Massima

Il bilanciamento tra la sicurezza del regime detentivo differenziato (art. 41-bis ord. pen.) e la tutela delle relazioni familiari del detenuto è cruciale. Questo compito spetta al Tribunale di sorveglianza, che deve verificare se le misure adottate dall’Amministrazione penitenziaria, pur garantendo la sicurezza, non ledano ingiustificatamente il diritto del detenuto alla vita familiare e alla rieducazione.

Supporto alla lettura

ART. 41 BIS E 4 BIS ORDINAMENTO PENITENZIARIO

Il 41 bis ord.pen. dispone il regime di detenzione speciale del cd. carcere duro che limita in modo significativo i diritti del detenuto, come le visite, le comunicazioni e la possibilità di partecipare ad attività ricreative con l’obiettivo di impedire che i detenuti possano continuare a mantenere contatti con l’esterno, in particolare con i gruppi criminosi di appartenenza. Il 41-bis, viene applicato in presenza di specifici reati indicati proprio dall’articolo della legge penitenziaria in questione. Si tratta, naturalmente, di crimini considerati più gravi a livello legale e sono quelli:
• aventi finalità di terrorismo;
• di associazione a delinquere di stampo mafioso;
• commessi per agevolare l’attività delle associazioni mafiose;
• di riduzione o mantenimento in schiavitù;
• di sfruttamento della prostituzione minorile;
• di tratta di persone;
• di acquisto o alienazioni di schiavi;
• di violenza sessuale di gruppo;
• di sequestro di persona a scopo di rapina o estorsione;
• di associazione a delinquere per contrabbando di tabacchi lavorati all’estero;
• di associazione a delinquere per traffico di sostanze psicotrope o stupefacenti.

Invece, il 4-bis ord. pen. elenca una serie di reati cd. ostativi e  riguarda le condizioni e i termini per l’accesso ai benefici previsti dalla legge n. 354/1975   per chi è condannato per reati di mafia o terrorismo, in particolare in relazione alla collaborazione con la giustizia. Il d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modifiche, dalla l. 30 dicembre 2022, n. 199, ha novellato l’art. 4-bis ord. pen., prendendo le mosse dall’ord. n. 97 del 2021 (e prima ancora dalla Corte EDU), con la quale la Corte costituzionale ha accertato – senza però dichiararla – l’illegittimità del c.d. ergastolo ostativo, statuendo la necessità di superare l’equazione “mancata collaborazione-pericolosità sociale-divieto assoluto di accesso ai benefici”.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale di sorveglianza di L’Aquila ha respinto il reclamo, proposto dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (da ora DAP) avverso il provvedimento del Magistrato di sorveglianza in sede, che ha accolto il reclamo, presentato dal detenuto in regime differenziato, (omissis) avverso il divieto di consegnare direttamente ai propri figli o nipoti ex filio, minori di anni 12, all’interno della sala colloqui in occasione del colloquio visivo, giocattoli, oggetti o dolciumi acquistabili al sopravvitto tramite mod. 72.

Il Tribunale ha osservato che l’ordinanza del Magistrato di sorveglianza ha disposto che la Direzione della casa circondariale di L’Aquila consentisse all’interessato di acquistare al sopravvitto generi da consegnare ai propri figli o nipoti ex filio, minori di anni dodici, senza vetro divisorio, generi da conservare nel magazzino sino al momento della consegna al detenuto da parte di polizia penitenziaria, all’inizio del colloquio col minore, e, poi, consegnati direttamente dal detenuto al minore stesso durante il colloquio visivo.

Il Tribunale ha respinto il reclamo del DAP ritenendolo non fondato.

Si richiama la modalità prevista dalla Circolare del 2 ottobre 2017, art. 16 che riguarda la consegna di generi da regalare ai congiunti durante i colloqui visivi, cui l’Amministrazione penitenziaria si è conformata.

Si è ritenuto che le modalità di consegna previste dalla Circolare con il divieto imposto al detenuto di far consegnare generi, dolci e giocattoli al minore con le proprie mani è incongruo e sproporzionato rispetto agli obiettivi perseguiti dal regime differenziato e che, invece, la consegna ad opera di personale di polizia penitenziaria, al momento dell’inizio del colloquio, sempre acquistato al sopravvitto, senza che il detenuto vi entri prima in contatto, consenta che, successivamente detto bene possa essere consegnato direttamente al figlio minore perché ne usufruisca già durante il tempo del colloquio, tenuto conto delle complessive modalità di svolgimento del colloquio, idonee a garantire i rischi di manipolazione e, in generale, quelli per l’ordine e la sicurezza sottesi al regime differenziato.

2.Avverso detto provvedimento ha proposto tempestivo ricorso per cassazione, per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato, il Ministero della giustizia, denunciando inosservanza o erronea applicazione dell’art. 41 – bis Ord. pen.

Si sostiene che il detenuto in regime differenziato è sottoposto a tutela per imprescindibili esigenze di sicurezza pubblica. Tali esigenze di sicurezza pubblica sono opposte anche a base delle regolamentazioni di cui alla citata Circolare DAP del 2 ottobre 2017.

Si richiama giurisprudenza di legittimità e della Corte costituzionale che, per i detenuti in regime differenziato, richiede un adeguato bilanciamento tra le esigenze di sicurezza pubblica perseguite con il particolare regime detentivo è quella volta a tutela dei rapporti familiari.

Si tratta, secondo il ricorso, di un bilanciamento che è stato espletato in maniera erronea rispetto ai provvedimenti oggetto di reclamo.

Il Magistrato di sorveglianza ha considerato che si ritengono sufficientemente garantite dalle modalità di svolgimento del colloquio visivo sottoposto a registrazione e custodia, le esigenze di sicurezza e quella che sia vietato ogni scambio di oggetti, durante il colloquio, che possa in qualche modo porre in pericolo l’ordine e la sicurezza.

Si richiama giurisprudenza di merito (Tribunale di sorveglianza di Torino e di Milano) che ha invece reputato fondata la preoccupazione connessa allo scambio di messaggi criptici, favorita dalla consegna a parenti di oggetti, quali giocattoli o generi alimentari, in quanto capaci attraverso il rumore della carta e l’armeggio di questi, di poter compromettere la captazione audio.

Si richiama provvedimento del Magistrato di sorveglianza di Spoleto che ha ritenuto esistente il rischio di comunicazioni fraudolente nelle modalità di consegna diretta da parte del detenuto di determinati beni, nella costanza del colloquio e non al termine di questo.

Per il ricorso i limiti fissati dalla Circolare DAP sono giustificati atteso che sono posti a presidio di esigenze imprescindibili di tutela della sicurezza sociale.

3.Il Sostituto Procuratore generale, (omissis) ha concluso con requisitoria scritta chiedendo il rigetto del ricorso.

All’udienza del 4 luglio 2024, il Collegio, stante l’importanza delle questioni trattate, ha differito la decisione all’odierna udienza, ai sensi dell’art. 615, comma 1, cod. proc. pen.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.

1.1. Il Collegio intende dare continuità all’orientamento, già espresso da questa Corte nelle pronunce Sez. 1, n. 47186 del 18/11/2021, DAP in proc. To., n.m., Sez. 1, n. 28142 del 25/06/2021, DAP in proc. Privitera, n.m., che hanno ritenuto legittima l’interpretazione dei Tribunali di sorveglianza che hanno disapplicato la circolare citata, del 2 ottobre 2017, nella parte in cui la stessa permette soltanto per il tramite del personale di polizia penitenziaria la consegna di dolci o giocattoli ai congiunti infradodicenni del detenuto sottoposto al regime di cui all’art. 41-bis ord. pen., con i quali il colloquio si svolge senza vetro divisorio (conf. Sez. 1, n. 23433 del 02/05/2024, Ministero della Giustizia,Rv. 286679 – 01; Sez. 1, n. 20261 del 2.5.2024, Munafò, non mass.).

Nelle sentenze citate si afferma che il Tribunale di sorveglianza deve svolgere un bilanciamento tra i valori che devono essere tutelati dal provvedimento richiesto, che sono, da un lato, la sicurezza del regime differenziato, dall’altro, la tutela delle relazioni familiari.

Nella pronuncia ricorrente (omissis), sopra citata, si è affermato, in particolare, che “dinnanzi all’accertamento, di natura fattuale, della impossibilità che la consegna dei menzionati oggetti, attuata in un contesto di assoluto controllo da parte dell’Amministrazione penitenziaria, possa determinare alcuna situazione di rischio rispetto alle esigenze proprie del regime differenziato (e segnatamente la strumentalizzazione del colloquio per realizzare, attraverso il minore, forme di indebita comunicazione con ii sodalizio criminale di provenienza), deve concludersi per la legittimità della decisione adottata dai Giudici di merito e, per converso, per l’infondatezza delle censure dell’Amministrazione ricorrente”.

Nel caso in esame, il ricorso deduce la non correttezza del giudizio di bilanciamento effettuato dal Tribunale per la mancata valutazione del rischio di inquinamento della registrazione del colloquio.

1.2.Tuttavia, si osserva che il motivo sulla non correttezza del giudizio di bilanciamento è proposto, in una materia in cui il ricorso è ammesso solo per violazione di legge (art. 35-bis, comma 4-bis, Ord. pen.) quindi con limitati spazi rispetto al controllo di legittimità, e per di più, mediante un argomento – la possibilità di inquinamento delle riprese audio – su cui l’ordinanza impugnata dà una risposta che il Collegio reputa non apparente ed esauriente e, comunque, non inficiata da violazione di legge.

Invero, è noto che il reclamo giurisdizionale al magistrato di sorveglianza, previsto dagli artt. 35-bis e 69, comma 6, lett. b), Ord. pen., ammette la tutela delle posizioni giuridiche soggettive qualificabili in termini di “diritto”, incise da condotte dell’Amministrazione violative di disposizioni previste dalla legge penitenziaria e dal relativo regolamento, dalle quali “derivi al detenuto o all’internato un attuale e grave pregiudizio”.

Presupposti essenziali di tale strumento sono, dunque, costituiti dall’esistenza, in capo al detenuto, di una posizione giuridica attiva, non riducibile (o non riducibile ulteriormente) per effetto della carcerazione e direttamente meritevole di protezione, nonché dal rilievo di una condotta, imputabile all’Amministrazione penitenziaria, che si ponga con tale posizione soggettiva in illegittimo contrasto (Sez. 1, n. 36865 del 08/06/2021, Ministero della Giustizia, Rv. 281907, in mot.).

E, peraltro, evidente che dalla condizione detentiva possano derivare limitazioni, anche significative, all’ordinaria sfera dei diritti soggettivi della persona, anche quale diretta conseguenza dell’adozione di misure e provvedimenti organizzativi dell’Amministrazione stessa, volti a disciplinare la vita degli istituti, a garantire l’ordine e la sicurezza interna e l’irrinunciabile principio del trattamento rieducativo; misure e provvedimenti che, ove adottati nel rispetto dei canoni di ragionevolezza e proporzionalità, incidono legittimamente sulla posizione soggettiva del ristretto, andando ad integrarne l’ambito di autorizzata e lecita compressione (Sez. 1, n. 4030 del 04/12/2020, Ministero della Giustizia, Rv. 280532).

A partire da tale constatazione, questa Corte, da tempo, evidenzia che il diritto soggettivo del detenuto, nel suo nucleo intangibile, cui è garantita protezione, non va confuso con le mere modalità di esercizio di esso, inevitabilmente assoggettate a regolamentazione (Sez. 1, n. 23533 del 07/07/2020, Mandala, Rv. 279456; Sez. 1, n. 767 del 15/11/2013, Attanasio, Rv. 258398): la sola negazione del diritto in quanto tale integra lesione suscettibile di reclamo giurisdizionale, mentre le modalità di esplicazione del diritto restano affidate alle scelte discrezionali dell’Amministrazione penitenziaria, in funzione delle esigenze di ordine e disciplina interne, che, ove non manifestamente irragionevoli, ovvero sostanzialmente inibenti la fruizione del diritto, non sono sindacabili in sede giudiziaria (Sez. 7, n. 373 del 29/05/2014, dep. 2015, Attanasio, Rv. 261549).

1.3. Va, altresì, tenuto presente che l’attuale formulazione del comma 2-quater lett. b) dell’art. 41-bis Ord. pen., introdotta dalla legge n. 94 del 2009, prevede che la sospensione delle regole del trattamento comporti, tra l’altro, un regime differenziato rispetto a quello ordinario dei colloqui tra i detenuti sottopostivi e quanti ammessi a tali incontri, in modo che questi abbiano luogo “in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti”, sebbene sia prescritta la sottoposizione a controllo auditivo ed a videoregistrazione.

L’intenzione del legislatore di limitare le possibilità concrete e le occasioni offerte al detenuto di qualificata pericolosità sociale di mantenere contatti con l’ambiente esterno all’Istituto e di continuare ad esercitare la propria funzione criminosa si è, dunque, tradotta nella previsione di strumenti di controllo a distanza sulle manifestazioni comunicative verbali e sui comportamenti tenuti dai partecipanti ai colloqui, nonché di accorgimenti stabili, tali da ostacolare, in senso fisico, il trasferimento di oggetti, con l’allocazione di vetri divisori.

Quanto alle concrete modalità di espletamento di tale forma di sorveglianza, è, in primo luogo, il Regolamento di esecuzione della legge di ordinamento penitenziario a stabilire, all’art. 37, la limitazione dei colloqui sotto il profilo numerico, su base mensile, nonché all’art. 39 a imporre la registrazione.

Nel quadro normativo di riferimento, tenuto conto che l’art. 41 -bis, comma 2-quater lett. a), consente l’adozione di “misure di elevata sicurezza interna ed esterna che si rivelino necessarie per prevenire contatti con l’organizzazione di appartenenza”, eventuali contrasti con elementi di gruppi contrapposti, interazione con detenuti o internati della stessa compagine o di altre a questa alleate, a completare in modo più dettagliato e in un’ottica attuativa della previsione generale contenuta alla lett. b) della stessa norma è, poi, intervenuta la circolare del DAP del 2 ottobre 2017.

All’art. 16 di detta Circolare sono state introdotte deroghe per due sole categorie di soggetti, ammessi a colloquio con il detenuto: i difensori e i figli infrasedicenni dei detenuti, categoria quest’ultima estesa, dapprima ai nipoti ex filio e, successivamente, limitata ai soli minori infradodicenni, per i quali è previsto che il colloquio si svolga senza vetro divisorio.

È rimasto immutato, per tutte le categorie di colloquianti, il divieto di passaggio diretto di oggetti.

Al fine di agevolare il mantenimento della relazione genitoriale e, comunque, affettiva tra detenuto e minori ammessi al colloquio la stessa Amministrazione penitenziaria col penultimo comma dell’art. 7 della Circolare citata, ha stabilito la possibilità per il detenuto di acquistare al ed. sopravvitto “generi, dolci e giocattoli” da destinare ai figli e ai familiari, con la precisazione che tali oggetti “saranno trattenuti al magazzino fino alla consegna, che verrà effettuata dal personale preposto a conclusione dei colloquio visivo o per invio tramite pacco alla famiglia”.

Con riferimento a tale indicazione, sia il Magistrato, sia il Tribunale di sorveglianza hanno escluso che, nel caso di specie, questa possa favorire un incremento di tutela dei beni giuridici protetti e sia idonea a impedire il trasferimento di oggetti verso l’esterno.

Il mantenimento del divieto di consegna diretta, secondo i giudici di merito, comporterebbe un’ingiustificata, ulteriore, compressione alla tutela del diritto del detenuto alla salvaguardia della vita familiare e del rapporto con minore, incidendo, negativamente, sul trattamento del detenuto e sull’opera di rieducazione che passa attraverso la coltivazione degli affetti familiari (cfr. ultima p. dell’ordinanza impugnata).

2.Ciò premesso, osserva il Collegio che numerose pronunce di questa Corte di legittimità, tra cui quelle già richiamate al par. 1., si sono espresse nel senso che la disapplicazione dell’indicata prescrizione restrittiva è legittimamente esercitata in sede di merito (Sez. 1, n. 47186 del 18/11/2021, DAP in proc. To., n.m.; Sez. 1, n. 28142 del 25/06/2021, DAP in proc. Privitera, n.m.), nella parte in cui la stessa permette soltanto per il tramite del personale di polizia penitenziaria la consegna di dolci o giocattoli ai congiunti infradodicenni del detenuto sottoposto al regime differenziato di cui all’art. 41 -bis Ord. pen., con i quali il colloquio si svolge senza vetro divisorio.

Questo indirizzo della giurisprudenza di legittimità individua la necessità di tutela del diritto fondamentale connesso all’ordinario sviluppo del minore e di svolgimento delle relazioni familiari in forme il più possibile normali, ex artt. 30 Cost., 8CEDU, 15Ord. pen.

L’accordata possibilità di consegna diretta, dal detenuto al minore, di un dolciume o di un giocattolo consente di instaurare un clima più favorevole e sereno alla relazione personale, già negativamente condizionata dal doversi esplicare in contesto carcerario e dall’assenza fisica del genitore o del congiunto ristretto nel restante periodo di vita del minore.

Si osserva, dunque, che l’art. 26 Ord. pen., si preoccupa di mantenere, migliorare o ristabilire tali relazioni, in modo da impedire che la segregazione dai congiunti comprometta i vincoli già esistenti e non diventi un fattore ancor più penalizzante di emarginazione e ostacolo alla risocializzazione.

Al contrario, i legami familiari sono favoriti nell’ottica del trattamento e del recupero sociale del detenuto, secondo quanto è prescritto dall’art. 94 del Regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario, che fonda un obbligo, per l’Amministrazione penitenziaria, e un correlativo diritto soggettivo del detenuto.

In tale prospettiva anche la consegna, senza intermediari, di oggetti o doni per i familiari più giovani e vulnerabili, durante o a conclusione di un momento di incontro e di contatto anche fisico, costituisce oggetto di diritto soggettivo del detenuto, che subisce restrizioni nelle possibili forme di esercizio quando siano correlate a effettive esigenze di sicurezza e di tutela collettiva, che non può essere del tutto soppresso per esigenze social preventive.

Tale indirizzo interpretativo specifica che il colloquio visivo è videoregistrato, i generi acquistati al sopravvitto sono custoditi nel magazzino sino al momento del colloquio, il detenuto viene perquisito prima del colloquio, la vigilanza della telecamera registra l’intero colloquio, peraltro con contestuale ascolto da parte dell’operatore.

Dunque, si rimarca l’impossibilità che la consegna dei menzionati oggetti, attuata in un contesto di assoluto controllo da parte dell’Amministrazione penitenziaria, possa determinare situazioni di rischio rispetto alle esigenze proprie del regime differenziato (e segnatamente la strumentalizzazione del colloquio per realizzare, attraverso il minore, forme di indebita comunicazione I con il sodalizio criminale di provenienza).

Si conclude per la legittimità della decisione adottata dai Giudici di merito e, per converso, per l’infondatezza delle censure dell’Amministrazione ricorrente.

2.1. Altre pronunce (Sez. 1, n. 15095 e 15094 del 19/01/2021, Ministero della Giustizia in proc. Rango ed in proc. Presta, n.m.; Sez 1, n. 24683 del 24/03/2021, Ministero della Giustizia in proc. Sottile, n.m.) partendo dai medesimi presupposti interpretativi, si soffermano, più specificamente, sulla necessità di un giudizio, da parte del Tribunale di sorveglianza da esplicitarsi attraverso motivazione non apparente, circa il doveroso bilanciamento tra contrapposti interessi in gioco, ossia tra le esigenze collettive di sicurezza, immanenti al regime differenziato e quelle individuali del minore a vivere un’esperienza meno traumatica possibile e affettivamente significativa, nonché dell’adulto ristretto a dimostrazioni di attaccamento e di dedizione.

La valutazione, così operata, si colloca nel solco dell’interpretazione del giudice costituzionale, per il quale è necessario che le limitazioni al regime penitenziario ordinario, previste dall’art. 41 -bis ord. pen., siano “congrue” rispetto allo scopo che esse perseguono (Corte cost., sentenze n. 149 del 2018, n. 351 del 1996 e n. 349 del 1993) e che la compressione di un diritto fondamentale, qual è quello connesso all’ordinario sviluppo del minore attraverso forme il più possibili normali di svolgimento delle relazioni familiari, sia legittimata dal riscontro un corrispondente incremento di tutela di altro interesse di pari rango (Corte cost., n. 143 del 2013).

Si è giunti, conseguentemente, a sostenere che, in caso di motivazione apparente da parte dei giudici di sorveglianza su tale giudizio concernente il doveroso bilanciamento tra contrapposti interessi in gioco, ossia tra le esigenze collettive di sicurezza, immanenti al regime differenziato e quelle individuali del minore a vivere un’esperienza meno traumatica possibile e affettivamente significativa, si può giungere all’annullamento con rinvio del provvedimento adottato dal Tribunale di sorveglianza per integrare la motivazione svolta sul punto (tra le altre, da ultimo, Sez. 1, n. 33421 del 30/0/2024, Ministero c. Palazzotto, Rv. 28617).

Un ultimo indirizzo interpretativo (Sez. 1, n. 34458 del 10/07/2024, Liga, non mass.) ha, invece, sostenuto che l’Amministrazione penitenziaria, evidenziando la necessità di consentire l’ascolto dei dialoghi per finalità di ordine e sicurezza pubblica, impedendo la trasmissione di messaggi verso l’esterno, ha richiamato l’art. 41-bis, comma 2-quater, Ord. pen., laddove prevede l’obbligo di sottoporre i colloqui a controllo auditivo e a registrazione, sicché la modalità di consegna degli oggetti, in quanto strumentale a tale adempimento, appare giustificata e bilanciata, rispetto alla cura dei rapporti familiari e delle esigenze affettive nei rapporti con minori. La disposizione, quindi, secondo questo indirizzo, non preclude tout court la consegna degli oggetti ma si limita a posporne il compimento alla fase conclusiva dell’incontro e per tramite degli operanti di Polizia penitenziaria. Ciò, in ossequio alla ratio della disposizione indicata, alla stregua della quale all’Amministrazione penitenziaria compete individuare modalità di esercizio del diritto del detenuto che non si pongano in contrasto con la sicurezza e che non impediscano (o mettano in pericolo) il controllo finalizzato alla sua tutela, essendo il meccanismo di deroga al regime penitenziario ordinario costituzionalmente legittimo nella misura in cui rispetti il parametro della congruità rispetto allo scopo perseguito.

3.Ciò posto, rileva il Collegio che, in adesione all’indirizzo maggioritario, nel caso al vaglio, il giudizio di incongruità del divieto disapplicato, riposa su una motivazione non apparente, da parte del Magistrato di sorveglianza che si sofferma in particolare, sull’impossibilità di manomissione dei beni e, da parte del Tribunale di sorveglianza, sul riferimento all’eventualità di usare strumenti atti ad assicurare le esigenze di sicurezza connesse al pericolo di comunicazione di messaggi non consentiti, in dotazione della struttura penitenziaria, attraverso accorgimenti tecnici il cui uso viene rimesso, debitamente, all’Amministrazione penitenziaria (cfr. p. 3 dell’ordinanza impugnata).

Il ricorso deduce che su identica questione, altri Tribunali di sorveglianza hanno emesso ordinanze che tutelano, in modo più incisivo, il pericolo per la sicurezza derivante dalla possibilità di interferenze tra la consegna dei beni e la registrazione del colloquio, prevedendo, ad esempio, l’obbligo di consegna degli stessi soltanto negli ultimi minuti del colloquio.

Il Collegio osserva, sul punto, posto che la descritta interpretazione della Circolare DAP, nella parte in cui essa vieta la consegna diretta, ha superato lo scrutinio di questo Giudice di legittimità nelle pronunce sopra citate, che le modalità concrete per assicurare il necessario bilanciamento degli interessi tra il diritto alla coltivazione degli affetti del detenuto ed il rischio per la sicurezza pubblica e interna all’istituto, diventa questione di merito e la scelta delle concrete modalità organizzative da apprestare per fronteggiare il rischio dell’inquinamento della registrazione del colloquio, non ulteriormente sindacabile in sede di legittimità (cfr. Sez. 1, n. 20261 del 2/05/2024, Munafò, cit.).

Tanto, a fronte di una, legittima, interpretazione adeguatrice del testo dell’art. 41 -bis, comma 2-quater lett. b) Ord. pen. e della Circolare DAP citata, alla stregua della quale, pur sempre assicurando il necessario bilanciamento degli interessi in gioco, è possibile scongiurare ogni rischio per la sicurezza, derivante dalla possibilità di interferenze tra la consegna dei beni e la registrazione del colloquio, anche in caso di consegna diretta di oggetti acquistati al ed. sopravvitto durate il colloquio del detenuto in regime differenziato, senza vetro divisorio, con minori infradodicenni.

4. Sicché, a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 4 luglio 2024, segue il rigetto del ricorso.

Non consegue alla pronuncia la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento delle spese processuali, in quanto il ricorrente non può essere assimilato ad una parte privata, rispetto al disposto di cui all’art. 616 cod. proc. pen. Lo impedisce la natura pubblica della funzione svolta dal DAP nel peculiare procedimento per reclamo giurisdizionale, ex art. 35-bis Ord. pen., (Sez. U, n. 3775 del 21/12/2017, dep. 2018, Tuttolomondo, Rv. 271650).

P.Q.M.
Rigetta il ricorso.Così deciso, il 16 ottobre 2024.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2024.

Allegati

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