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Cassazione penale sez. I, 08/02/2024, n.5514

Massima

L’aggravante dei motivi abietti o futili nell’omicidio si verifica quando il movente, come la gelosia, è sproporzionato rispetto al delitto e si manifesta come un’ingiustificata espressione di possesso e punizione nei confronti della libertà della persona con cui l’autore ha avuto una relazione sentimentale.

Supporto alla lettura

OMICIDIO

L’ Art. 575 c.p. (Capo I Libro II Titolo XII del codice penale- Dei delitti contro la persona)  dispone che “Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno”. 

Il bene giuridico del reato è chiaramente rappresentato dalla vita umana, mentre la condotta del reato consiste nel cagionare la morte di una persona fisica o, nella fattispecie omissiva, nel non impedirla.

Le fattispecie di omicidio disciplinate dal codice penale sono:

  • l’omicidio doloso;
  • l’omicidio colposo;
  • l’omicidio del consenziente;
  • l’omicidio preterintenzionale;
  • l’omicidio stradale.

A tutela del bene vita sono poste altresì all’interno del capo I del titolo II del libro II del codice penale le fattispecie di:

  • infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale;
  • istigazione o aiuto al suicidio;

In forza dell’ applicazione congiunta dell’ art. 575 c.p. e l’ art. 56 c.p., è possibile l’ incriminazione dell’ omicidio nella forma tentata, consistente in atti idonei, diretti in modo non equivoco a cagionare la morte di una persona, se l’ evento “morte” non si verifica.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di assise di appello di Bologna, con la sentenza in epigrafe, ha confermato la pronuncia resa in data 11 aprile 2022 dalla Corte di assise di Parma, che dichiarava (omissis) colpevole dell’omicidio di (omissis), aggravato dai futili motivi, delle lesioni in danno di (omissis), aggravate dall’uso di arma e dal nesso teleologico, del porto del coltello (utilizzato per i primi due delitti) fuori della propria abitazione senza giustificato motivo e della minaccia nei confronti della (omissis) finalizzata a farle commettere il reato di favoreggiamento personale, e, ritenuto il vincolo della continuazione tra detti reati, lo condannava alla pena dell’ergastolo, alle pene accessorie e al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili.

1.2. La Corte territoriale, in via preliminare, ha escluso la sussistenza di margini per aderire alla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale attraverso una perizia sulla capacità di intendere e di volere del prevenuto.

La medesima Corte, sulla scia del primo Giudice, ha ritenuto, poi, sussistente l’aggravante dei futili motivi e non ha ritenuto concedibili le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle aggravanti contestate.

2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore di fiducia, (omissis).

2.1 Con il primo motivo di impugnazione viene denunciata mancata assunzione di una prova decisiva, in violazione degli artt. 3,24,111 Cost., 48 Cedu., costituita dalla perizia psichiatrica che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato un diverso andamento processuale e una diversa pronuncia.

2.2. Col secondo motivo di ricorso viene dedotto vizio di motivazione in relazione alla mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ex art. 603 cod. pen., attraverso l’espletamento di perizia psichiatrica al fine di valutare la capacità di intendere e di volere dell’imputato al momento del fatto.

Ci si duole che la sentenza impugnata, a fronte di una richiesta di integrazione istruttoria che si fondava su elementi inconfutabili emersi nel corso del procedimento, quali a) la dichiarazione da parte dello psichiatra del carcere, a seguito della visita del 12 maggio 2021, che evidenzia nel (omissis) “tratti di CLUSTER B”, b) le dichiarazioni rese in sede testimoniale dalla psicologa dott.ssa (omissis), che riscontrava già in tenera età un abuso di sostanze alcoliche, c) il parere prò ventate dello psichiatra dott. Bertacca, allegato all’atto di appello, non li abbia valutati accuratamente appiattendosi sulle argomentazioni al riguardo del primo Giudice.

2.3. Col terzo motivo di impugnazione viene rilevato vizio di motivazione in ordine alla mancata esclusione dell’aggravante dei futili motivi (per gelosia) riconosciuta in sentenza.

Anche sul punto i Giudici di appello confermano, secondo la difesa, l’impostazione del primo Giudice senza confrontarsi con le doglianze espresse con l’atto di appello, che evidenziano come il rapporto tra la (omissis) e l’imputato fosse caratterizzato da continui e reciproci scontri sia verbali che fisici e come i sentimenti di affetto e di amore vantati da una personalità immatura come (omissis) nella turbolenta reazione amorosa fossero sentiti come forti e non potessero essere genericamente classificati come futili motivi.

2.4. Col quarto motivo di ricorso si eccepisce vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alle aggravanti contestate.

Osserva la difesa che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale che valorizza il pessimo comportamento processuale dell’imputato, le circostanze attenuanti generiche andavano riconosciute in ragione dell’incensuratezza di (omissis), della sua estraneità a qualsiasi logica criminale, della sua immaturità caratteriale, della sua condizione sociale e del contesto in cui si sono verificati i fatti.

Rileva che secondo la giurisprudenza di legittimità la scelta di rimanere in silenzio o non collaborare non può essere assunta, da sola, come elemento decisivo sfavorevole alla concessione delle circostanze attenuanti generiche.

Per tutti i summenzionati motivi il difensore chiede l’annullamento della sentenza impugnata.

3. Disposta la trattazione scritta del procedimento ai sensi dell’art. 23 del d. I. n. 137 del 2020, il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, dott. (omissis), conclude per il rigetto del ricorso; l’avv. (omissis), per le parti civili (omissis), in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale nei confronti dei figli (omissis), conclude per la conferma della sentenza impugnata anche in punto di statuizioni civili e per la condanna alle spese sostenute dai suoi assistiti, di cui allega nota; l’avv. (omissis), per (omissis), conclude per l’inammissibilità o quantomeno il rigetto del ricorso, la conferma delle statuizioni civili e la condanna alle spese sostenute dalla sua assistita, ammessa al patrocinio a spese dello Stato, di cui allega nota; l’avv. (omissis), per (omissis), conclude per l’accoglimento del ricorso, di cui ripercorre i motivi.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

1.1. Manifestamente infondato è il primo motivo di impugnazione.

Come, invero, rilevato dallo stesso ricorrente, la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova “neutro”, sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l’articolo citato, attraverso il richiamo all’art. 495, comma 2, cod. proc. pen., si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività (Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, A. e altro, Rv. 270936).

1.2. Infondato è, invece, il dedotto vizio motivazionale circa la mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, di cui al secondo motivo di ricorso.

La Corte territoriale evidenzia come nel caso in esame non siano emersi elementi per dubitare dell’imputabilità di (omissis) e rendere indispensabile l’accertamento peritale sollecitato. Rileva a tale riguardo che: – il contenuto e il tenore delle intercettazioni e delle comunicazioni (sms/audio vocali) preesistenti costituiscono riprova di come l’imputato si rapporti sempre coerentemente e conseguentemente ogni qualvolta si trova ad affrontare le varie circostanze della vita che percepisce in modo assolutamente adeguato (pregressa lite con (omissis); incomprensioni/chiarimenti/interlocuzioni varie con la (omissis)), così come quando, intercettato, parla della specifica vicenda, laddove fa comprendere di ricordare ciò che ha fatto, ma non il numero di colpi o l’esatta loro localizzazione, così come dà atto di comprendere il disvalore di ciò che ha commesso, nonché di avere ben presente il movente passionale da cui è stato mosso allorquando parla con la mamma o nell’immediatezza del fatto con la (omissis); – piena e corretta percezione delle circostanze di fatto e chiarezza del proprio intento si evincono, poi, dalla lucidità del comportamento tenuto nel momento dell’azione omicida e comunque subito dopo il fatto (l’accortezza, nell’avvicinarsi alla stanza ove si sarebbero verificato l’omicidio, di togliersi le scarpe per evitare che (omissis) potessero accorgersi del suo arrivo; ovvero successivamente di cambiarsi con il ricambio che si era portato dietro appositamente, per poi gettare nel sottostante canale l’arma utilizzata e la felpa che indossava al momento; o, ancora, di elaborare una versione depistante di copertura imposta anche alla (omissis)); – non vale il richiamo alle dichiarazioni rese dalla dr.ssa Bernardi, psicologa che in passato (nel 2016) lo aveva seguito a causa di condotte oppositive tenute in ambito scolastico, che descrive la presenza di un disturbo provocatorio oppositivo, tradottosi in un disturbo comportamentale connotato da insofferenza alle regole del vivere civile e mancato rispetto delle figure di autorità, connotazioni che evidentemente nulla hanno a che fare con l’eziologia del delitto in esame; – neppure particolari indicazioni emergono dalle visite psichiatriche avvenute in carcere subito dopo il delitto e l’immediato arresto di (omissis), ben sei, nelle quali si dà sempre atto di un soggetto tranquillo, vigile , lucido, orientato nel tempo, nello spazio e verso le persone, senza sintomi psicotici in atti, risultando unici elementi di qualche rilevanza un tono dell’umore depresso, peraltro facilmente ricollegabile allo stato di detenzione e la presenza, nella sola visita del 12 maggio 2021, di J’tratti” del cluster B; – quindi, a tutto concedere si sarebbe ben lontani dai gravi disturbi della personalità, tali da integrare una vera e propria infermità mentale, richiesti dalla giurisprudenza per essere rilevanti in ordine alla valutazione della capacità di intendere e di volere, e ben lontani da alcuna correlazione causale con il delitto commesso; – quanto alla assunta rilevanza del consumo di droghe ed alcool, l’imputato è risultato far uso quotidiano di cannabinoli e quindi di droghe leggere di minima influenza sulla capacità di intendere e di volere e al momento del fatto non presentava alcun sintomo di ebbrezza alcolica o di altro, emergendo dalla visita medica del 5 maggio 2021 l’assenza di segni e sintomi astinenziali o di intossicazione e comunque non risultando accertata una situazione di cronica intossicazione (unica a poter avere rilievo giuridico ai fini dell’imputabilità); – nemmeno il parere pro ventate del dott. (omissis) emesso in assenza di una visita di (omissis) e di alcun riferimento concreto a dati anamnestici ovvero anche solo ai dati risultanti dal materiale clinico messo a disposizione dello specialista, di cui per vero manca qualsiasi analisi o richiamo, in particolare fondato unicamente sulle modalità delittuose che denoterebbero secondo lo psichiatra una caratterizzazione di tipo psicotico, da cui l’opportunità per il medesimo di un approfondimento psicodiagnostico di tipo esplorativo e in un’ottica non di incapacità di intendere e di volere, ma di pericolosità del soggetto.

Tali essendo le analitiche argomentazioni della Corte in punto di omessa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, è evidente che il rimando alla pronuncia di primo grado, di cui si duole il ricorrente, lungi dal costituire uno sterile appiattimento sulla stessa, rappresenta soltanto una premessa con la quale la Corte d’assise di appello ha voluto specificare e sottolineare la propria aderenza a quanto già osservato in primo grado.

Orbene, la mancata rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale è censurabile solo sotto l’aspetto dei vizi della motivazione, e a condizione che risulti la esistenza, nell’ apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendo all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez.6, n. 1400 del 22/10/2014, dep. 2015, R.C., Rv. 261799).

A fronte di un iter motivazionale, come quello appena riportato, scevro da vizi logici e giuridici anzi conforme al dato normativo processuale e all’interpretazione che ne offre la giurisprudenza, il motivo di ricorso, che insiste, oltre che su un’insussistente – per quanto appena evidenziato – sterile adesione alle argomentazioni del primo Giudice, sull’omessa valutazione di una serie di elementi emersi nel corso del procedimento, con i quali, invece, la Corte territoriale dà atto di confrontarsi analiticamente, dimostra la sua infondatezza. E trascura che l’accertamento della capacità di intendere e di volere dell’imputato costituisce questione di fatto la cui valutazione compete al giudice di merito e si sottrae al sindacato di legittimità se esaurientemente motivata (Sez. 1, n. 32373 del 17/01/2014, Secchiano, Rv. 261410), come nel caso in esame, in cui non emergono, né sono evidenziate, lacune motivazionali conseguenti al mancato espletamento della perizia.

1.3. Infondato è, altresì, il terzo motivo di impugnazione sulla mancata esclusione dell’aggravante dei futili motivi, avendo fatto la Corte di appello di Bologna corretta applicazione del canone ermeneutico secondo cui in tema di circostanze, la gelosia può integrare l’aggravante dei motivi abietti o futili, quando sia connotata non solo dall’abnormità dello stimolo possessivo verso la vittima od un terzo che appaia ad essa legata, ma anche nei casi in cui sia espressione di spirito punitivo, innescato da reazioni emotive aberranti a comportamenti della vittima percepiti dall’agente come atti di insubordinazione (Sez. 1, n. 49673 del 01/10/2019, P., Rv. 278082 – 02; in senso conforme Sez. 5, n. 27935, del 9/05/2023, Simari, non massimata). Canone, che trova la sua giustificazione nella necessità, in ragione della sempre maggiore centralità riconosciuta dalla percezione sociale al principio di autodeterminazione delle persone, correlato al fondamentale valore della dignità umana, di riconoscere una maggiore gravità alle condotte violente che trovino il loro movente nel senso di appartenenza nutrito dall’agente nei confronti della persona con la quale abbia condiviso una relazione sentimentale, tanto da indurlo a delinquere anche in termini assai gravi.

Come è accaduto nel caso di specie, evidenziando, invero, la Corte territoriale che dalle intercettazioni sopra richiamate e dalle stesse parole dette alla (omissis) nell’immediatezza dei fatti emerge che il prevenuto ha agito in preda alla gelosia, non riuscendo ad accettare definitivamente la nuova relazione intrapresa dalla donna, nonché il disinvolto modo di comportarsi, atteso che la stessa comunque aveva saltuari rapporti sessuali anche con lui e continuava a frequentarlo anche in presenza di (omissis); e che è quindi evidente che l’imputato viveva la donna come cosa propria (ancorché soprattutto egli in passato la avesse più volte tradita) e non accettava la sua autonomia ed il suo modo di atteggiarsi, e, quindi, si è vendicato uccidendo il rivale. Rileva la Corte che il fatto stesso dello “sfregio” inferto alla vittima sul collo (una lesione volutamente a forma lavorata-svirgolata, come da foto in atti), connota “visivamente” il movente vendicativo e passionale, volendosi in tal modo anche offendere e deturpare il corpo di chi lo aveva sostituito nelle grazie della (omissis).

1.4. Manifestamente infondate, oltre che aspecifiche e non consentite, risultano, infine, le doglianze sul mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti.

A fronte, altresì, di una motivazione che, lungi dal giustificare il diniego delle circostanze attenuanti generiche esclusivamente sulla scelta dell’imputato di rimanere in silenzio, lo argomenta sulla base di una valutazione complessiva del comportamento processuale di (omissis) con la quale il motivo di ricorso non si confronta. Valutazione, nella quale vengono valorizzati, ai fini dell’esclusione delle invocate circostanze, l’avere da parte del prevenuto predisposto un’ipotesi di copertura imposta anche alla (omissis) e mentito nel riferire di non ricordare nulla della vicenda (mentre dalle intercettazioni risulta parlarne con i parenti), il tentativo comunque di coinvolgere la (omissis), il non aver mai mostrato compassione per le vittime e l’intensità del dolo dimostrata dalle cruente modalità del fatto (oltre trenta coltellate inferte con energia in zona vitale).

Trascura, invero, il ricorrente che la valutazione attinente ad aspetti che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, esercitato congruamente, logicamente ed anche in coerenza con il principio di diritto secondo il quale l’onere motivazionale da soddisfare non richiede necessariamente l’esame di tutti i parametri fissati dall’art. 133 cod. pen., si sottrae alle censure che reclamino una rivalutazione in fatto di elementi già oggetto di valutazione ovvero la valorizzazione di elementi che si assume essere stati indebitamente pretermessi nell’apprezzamento del giudice impugnato.

2. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

L’imputato va, inoltre, condannato alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili (omissis) e (omissis), in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale nei confronti dei figli (omissis), che si ritiene equo liquidare, in considerazione dell’impegno professionale profuso dalla difesa delle medesime, conformemente alla loro richiesta, come da dispositivo; nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile (omissis) ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di assise di appello di Bologna con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. 115/2002, di cui dispone il pagamento in favore dello Stato.

La minore età di alcune delle parti civili impone l’oscuramento dei dati, come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (omissis), in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale nei confronti dei figli (omissis), spese che liquida in complessivi euro 4.240,05, oltre accessori di legge.

Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (omissis) ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di assise di appello di Bologna con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d. Igs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2023.

Depositato in Cancelleria l’8 febbraio 2024.

Allegati

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