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Cassazione penale sez. I, 12/01/2024, n. 9282

Massima

La competenza sulla revoca delle pene sostitutive della detenzione domiciliare e della semilibertà spetta in via esclusiva al Magistrato di sorveglianza, radicandosi sin dalla trasmissione del titolo esecutivo da parte del Pubblico Ministero, indipendentemente dall’emissione dell’ordinanza di cui all’art. 62 della legge n. 689 del 1981.

Supporto alla lettura

PENE SOSTITUTIVE

Le pene sostitutive, introdotte dalla riforma Cartabia con l’art. 20 bis c.p., demandando la disciplina alla legge speciale, e precisamente al nuovo Capo III della L. 689/1981, sono un insieme di sanzioni alternative alla reclusione che permettono di sostituire la pena detentiva in alcuni casi.

Queste pene prevedono:

 la semilibertà (in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a 4 anni): il condannato può uscire di casa per svolgere attività lavorative, scolastiche, familiari o di pubblica utilità, con specifiche limitazioni;

 la detenzione domiciliare (in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a 4 anni): il condannato deve rimanere in casa, con alcune eccezioni per attività specifiche;

 il lavoro di pubblica utilità (in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a 3 anni): il condannato svolge un lavoro non retribuito per enti pubblici o associazioni di volontariato;

 la pena pecuniaria (in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a 1 anno): il condannato è obbligato a pagare una somma di denaro al fisco

L’applicabilità delle pene sostitutive è valutata dal giudice in base alle circostanze del reato, alla personalità del condannato e alla necessità di garantire l’effettività della pena. Il condannato deve dimostrare di essere una persona meritevole e di voler seguire il percorso rieducativo.

Le pene sostitutive possono essere applicate anche nei procedimenti pendenti, a condizione che sia stata fatta richiesta da parte dell’imputato. 

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di sorveglianza di Milano – dopo che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, con sentenza del 4 aprile 2023, aveva applicato a (omissis) la pena concordata di anni tre di reclusione in ordine al reato di cui all’art. 612-bis cod. pen., e aveva sostituito la suddetta pena con la detenzione domiciliare sostitutiva per la durata di anni tre, e dopo che detta sentenza era divenuta irrevocabile in data 6 luglio 2023 – ha dichiarato, con provvedimento del 13 giugno 2023, l’incompetenza funzionale della magistratura di sorveglianza a decidere in merito alla revoca della suindicata pena sostitutiva per essere competente, quale giudice dell’esecuzione, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano.

Il Tribunale di sorveglianza ha innanzi tutto constatato quanto segue: nella suddetta data del 4 aprile 2023, il Giudice procedente, emessa la sentenza, aveva sostituito la misura cautelare della custodia in carcere in atto con quella degli arresti domiciliari, salvo che, a seguito di informativa dei Carabinieri di B, lo stesso Giudice, a causa del comportamento inosservante dell’imputato, aveva emesso ordinanza di aggravamento della misura cautelare sostituendo gli arresti domiciliari con la custodia carceraria e aveva trasmesso gli atti al Magistrato di sorveglianza di Milano, competente per la revoca della pena sostitutiva, ai sensi dell’art. 66 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

Ciò premesso, gli atti erano trasferiti dal Magistrato di sorveglianza al Tribunale di sorveglianza di Milano che, dopo aver fissato udienza innanzi al Collegio, segnalando di averlo fatto pur nella mancanza, nell’art. 66 cit., di specificazioni al riguardo, ha affermato che la magistrature di sorveglianza è carente di competenza nel presente snodo, in quanto l’art. 62 della legge n. 689 del 1981 stabilisce che, entro quarantacinque giorni dalla ricezione della sentenza il magistrato di sorveglianza provvede con ordinanza, resa ai sensi dell’art. 678, comma 1 -bis, cod. proc. pen., con la quale conferma o modifica, ove necessario, le modalità esecutive e le prescrizioni della pena sostitutiva: di conseguenza, essendo questo lo snodo in cui può ritenersi iniziato il decorso della pena sostitutiva, soltanto da tale momento si radica lai competenza della magistratura di sorveglianza.

Pertanto, ha aggiunto il Tribunale, nel caso in esame, siccome l’ordinanza ex art. 66 cit. non è stata mai emessa dal Magistrato di sorveglianza e la pena sostitutiva non ha mai avuto esecuzione, la competenza a decidere in ordine alla revoca della pena stessa va individuata in capo al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, quale giudice che ha deciso la sua applicazione, il quale deve procedere, se del caso, alla sua revoca o al suo aggravamento, all’esito di procedimento esecutivo ex art. 656 cod. proc. pen.: ciò, perché, secondo le regole generali, il giudice dell’esecuzione è il giudice competente a risolvere tutte le questioni che insorgano nella corrispondente fase, ad eccezione di quelle devolute al magistrato di sorveglianza dall’art. 66 della legge n. 689 del 1981 cit., ma sempre che sia stata emessa l’ordinanza di concreta applicazione della pena stessa.

2. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, quale giudice dell’esecuzione, ricevuti gli atti, ha, con ordinanza del 29 settembre 2023, proposto conflitto negativo di competenza.

Dopo aver ricordato che, con l’ordinanza di sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari con la custodia in carcere del 4 maggio 2023, era stata già disposta, in vista dell’imminente passaggio in giudicato della sentenza, la trasmissione degli atti al Magistrato di sorveglianza per quanto di competenza in ordine alla revoca della detenzione domiciliare sostitutiva, il giudice dell’esecuzione ha evidenziato che, dopo le modificazioni intervenute con l’entrata in vigore del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, l’art. 66 della legge n. 689 del 1981 ha attribuito la competenza per la revoca delle pene sostitutive della detenzione domiciliare e della semilibertà al magistrato di sorveglianza, al pari della relativa conversione in pena sostitutiva più grave; ciò, a differenza del regime previsto per la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, in ordine al quale la competenza a provvedere in questa fase è stata assegnata (non al giudice dell’esecuzione, bensì) al giudice che aveva applicato la pena sostitutiva.

Nello stesso senso – ha argomentato il giudice dell’esecuzione – l’art. 62 della legge n. 689 del 1981 assegna la competenza per l’esecuzione della pena sostitutiva della detenzione domiciliare, al pari di quella della semilibertà (non del lavoro di pubblica utilità), al magistrato di sorveglianza del luogo in cui la pena sostitutiva deve essere eseguita, magistrato che ha il compito di verificare l’attualità delle prescrizioni e di modificarle, se necessario.

Dall’analisi critica di questi indici normativi il Giudice per le indagini preliminari ha tratto il rilievo che la tesi sviluppata dal Tribunale di sorveglianza circa l’evenienza, per la revoca della pena sostitutiva in questa specifica fase, della competenza del giudice dell’esecuzione non rinviene alcun referente normativo, anche perché non sussiste un potere generale in capo al giudice dell’esecuzione di intervenire sul giudicato, avendo anche tale giudice soltanto la titolarità dei poteri espressamente conferitigli dall’ordinamento, tra i quali non rientra quello – qui in questione – di revoca della pena sostitutiva della detenzione domiciliare.

Inoltre, il Giudice per le indagini preliminari ha osservato che l’art. 66 della legge n. 689 del 1981 non presuppone affatto l’emissione dell’ordinanza ex art. 62 della stessa legge ben potendo ipotizzarsi che la violazione delle prescrizioni preceda l’ordinanza ivi contemplata, quanto meno nelle ipotesi in cui il destinatario della pena sostitutiva si trovi avvinto da misura cautelare, eventualità nella quale il soggetto, ai sensi dell’art. 656 cod. proc. pen., permane nella medesima situazione detentiva dopo il passaggio in giudicato della sentenza, in espiazione della pena sostitutiva: nel caso di specie, non può ritenersi mutata l’attribuzione della competenza, in ragione del fatto che, dopo l’aggravamento della misura cautelare, il condannato che si trovi in stato detentivo, sempre secondo la disciplina di cui all’art. 656 cod proc. pen., seguiti a restare nel medesimo stato, convertendosi il titolo, da cautelare in esecutivo.

Il giudice dell’esecuzione ha aggiunto che proprio la disciplina di cui all’art. 656 cod. proc. pen. impone di ritenere persistente lo stato detentivo del condannato, non potendo prefigurarsi la cessazione della misura, con totale pregiudizio dei presidi di tutela della collettività, nelle more dell’emissione dell’ordinanza ex art. 62 della legge n. 689 del 1981, non essendo stata applicata, la pena sostitutiva della detenzione domiciliare, a causa della custodia carceraria in cui era stato collocato il destinatario di essa, ragione per la quale la suddetta pena sostitutiva avrebbe dovuto essere revocata o sostituita dal Magistrato di sorveglianza, la cui competenza in questa materia, anche con riferimento al sistema antecedente a quello introdotto dall’entrata in vigore del D.Lgs. n .150 del 2022, non poteva porsi in discussione.

3. Il Procuratore generale, nella requisitoria scritta, rassegnata ai sensi dell’art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre del 2020, n. 176, come richiamato dall’art. 1.6 d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, convertito dalla legge 25 febbraio 2022, n. 15, nonché, ulteriormente, dall’art. 94, comma 2, D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, ha chiesto dichiararsi la competenza del Tribunale di sorveglianza competente per territorio, in adesione alle considerazioni svolte dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano in ordine alla coordinata interpretazione degli artt. 62 e 66 citt.

Motivi della decisione

1. In primo luogo, si ritiene l’ammissibilità del conflitto, poiché l’indubbia esistenza di una situazione di stasi processuale – derivata dal rifiuto, formalmente manifestato dai due giudici sopra indicati, di conoscere del medesimo procedimento – appare insuperabile senza l’intervento risolutore del conflitto, da assumersi ai sensi dell’art. 32 cod. proc. pen.

La sussistenza del conflitto emerge dal rilievo per cui, sebbene sia stato il Tribunale di sorveglianza a dichiararsi incompetente, tale organo lo ha fatto riferendosi all’intero plesso della magistratura di sorveglianza, laddove il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, intervenuto quale giudice dell’esecuzione, ha sollevato conflitto indicando, nella motivaizione, il Magistrato di sorveglianza quale giudice competente.

Invero, come si desume dalla consecutio degli atti già illustrata, il Giudice per le indagini preliminari, esaurita la fase cognitiva e assunti i provvedimenti cautelari da lui ritenuti ammissibili e necessari, aveva trasmesso gli atti proprio al Magistrato di sorveglianza di Milano, indicandolo come Autorità competente per l’attività esecutiva, ivi inclusa la prefigurata revoca della pena sostitutiva. Era stato, quindi, il Magistrato di sorveglianza a rimettere, a sua volta, gli atti al Tribunale di sorveglianza che, con l’intervento provvedimertale suindicato, ha poi affermato la carenza di competenza funzionale della magistratura di sorveglianza nel suo complesso, così ponendo le basi per la susseguente determinazione della stasi procedimentale da superare con il provvedimento risolutore del conflitto.

2. In ordine al contrasto interpretativo alla base del conflitto, la Corte ritiene che la competenza denegata dai giudici in conflitto vada ascrìtta al Magistrato di sorveglianza territorialmente competente, ossia il Magistrato di sorveglianza di Milano (nel circondario del cui Tribunale è situato il Comune di, luogo di detenzione del condannato A.A., peraltro residente in M, secondo gli atti del processo di cognizione)

2.1. In tempo antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022, per vero, non si era dubito che la competenza a provvedere in tema di esecuzione di quelle che erano qualificate sanzioni sostitutive si radicasse in capo al magistrato di sorveglianza, in accordo con l’esegesi dell’art. 661 cod. proc. pen., norma volta a regolare, appunto, l’esecuzione di quelle sanzioni, la quale stabiliva, da un lato, che, per l’esecuzione della semidetenzione e della libertà controllata, il pubblico ministero doveva trasmettere l’estratto della sentenza di condanna al magistrato di sorveglianza territorialmente competente, che avrebbe provveduto in osservanza delle leggi vigenti, mentre per la sanzione sostitutiva della pena pecuniaria l’esecuzione era da farsi secondo le richiamate regole di cui all’art. 660 cod. proc. pen.

Alla stregua di tale chiara traccia normativa si era affermato che la competenza a decidere in materia di conversione e revoca della libertà controllata, nonché di sanzioni sostitutive in genere, spetta al magistrato di sorveglianza, con la specificazione che era stata corrispondentemente segnalata l’incompetenza funzionale del giudice dell’esecuzione, giacché, anche a norma delle disposizioni, nel testo in allora vigente della legge n. 689 del 1981, la competenza in materia di conversione (art. 66) e revoca (art. 72) della libertà controllata, come delle sanzioni sostitutive in genere, era da riferirsi alla magistratura di sorveglianza (Sez. 1, n. 29809 del 24/06/2022, Confi, comp. in proc. Koczerg, Rv. 283361 – 01; Sez. 1, n. 9096 del 04/02/2011, Urso, Rv. 249616 – 01).

2.2. Posto ciò, il Collegio ritiene che l’assetto di questa materia, come rivisitato dal D.Lgs. n. 150 del 2022, non consenta di giungere a conclusione diversa pure con riferimento al peculiare snodo determinato dall’avvenuta irrogazione della pena sostitutiva della detenzione domiciliare nei confronti di imputato il cui status libertatis, già caratterizzato dall’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari subisca l’aggravamento per la sostituzione della misura suddetta con la custodia inframuraria.

Invero, il sistema previsto dagli artt. 62 e 66 della legge n. 689 del 1981, nel testo sortito dalla riforma, non sembra lasci spazio all’enucleazione della competenza interstiziale del giudice dell’esecuzione prospettata dal Tribunale di sorveglianza, competenza non prevista dalle norme suddette.

Si può inferire dall’articolazione delle norme che esse paiono sottendere l’ordinaria fattispecie in cui il condannato giunga a sentenza definitiva libero per quel titolo, ma tale rilievo non si profila interferire con l’individuazione del giudice competente per l’attività esecutiva, ivi inclusa la revoca – eventuale – della pena sostitutiva.

Una traccia rilevante e non obliterarle in tal senso è fornita dalla precisa articolazione della norma processuale primaria in tema di individuazione del giudice competente per l’esecuzione delle pene sostitutive, ossia l’art. 661 cod. proc. pen., come modificato sempre dal D.Lgs. n. 150 del 2022.

Questa norma, nell’attuale struttura, individua, al comma 1, la competenza all’esecuzione delle pene sostitutive della semilibertà e della detenzione domiciliare in capo al magistrato di sorveglianza che provvede ai sensi dell’art. 62 della legge n. 689 del 1981.

Viceversa, per la pena sostitutiva (che nel presente caso non rileva) del lavoro di pubblica utilità è il giudice che ha applicato la pena a provvedere ai sensi dell’art. 63 della legge n. 689 del 1981.

Quanto alle pene sostitutive della detenzione domiciliare e della semilibertà, la norma disciplina anche l’ipotesi in cui tali pene sostitutive siano applicate a un soggetto in custodia cautelare per la medesima causa: in tale ipotesi, si stabilisce che il condannato debba permanere nello stato detentivo in cui si trova e il tempo corrispondente è considerato come pena espiata a tutti gli effetti, mentre in tutti gli altri casi le misure cautelari perdono immediatamente.

L’esplicita previsione dell’ipotesi dell’applicazione della pena sostitutiva della detenzione domiciliare (quella che rileva in questa sede), oltre che di quella della semilibertà, a soggetto avvinto da una misura cautelare coercitiva, coniugato con il disposto dell’art. 62 della legge n. 689 del 1981, conferma la competenza del magistrato di sorveglianza a emettere ogni provvedimento attratto nell’alveo dell’esecuzione della sentenza.

L’impulso avente ad oggetto l’avvio dell’esecuzione, sempre con primario riferimento alla pena sostitutiva che qui interessa, è affidato dalle indicate norme al pubblico ministero che ha il compito di trasmettere la sentenza al magistrato di sorveglianza del luogo del domicilio del condannato, contestualmente alla notificazione del provvedimento di esecuzione al difensore del condannato.

È poi il magistrato di sorveglianza a dover provvedere “senza ritardo” al compimento delle attività disciplinate dall’art. 62 cit. e, dopo aver verificato l’attualità delle prescrizioni, ad emettere, entro il quaranteicinquesimo giorno dalla ricezione della sentenza, l’ordinanza, resa a norma dell’art. 678, comma 1 bis, cod. proc. pen., che conferma nonché, se necessario, modifica le modalità di esecuzione e le prescrizioni della pena sostitutiva, con il seguito procedimentale esecutivo affidato alla sua direzione.

L’art. 66 della medesima legge affida in via esclusiva al magistrato di sorveglianza la competenza a provvedere alla revoca della stessa pena sostitutiva per l’inosservanza delle prescrizioni e, prima ancora, per la mancata esecuzione della pena esecutiva.

2.3. Il sistema, quindi, non contempla l’emersione di una competenza diversa da quella del magistrato di sorveglianza dall’avvio dell’esecuzione determinato dalla trasmissione da parte del pubblico ministero del titolo esecutivo al suddetto magistrato.

Da quel momento è il magistrato di sorveglianza a dover assumere le conseguenti determinazioni esaminando anche le sopravvenienze inerenti alla posizione del condannato rispetto al suo status libertatis, come cristallizzato in virtù dei provvedimenti emessi dal giudice della cognizione (la cui definizione e i cui limiti nello snodo in esame attengono a tema non devoluto e che quindi non occorre esplorare in questo procedimento).

L’articolazione del complessivo assetto espressa dall’art, 661 cit., laddove prevede in via ordinaria il caso della pena sostitutiva da applicarsi a soggetto condannato in custodia cautelare, corrobora la conclusione che è il magistrato di sorveglianza a dover provvedere in ogni caso, operando le valutazioni che l’ordinamento riserva alla sua esclusiva funzione, essendo senza diretto rilievo giuridico anche le prospettazioni prognostiche estranee all’esplicazione della funzione stessa.

L’avvenuta trasmissione della sentenza irrevocabile costituente il titolo esecutivo da parte del Pubblico ministero deve ritenersi avvenuta nel caso di specie, sulla scorta di quanto è affermato nei provvedimenti dei giudici in conflitto e non avendo messo in questione, il Tribunale di sorveglianza, il relativo dato, ma avendo invece proposto di posporre il radicamento della competenza esecutiva innanzi al Magistrato di sorveglianza al momento dell’emissione dell’ordinanza ex art. 62 della legge n. 689 del 1981: proposta che il Collegio non può fare propria per le ragioni esposte.

3. La conclusione a cui la Corte ritiene di dover pervenire è, pertanto, nel senso che va affermata la competenza del Magistrato di sorveglianza di Milano, con la trasmissione degli atti a quell’Ufficio.

P.Q.M.

Decidendo sul conflitto, dichiara la competenza del Magistrato di sorveglianza di Milano cui dispone trasmettersi gli atti.

Così deciso il 12 gennaio 2024.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2024.

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