Massima

In tema di affidamento in prova al servizio sociale, ai fini della valutazione dell’esito della misura, è legittimo prendere in considerazione anche comportamenti posti in essere dal condannato dopo la cessazione dell’esecuzione della misura alternativa ma prima che sia formulato il giudizio definitivo sul relativo esito. Tali fatti, quantunque di per sé inidonei a giustificarne la revoca, possono costituire indici sintomatici, per qualità e gravità, del mancato conseguimento dell’obiettivo di recupero sociale cui la misura è preordinata.

Supporto alla lettura

PENE SOSTITUTIVE

Le pene sostitutive, introdotte dalla riforma Cartabia con l’art. 20 bis c.p., demandando la disciplina alla legge speciale, e precisamente al nuovo Capo III della L. 689/1981, sono un insieme di sanzioni alternative alla reclusione che permettono di sostituire la pena detentiva in alcuni casi.

Queste pene prevedono:

 la semilibertà (in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a 4 anni): il condannato può uscire di casa per svolgere attività lavorative, scolastiche, familiari o di pubblica utilità, con specifiche limitazioni;

 la detenzione domiciliare (in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a 4 anni): il condannato deve rimanere in casa, con alcune eccezioni per attività specifiche;

 il lavoro di pubblica utilità (in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a 3 anni): il condannato svolge un lavoro non retribuito per enti pubblici o associazioni di volontariato;

 la pena pecuniaria (in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a 1 anno): il condannato è obbligato a pagare una somma di denaro al fisco

L’applicabilità delle pene sostitutive è valutata dal giudice in base alle circostanze del reato, alla personalità del condannato e alla necessità di garantire l’effettività della pena. Il condannato deve dimostrare di essere una persona meritevole e di voler seguire il percorso rieducativo.

Le pene sostitutive possono essere applicate anche nei procedimenti pendenti, a condizione che sia stata fatta richiesta da parte dell’imputato.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

1. Con l’ordinanza in preambolo, il Tribunale di sorveglianza di Napoli ha dichiarato non validamente espiata, nei confronti di A.A., la pena indicata nel provvedimento di cumulo emesso il 15 febbraio 2018 dal Pubblico ministero di Napoli, in relazione alla quale il condannato era stato ammesso all’affidamento in prova al servizio sociale, che aveva avuto inizio il 16/03/2020.

A tal fine, ha rilevato che il A.A., dopo la scadenza dell’affidamento in prova (il 27/02/2022), era stato condannato per il reato di guida senza patente, commesso il 20/09/2022, e, con sentenza ormai definitiva, per i reati di tentata estorsione in concorso, e detenzione e porto illegali di armi, entrambi aggravati ex art. 416-bis 1 cod. pen., commessi il 17/10/2022.

Il Tribunale ha valorizzato l’estrema gravità dei fatti per i quali il A.A. era stato condannato, commessi a breve distanza (otto mesi) dal termine dell’affidamento in prova; tali condotte, dal rilevante allarme sociale, sintomatiche della contiguità con sodalizi camorristici, disvelavano un’adesione da parte del condannato solo formale al programma di recupero nel corso della sottoposizione a misura alternativa, rivelando invero come il condannato non avesse abbandonato le pregresse logiche di vita, perseverandoin uno stile di vita delinquenziale; concludeva quindi per il mancato conseguimento dell’obiettivo di recupero sociale del condannato, cui la misura dell’affidamento in prova è preordinato, pervenendo quindi aduna declaratoria negativa quanto all’estinzione della pena, con effetto ex tunc, sin dalla stessa sottoposizione.

2. A.A. propone, con l’assistenza dell’avv. D.C., ricorso per cassazione denunciando, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all’art. 47 ord. pen.

Si duole il ricorrente che il Tribunale abbia ritenuto non validamente espiata l’intera pena ex tunc, senza aver tuttavia proceduto ad una valutazione dell’effettiva gravità della condotta delittuosa posta in essere da A.A. in data successiva all’intervenuta espiazione della pena per la quale si trovava in misura alternativa; né il Tribunale ha valutato il comportamento tenuto dal condannato durante l’esecuzione della pena, protrattasi per quasi due anni in assenza di qualsiasi infrazione. Nell’ancorare la decisione alla commissione di un reato commesso successivamente all’espiazione della pena, il Tribunale ha omesso di motivare in ordine all’incidenza negativa di detto fatto-reato, mancando di operare una compiuta valutazione del comportamento osservato dal condannato nel corso dell’affidamento in prova ai servizi sociali e sull’intera pena espiata, connotata, nel caso di specie, da un’esemplare condotta di partecipazione all’opera rieducativa.

3. Il Procuratore generale, A.C., con requisitoria scritta, ha chiesto respingersi il ricorso.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile perché vertente su censure manifestamente infondate.

2. Eccepisce in sintesi il A.A., l’illegittimità della valorizzazione, in funzione della revoca e con portata retrospettiva, di un comportamento criminoso che si colloca temporalmente ben al di là della conclusione del periodo di affidamento, durante il quale egli è stato sottoposto a prescrizioni, limitative della libertà personale, che ha rispettato, in tal modo dimostrando di avere seguito il percorso rieducativo.

In proposito, il Tribunale di sorveglianza ha debitamente spiegato per quale motivo la commissione, da parte di A.A., del più recente reato valga ad attestare il fallimento della pregressa azione risocializzante e si è, in tal modo, orientato in coerenza con il pacifico e condiviso indirizzo ermeneutico stando al quale “in tema di affidamento in prova al servizio sociale, ai fini della valutazione dell’esito della prova, è possibile prendere in considerazione anche comportamenti posti in essere dal condannato dopo che sia cessata l’esecuzione della misura alternativa, ma prima che sia formulato il giudizio sul relativo esito, giacché essi, quantunque di per sé inidonei a giustificarne la revoca, possono, tuttavia, costituire indici sintomatici, per qualità e gravità, del mancato conseguimento di quell’obiettivo di recupero sociale del condannato, cui la misura stessa è preordinata. A tal fine il Tribunale di sorveglianza deve compiere una valutazione globale, tenendo conto, da un lato, della condotta serbata dal condannato durante l’esecuzione della prova e, dall’altro, dell’effettiva entità del fatto successivo, della distanza cronologica dalla scadenza dell’affidamento e dell’eventuale collegamento di esso con le modalità di espletamento dell’esperimento; e, qualora tale fatto integri reato per il quale non sia ancora intervenuta condanna irrevocabile, deve delibarlo autonomamente per accertare sia la sua reale ascrivibilità al condannato, sia la consistenza di elementi idonei a ricondurne la matrice al pregresso espletamento della prova e, conseguentemente, la sua concreta incidenza sul giudizio di recupero sociale” (Sez. U, n. 10530 del 27/02/2002, Martola, Rv. 220877 – 01; Sez. 1, n. 51347 del 17/05/2018, Figgini, Rv. 274482 – 01; Sez. 1, n. 3727 del 09/01/2009, Barbella, Rv. 242526 ­01).

Contrariamente a quanto denunciato in ricorso, peraltro, il Tribunale ha preso in considerazione il formalmente positivo comportamento serbato dal condannato in costanza di misura alternativa, ritenendolo tuttavia, con motivazione logicamente argomentata, subvalente rispetto alla gravità del fatto per cui era intervenuta condanna, sintomatico della contiguità con sodalizi camorristici.

3. Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone la declaratoria di inammissibilità del ricorso; tale decisione postula la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare in Euro tremila.

P.Q.M.

1. Il ricorso è inammissibile perché vertente su censure manifestamente infondate.

2. Eccepisce in sintesi il A.A., l’illegittimità della valorizzazione, in funzione della revoca e con portata retrospettiva, di un comportamento criminoso che si colloca temporalmente ben al di là della conclusione del periodo di affidamento, durante il quale egli è stato sottoposto a prescrizioni, limitative della libertà personale, che ha rispettato, in tal modo dimostrando di avere seguito il percorso rieducativo.

In proposito, il Tribunale di sorveglianza ha debitamente spiegato per quale motivo la commissione, da parte di A.A., del più recente reato valga ad attestare il fallimento della pregressa azione risocializzante e si è, in tal modo, orientato in coerenza con il pacifico e condiviso indirizzo ermeneutico stando al quale “in tema di affidamento in prova al servizio sociale, ai fini della valutazione dell’esito della prova, è possibile prendere in considerazione anche comportamenti posti in essere dal condannato dopo che sia cessata l’esecuzione della misura alternativa, ma prima che sia formulato il giudizio sul relativo esito, giacché essi, quantunque di per sé inidonei a giustificarne la revoca, possono, tuttavia, costituire indici sintomatici, per qualità e gravità, del mancato conseguimento di quell’obiettivo di recupero sociale del condannato, cui la misura stessa è preordinata. A tal fine il Tribunale di sorveglianza deve compiere una valutazione globale, tenendo conto, da un lato, della condotta serbata dal condannato durante l’esecuzione della prova e, dall’altro, dell’effettiva entità del fatto successivo, della distanza cronologica dalla scadenza dell’affidamento e dell’eventuale collegamento di esso con le modalità di espletamento dell’esperimento; e, qualora tale fatto integri reato per il quale non sia ancora intervenuta condanna irrevocabile, deve delibarlo autonomamente per accertare sia la sua reale ascrivibilità al condannato, sia la consistenza di elementi idonei a ricondurne la matrice al pregresso espletamento della prova e, conseguentemente, la sua concreta incidenza sul giudizio di recupero sociale” (Sez. U, n. 10530 del 27/02/2002, Martola, Rv. 220877 – 01; Sez. 1, n. 51347 del 17/05/2018, Figgini, Rv. 274482 – 01; Sez. 1, n. 3727 del 09/01/2009, Barbella, Rv. 242526 ­01).

Contrariamente a quanto denunciato in ricorso, peraltro, il Tribunale ha preso in considerazione il formalmente positivo comportamento serbato dal condannato in costanza di misura alternativa, ritenendolo tuttavia, con motivazione logicamente argomentata, subvalente rispetto alla gravità del fatto per cui era intervenuta condanna, sintomatico della contiguità con sodalizi camorristici.

3. Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone la declaratoria di inammissibilità del ricorso; tale decisione postula la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare in Euro tremila.

Conclusione

Così è deciso in Roma, il 4 luglio 2025.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2025.

Allegati

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