annullamento della sentenza impugnata, quanto alla sola determinazione del trattamento sanzionatorio: la decurtazione in ordine alla contravvenzione di cui all’art. 697 c.p., doveva essere quantificata nella metà.

Ricorre nel caso in esame la possibilità, riconosciuta alla Corte di cassazione dall’art. 620 c.p.p., comma 1, lett. l), nella formulazione modificata dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, di rideterminare direttamente la pena sulla base delle statuizioni del giudice di merito, procedendo a un annullamento senza rinvio, perchè alla situazione da correggere può porsi rimedio senza necessità dell’esame degli atti dei processi di primo e secondo grado e della formulazione di giudizi di merito, obiettivamente incompatibili con le attribuzioni del giudice di legittimità (Sez. 6, n. 44874 del 11/09/2017, Dessì, Rv. 271484).

Segnatamente, la pena finale sulla base della motivazione della sentenza del giudice di merito può essere rideterminata in anni uno, mesi nove, giorni quindici di reclusione ed Euro 1.667,00 di multa, così calcolata: pena base di anni uno, mesi otto di reclusione ed Euro 1.666,66 di multa (arrotondati ad Euro 1.667,00 di multa) per il reato sub a (anni due, mesi sei di reclusione ed Euro 2.500,00 di multa ridotta di un terzo per la scelta del rito abbreviato); aumentata di mesi uno, giorni quindici per la continuazione con il reato sub c) (ossia, mesi tre di reclusione ridotti della metà per la scelta del rito abbreviato).

Rispetto a tale ultimo reato, che prevede la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda, si opera l’aumento di pena solo in relazione alla pena detentiva, in forza della gravità della fattispecie, sempre in linea con la valutazione già espressa in modo articolato dal giudice della cognizione (Sez. U., n. 40983 del 21/06/2018, Giglia, Rv. 273750): la Corte di appello, infatti, ha evidenziato che la detenzione e il porto in luogo pubblico di un’arma clandestina, nonchè – specificamente – delle numerose cartucce relative a tale arma e ancora la detenzione di ulteriore cartucce denotavano una notevole pericolosità sociale, con rilevante possibilità di reiterazione di analoghe condotte illecite, anche tenuto conto della negativa personalità dell’imputato e dei concreti aspetti della vicenda illecita.

5. Conclusivamente, deve procedersi all’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata soltanto in ordine al trattamento sanzionatorio, con rideterminazione della pena nei termini sopra precisati, ferma la declaratoria di inammissibilità del ricorso per il resto.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e ridetermina la pena inflitta all’imputato in anni uno, mesi nove, giorni quindici di reclusione ed Euro 1.667,00 di multa.

Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2021

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