Con la sentenza impugnata n. 603.2022, il Tribunale di Vicenza accoglieva parzialmente il ricorso pronunciando la separazione personale tra (omissis) e (omissis) con addebito in capo al marito e ponendo a carico dello stesso l’obbligo di versare quale contributo al mantenimento dei due figli (omissis) e (omissis) la somma di Euro 2000,00 (Euro 1000 a figlio) oltre al rimborso nella misura del 50% delle spese straordinarie sostenute dalla madre nell’interesse dei figli nonché l ‘importo di Euro600 a titolo di mantenimento della moglie.
Avverso tale sentenza (omissis) proponeva appello chiedendo la riforma sia in ordine all’addebito che in ordine alla disciplina dell’affido e agli aspetti patrimoniali.
Con sentenza nr 2318/2023 la Corte di appello di Venezia poneva a carico dell’appellante (omissis) l’obbligo di versare all’appellata (omissis) la somma di Euro 1.000,00 a titolo di assegno di mantenimento anche per il figlio (omissis) oltre il 50 % delle spese straordinarie; nonché l’ulteriore obbligo di versare alla (omissis) la somma di Euro 800,00 a titolo di mantenimento in suo favore, somma rivalutabile annualmente secondo gli indici Istat.
Riteneva, per gli aspetti che qui rilevano, che la rottura del rapporto tra le parti fosse dipesa dalla sussistenza di plurime relazioni extraconiugali intrattenute dall’odierno appellante e che pertanto fosse a lui ascrivibile la crisi irreversibile dell’unione, in spregio al dovere di fedeltà nascente dal matrimonio di cui agli artt. 143, 160 c.c.; ciò in difetto di prova che fosse avvenuta in un momento di consolidata tensione familiare.
Con riguardo al contributo per il mantenimento della moglie il giudice di merito osservava che dalla condizione economico-patrimoniale delle parti in causa fosse congruo quantificare l’assegno in favore dell’odierna appellata in Euro 800,00; importo peraltro soggetto a tassazione, rientrante così nel reddito imponibile Irpef della beneficiaria e rappresentante per l’appellato un onere prededucibile che, abbattendo il reddito imponibile, comportava una proporzionale riduzione delle imposte applicate. Rilevava, alla luce delle risultanze della CTU, che il patrimonio netto delle parti era pressocché analogo (pagina 53 CTU) ed ammontava a circa Euro 2.000.000,00 per la (omissis) e circa Euro 1.800.000,00 per il (omissis).
Il patrimonio della (omissis) era, però, sostanzialmente investito in beni immobili e in una partecipazione di minoranza in società immobiliare ((omissis) Sas) e non era agevolmente liquidabile, se non per quanto riguarda la casa di (omissis), essendo gli altri beni immobili in titolarità della (omissis) solo pro quota, mentre la casa di (omissis) era adibita ad abitazione della medesima.
Rilevava che quantunque la casa di (omissis) avrebbe potuto essere messa a reddito, il reddito ricavabile non le avrebbe consentito di mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
Riteneva che la cessione della partecipazione in (omissis) avrebbe privato la (omissis) dell’unica fonte di liquidità di cui dispone. L’appellata aveva, poi, un credito derivante dalla cessione della partecipazione in (omissis) Spa che, però, sarebbe divenuto inesigibile per Euro 150.000,00, mentre quello di Euro 145.400,00 non risultava essere stato incassato (pag. 44 e 53 CTU). Nei conti correnti presso le Banche (omissis), (omissis) e (omissis) intestati alla (omissis) il CTU aveva riscontrato la disponibilità di significative somme di assegni e contanti la cui natura non era stato in grado di indagare. Il CTP della (omissis) aveva fornito una spiegazione, che peraltro non aveva trovato riscontri.
In ogni caso si trattava di disponibilità che non risultano incidere in modo così significativo sul confronto da effettuarsi tra le situazioni economico-patrimoniali delle parti e che, comunque, rilevano sotto il profilo del quantum dell’assegno e non sull’an. Il patrimonio del (omissis) era invece investito con prevalenza nelle società (omissis) Srl e in (omissis) Srl di cui era socio unico. Quest’ultima deteneva disponibilità finanziarie nette significative che, alla data del 31.12.2018, ammontavano a Euro 955 mila circa e che avrebbero potuto consentire in prospettiva la distribuzione di dividendi al socio unico.
Su queste basi riteneva che a fronte di patrimoni di analoga consistenza, vi era una forte disparità dei redditi delle parti. In questa prospettiva la Corte di appello sottolineava che la (omissis) era priva di redditi di lavoro dipendente e le sue entrate potevano derivare dalla distribuzione di dividenti da parte di (omissis) Sas che, tenuto conto della percentuale di partecipazione del 12,25% (esclusa la quota di nuda proprietà) dell’appellata, si poteva ipotizzare ammontassero a Euro 14.700,00 annui.
Diversamente il (omissis), invece, poteva contare su compensi da amministratore che, sulla scorta delle evidenze degli anni 2017 e 2018, risultano mediamente di circa 30.000,00 euro/anno ed inoltre quale socio e amministratore unico di due società, di cui (omissis) Srl aveva registrato negli ultimi due anni un reddito netto medio di Euro 428.000,00 circa e significative disponibilità finanziarie, era potenziale destinatario di una significativa distribuzione di dividendi.
In questo quadro la Corte distrettuale riteneva che fosse principalmente il (omissis) – con il suo reddito – a consentire alla famiglia di tenere un tenore di vita corrispondente, sebbene non potesse negarsi che in ciò avesse altresì concorso – seppure in misura sensibilmente inferiore – il fatto che comunque la (omissis) aveva nel pregresso avuto la disponibilità di somme di denaro (principalmente quelle derivanti dal rimborso finanziamento soci (omissis)) di un certo rilievo.
Considerava pertanto congruo, valutato anche tale aspetto, determinare l’assegno di mantenimento in favore della moglie nella misura sopra indicata, ritenuta idonea a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
Avverso tale sentenza (omissis) ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico articolato motivo cui ha resistito (omissis) con controricorso, illustrato da memoria.
Si osserva che, diversamente dalla relazione della GdF, depositata in data 30 maggio 2017, la signora (omissis) risultava, infatti, ben più attiva ” societariamente ed economicamente” di quanto dalla stessa riferito in atti, non solo con riferimento alle proprie quote
societarie e ai numerosi conti correnti a lei riferibili, ma, altresì per essersi potuta permettere – con atto del 22.4.2016 – addirittura la donazione alla sorella Sabrina di n.19.760 azioni della società (omissis) Spa, informazione che era stata acquisita in giudizio solo a seguito dell’indagine della GdF in quanto rigorosamente taciuta dalla moglie.
Si afferma che la c.t.u. aveva accertato e documentato il transito di numerose somme sul conto corrente intestato alla signora (omissis) in relazione alle quali il consulente aveva evidenziato la disponibilità di significative somme di assegni e contanti sulla cui natura non era stato possibile indagare.
Si sostiene che il tenore di vita della signora (omissis) sarebbe, quindi, determinato in via principale dal rilevante apporto economico derivante alla signora (omissis) dai suoi beni personali e dai beni di famiglia, dai proventi delle relative società e dalle disponibilità di importanti beni immobili, quali la villa di sua proprietà in cui vive, oltre alla villa con piscina di (omissis), entrambe di esclusiva proprietà ed inoltre la stessa era titolare di un patrimonio personale produttivo di un ottimo reddito disponibile, che le consentiva non solo la sua piena autonomia economica, ma anche di mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, dovuto certamente alle sue personali sostanze familiari, più che agli apporti del marito.
Si osserva invece per quel attiene alla situazione economica del soggetto onerato che gli utili percepiti dalle società di cui lo stesso è titolare sarebbe molto diversa per l’anno 2021 ammonterebbero complessivamente a Euro 40.344 ((omissis) Srl unip. Euro. 21.600,00) e (omissis) Srl unip. Euro 18.744,00) mentre per l’anno 2022 ammonterebbero complessivamente a Euro Euro 52.540,00 ((omissis) Srl unip. Euro. 41.136,00 e (omissis) Srl unip. Euro 11.404,00) ed i compensi all’Amministratore, erogati solo da parte della (omissis) Srl unip. erano pari, sia per l’anno 2021 che per il 2022, a Euro 4.000 netti al mese.
Sotto altro profilo si denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto: l’esclusione/revoca del diritto all’assegno di mantenimento per mancata ricerca dell’occupazione da parte del coniuge.
Si lamenta che la (omissis), dal 2015, pur potendo lavorare, considerato la sua età, non si sarebbe mai attivata doverosamente negli anni per reperire un’occupazione lavorativa retribuita confacente le sue abitudini.
Le censure nella triplice articolazione piuttosto che integrare un vizio della sentenza (omesso esame circa un fatto decisivo), sono finalizzate a richiedere una nuova e diversa valutazione del merito insindacabile in sede di legittimità. Ciò sulla scorta del consolidato principio secondo cui con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente. L’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute, idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 7921/2011). Non è infatti consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito”; In particolare, tanto la valutazione delle deposizioni testimoniali, quanto il giudizio sull’attendibilità dei testi, sulla credibilità e sulla rilevanza probatoria delle loro affermazioni sono rimessi al libero convincimento del giudice del merito (Cass. sez. III, 07/02/2024, n.3550). In tema di procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento ed è, pertanto, insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre (Cass. n. 21187 del 2019).
In particolare, la Corte del merito ha analiticamente proceduto ad una minuziosa ricostruzione delle vicende familiari ed ha accertato alla luce delle dichiarazioni rese dai vari testi analiticamente riportate che la rottura del rapporto tra le parti fosse dipesa dalla sussistenza di plurime relazioni extraconiugali intrattenute dal marito.
A fronte del percorso motivazionale appena riassunto, non ricorrono le violazioni di legge denunciate, né il vizio di omesso esame di fatti decisivi.
Le censure sono inammissibili, nella parte in cui si risolvono, in realtà, nel sostenere, tramite l’apparente denuncia di vizi di violazione di legge o di omesso esame di fatti decisivi, un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme (da ultimo Cass. n. 10927/2024). Nella ricostruzione dei fatti la Corte di appello ha evidenziato con congrua motivazione il progressivo ed irreversibile venir meno dell’affectio coniugalis e l’instaurazione di una modalità di relazione del tutto aliena dal coniugio, non smentita nemmeno dal ricorrente, senza che nel corso degli anni trascorsi dal momento dell’allontanamento a quello della presentazione della domanda di separazione sia emerso alcun indizio di opposto contenuto. A fronte di detto congruo percorso motivazionale, il ricorrente si limita a svolgere una serie di considerazioni e deduzioni che non superano il vaglio dell’ammissibilità, anche in quanto dirette a sollecitare un riesame del merito.
Con riguardo ai profili economici giova ricordare che la separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicché i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio (Cass., n. 12196/2017; Cass n. 4327/2022).
Ciò posto la censura è inammissibile poiché non censura efficacemente la ratio decidendi e si risolve in una domanda di rivalutazione degli esiti istruttori effettuata nei giudizi di merito. La Corte ha enunciato correttamente i principi applicati per la determinazione dell’assegno assegno di mantenimento ponendo a confronto le due posizioni economiche rilevandone un divario per quel che attiene i redditi percepiti ed ha evidenziato che una serie di circostanze rilevabili dalla valutazione degli esiti probatori che ha ritenuto essenziali ai fini della quantificazione. Tali circostanze sono indicate specificamente e rientrano nella valutazione degli esiti istruttori che sono rimesse all’attività esclusiva del giudice di merito.
La motivazione della Corte d’Appello è analitica e articolata, ha valutato complessivamente l’intera situazione economico patrimoniale del ricorrente, valorizzando – anche ma non soltanto -una serie di elementi indiziari di particolare pregnanza, traendone conclusioni perfettamente logiche e coerenti.
La censura del ricorrente non mira a evidenziare l’omesso esame di un fatto asseritamente decisivo per il giudizio, né ad evidenziare errori in punto di diritto bensì a lamentarsi della valutazione gli elementi probatori, peraltro singolarmente considerati e non rapportati al contesto complessivo della valutazione resa dal giudice di merito.
Il motivo è quindi inammissibile perché il vizio di omesso esame di fatto decisivo per il giudizio non può consistere, come invece si pretende, nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice predetto individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014). Alla Corte di cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti (cfr. Cass. n. 30878 del 2023).
Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
in caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma dell’art. 52 D.Lgs. 196/2003.
Così deciso in Roma, 04 giugno 2025
Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2025
