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Cassazione penale sez. I, 09/01/2024, n. 17567

Massima

La pubblicazione online di un articolo che incita alla violenza contro amministratori pubblici, a seguito di disagi della comunità, costituisce reato di istigazione a delinquere, superando i limiti della libertà di stampa, se le espressioni usate sono idonee a provocare concretamente la commissione di delitti e non si configurano come una semplice critica politica.

Supporto alla lettura

ISTIGAZIONE A DELINQUERE

Disciplinato dall’art. 414 c.p., è sanzionata la condotta di chiunque istighi terze persone a commettere delitti o contravvenzioni, oppure ne faccia apologia.

Questa norma rappresenta un importante strumento di prevenzione, mirato a evitare che l’incitamento possa tradursi in azioni concrete lesive dell’ordine pubblico e della sicurezza sociale.

Affinchè il fatto sia penalmente rilevante, deve sussistere pubblicità nel comportamento di chi istiga, anche se non è seguito dalla commissione del reato. Inoltre se tale reato è commesso da un militare si applica l’art. 212 c.p.m.p.

Ambito oggettivo di applicazione

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Castrovillari in data 23/09/2019, che affermava la responsabilità di (omissis) per istigazione a commettere delitti, ai sensi dell’art. 414, primo comma, n. 1, cod. pen. – commessa tramite la pubblicazione di un articolo on line in cui, a fronte dei disagi determinati dalla mancata erogazione dell’acqua alla popolazione di Corigliano Calabro per oltre una settimana nel periodo natalizio, la responsabilità della quale il prevenuto imputava a (omissis) e alla sua amministrazione, sosteneva che i Coriglianesi avrebbero dovuto prendere gli amministratori pubblici a pugni, schiaffi e calci ed avrebbero dovuto linciarli andandoli a cercare sotto casa ad uno ad uno – e lo condannava alla pena di mesi dieci di reclusione, oltre che al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita.

2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, (omissis), deducendo vizio di motivazione.

Rileva la difesa che la natura di reato di pericolo concreto della fattispecie di cui all’art. 414 cod. pen. impone la verifica della concreta idoneità ad offendere l’ordine pubblico della condotta posta in essere e in particolare della necessaria idoneità delle dichiarazioni rese, sulla base di un giudizio ex ante, a provocare la commissione di delitti.

Osserva, quindi, che nel caso in esame, anche a voler individuare una connotazione istigatoria nelle parole di Bu.Fa. contenute nell’articolo di cui all’imputazione, non si ritiene che le stesse, per il contesto e il momento nel quale vengono pronunciate possano ritenersi idonee ad istigare attualmente e concretamente qualcuno al compimento di delitti, quali le lesioni personali di cui la persona offesa è stata vittima ben due anni dopo, quando non ricopriva alcuna carica pubblica venendo meno, quindi, anche qualsiasi correlazione oggettiva e motivazionale con l’articolo oggetto di querela.

Aggiunge che nulla all’epoca dell’articolo accadeva, a riprova dell’inoffensività della condotta posta in essere; e che nel caso in esame mancherebbe sia l’elemento oggettivo del reato (neppure sussistendo alcuna correlazione col danneggiamento di oggetti di arredo urbano, episodio antecedente all’articolo richiamato nella sentenza impugnata) che quello soggettivo (avendo, altresì, il Procuratore generale presso la Corte di appello di Catanzaro chiesto in sede di conclusioni l’assoluzione per non essere “emersa l’effettiva intenzione di istigare alla commissione concreta di uno o più delitti”).

La difesa insiste, alla luce di tali censure, per l’annullamento della sentenza impugnata.

3. Disposta la trattazione scritta del procedimento ai sensi dell’art. 23 del d. I. n. 137 del 2020, il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, dott. (omissis), conclude, con requisitoria scritta, per il rigetto del ricorso; il difensore dell’imputato, avv. (omissis), insiste, con memoria scritta, per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.Invero, la Corte di appello di Catanzaro, rispondendo ad analogo motivo di appello, conferma le valutazioni del primo Giudice in merito alla sussistenza di una condotta concretamente istigatoria, in quanto dotata di un’effettiva e forte carica di persuasione e suggestione, nei confronti dei lettori del quotidiano ori line, a porre in essere atti violenti nei confronti del sindaco del Comune di Corigliano e dei suoi collaboratori per far valere le proprie ragioni, anche alla luce della grave situazione di carenza idrica che aveva colpito la comunità.

Rileva, in particolare, che: – il pericolo concreto qualificante la condotta dell’imputato è stato tratto con tutta plausibilità da detta coeva e gravissima situazione che attanagliava la comunità civica e che aveva determinato una condizione di insofferenza, intolleranza e violenza manifestatasi anche attraverso il danneggiamento di oggetti di arredo urbano e di incendio dei cassonetti della spazzatura; – in tale contesto l’avere l’imputato ulteriormente dato rilievo alla situazione di disagio con i termini adoperati e con l’indicazione ai lettori di voler aggredire il sindaco, si appalesa come una condotta diretta concretamente a turbare l’ordine pubblico ed a commettere reati contro l’incolumità fisica e il regolare esercizio degli organi di amministrazione comunali.

La sentenza impugnata esamina, inoltre, anche l’altro argomento difensivo, relativo all’esercizio della libertà di stampa e all’insussistenza di un messaggio istigatorio per essersi trattato solo di un modo di scrivere dell’imputato certamente aggressivo, irruento e provocatorio, ma volto soltanto ad attaccare la politica nel quadro di battaglie condotte per la legalità.

A tale riguardo sottolinea come nel caso di specie vi sia stato il superamento dei limiti di esercizio di detto diritto, in ragione sia del contenuto dell’articolo sia delle espressioni usate.

Rileva che la critica giornalistica può certamente concretizzarsi in espressioni forti nei confronti della politica e dell’amministrazione, ma non può scadere nell’invito all’aggressione fisica delle persone accreditate come responsabili di una determinata situazione o nella commissione di altri reati (il condizionamento dell’esercizio delle prerogative legate all’amministrazione comunale), determinando ciò il superamento della scriminante invocata dalla difesa e l’integrazione della fattispecie contestata all’imputato.

Sottolinea che il senso che le espressioni giornalistiche adoperate restituiscono è quello di pura e semplice vendetta in danno dei rappresentanti elettivi comunali e non di attacco politico o battaglia per la legalità, concetto quest’ultimo che non può fare ricorso, per l’affermazione, a metodi che leciti non sono; né può dirsi che la sussistenza di tali limiti e viceversa il carattere illecito della propria condotta possano essere stati ignorati dall’imputato, troppo violenti ed espliciti essendo stati gli accenti adoperati negli articoli giornalistici non disgiunti da espressioni di vero e proprio disprezzo già travalicanti, sotto un diverso aspetto, il limite della continenza.

Con riguardo a detto ultimo profilo, evidenzia la sentenza de qua che il fatto che l’imputato avesse criticato il danneggiamento degli oggetti di arredo urbano e dei cassonetti della spazzatura può assumere un significato probatorio anche a carico, rafforzando nei lettori la convinzione che solo una condotta di violenza fisica e di minaccia in danno degli amministratori comunali poteva rivelarsi più adeguata alla punizione di coloro che erano indicati come i responsabili di una situazione così grave.

Tali essendo le argomentazioni della sentenza in esame, le stesse non solo sono scevre da vizi logici e giuridici, ma risultano, altresì, conformi alla costante giurisprudenza di legittimità, secondo cui il delitto di istigazione a delinquere, previsto dall’art. 414 cod. pen., è reato di pericolo concreto e non presunto e richiede di conseguenza per la sua configurazione un comportamento che sia ritenuto concretamente idoneo, sulla base di un giudizio “ex ante”, a provocare la commissione di delitti (Sez. 5, n. 48247 del 12/09/2019, PM c/ De Salvatore, Rv. 277428: fattispecie in cui la Corte ha ritenuto integrato il reato dalla pubblicazione di alcuni opuscoli con cui si affermava che “i C.I.E. si chiudono con il fuoco” da parte di un gruppo che aveva organizzato in precedenza attentati incendiari contro alcuni C.I.E.).

Di contro il ricorso, nell’insistere sull’inidoneità istigatoria, in base ad una successiva, lontana nel tempo, aggressione fisica a Geraci su cui non fa leva la sentenza impugnata, sul fatto che, invece, nulla sarebbe accaduto nell’immediatezza della pubblicazione, e sull’assenza anche dell’elemento soggettivo, dimostra di non confrontarsi con detto iter motivazionale non manifestamente illogico e di limitarsi ad una mera critica delle valutazioni conformi dei giudici di merito, senza individuare lacune e/o contraddizioni motivazionali tutelabili in sede di legittimità, rivelandosi in tal modo infondato.

2. Al rigetto consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2024.

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2024.

Allegati

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