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Cassazione penale sez. fer., 17/11/2020, n. 32176

Massima

In sede di giudizio abbreviato, sono utilizzabili le intercettazioni ambientali disposte dall’Autorità giudiziaria italiana su veicolo con microspia installata nel territorio nazionale, anche se alcune captazioni avvengano all’estero. Allo stesso modo, sono pienamente utilizzabili le immagini di videosorveglianza fornite direttamente dalla polizia estera, poiché equiparabili a documenti e la loro acquisizione non viola un divieto probatorio specifico, specialmente quando il procedimento è definito con rito abbreviato e lo scambio avviene nell’ambito dell’accordo di Schengen.

Supporto alla lettura

RITO ABBREVIATO

Il sistema processuale penale italiano è un sistema di stampo accusatorio: esso impone che all’accertamento della responsabilità dell’imputato si pervenga con il massimo delle garanzie e nel rispetto del principio del contraddittorio nella formazione della prova. Le garanzie comportano una maggiore complessità delle forme e un allungamento dei tempi del processo, ma soprattutto del dibattimento, nel quale le prove dichiarative devono essere assunte con il metodo dell’esame incrociato. Quindi si è posta l’esigenza di prevedere procedure alternative, finalizzate a semplificare i meccanismi processuali e a consentire forme di definizione anticipata rispetto al procedimento ordinario. Il giudizio abbreviato costituisce la rinuncia dell’imputato alle garanzie del dibattimento, decidendo lo stesso di essere giudicato sullo stato degli atti d’indagine ricevendo in compenso per tale rinuncia una riduzione sull’eventuale pena finale di 1/3. Il giudizio abbreviato è stato introdotto nel codice di rito del 1988 agli artt. 438-443 c.p.p., sulla base dell’art. 2 n. 53 della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81. I presupposti di accesso al rito erano tre: la richiesta dell’imputato, il consenso del pubblico ministero e la valutazione del giudice per le indagini preliminari circa la possibilità di definire il processo “allo stato degli atti”. Intervenne la l. 479/1999(c.d. legge “Carotti), per ottemperare ai moniti della Corte costituzionale, riscrivendo i presupposti di accesso al rito abbreviato con l’eliminazione dei requisiti del consenso del pubblico ministero e della valutazione preliminare del giudice sulla definibilità del processo allo stato degli atti, al fine di rendere la nuova disciplina più semplice e più “attrattiva” della precedente. Quindi, venuti meno questi due requisiti, conditio sine qua non del giudizio abbreviato resta la richiesta dell’imputato. La novella del 1999 ha introdotto due diverse modalità di accesso al rito abbreviato: l’imputato può scegliere se formulare una richiesta “semplice”, ex art. 438 comma 1 c.p.p., oppure, “condizionata”, subordinando la richiesta stessa ad un’integrazione probatoria, ex art. 438 comma 5 c.p.p. La l. 103/2017, nota nel gergo come “riforma Orlando”, ha previsto l’opportunità per l’imputato di presentare istanze subordinate di rito abbreviato «allo stato degli atti» (c.d. semplice o secco) e financo di patteggiamento, nel caso in cui la richiesta (principale) di giudizio abbreviato condizionato non sia accolta. Le finalità del legislatore, nell’introduzione di tale previsione, appaiono chiaramente deflattive, riconoscendo alla difesa una valida alternativa al rigetto dell’istanza di cui al co. 5, prodromica ad impedire che il processo prosegua nelle forme del rito ordinario. Con la Legge 12 aprile 2019, n. 33, ha introdotto il co. 1bis nell’art. 442 c.p.p. che, nell’esclusivo caso in cui si proceda per i delitti per cui è prevista la pena dell’ergastolo, esclude l’applicazione del rito abbreviato, la cui richiesta determina la dichiarazione di inammissibilità del giudice dell’udienza preliminare.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe, emessa in data 11 aprile 2019, la Corte di appello di Palermo ha confermato quella resa, all’esito di giudizio abbreviato, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Palermo il 28 marzo 2018, corretta con ordinanza del 28 ottobre 2018, in forza della quale (omissis) – imputato del reato di cui agli artt. 81 e 110 c.p., L. n. 110 del 1975art. 23, commi 2 e 3, per la detenzione e l’introduzione, in concorso con (omissis) e (omissis), nel territorio italiano dalla Germania della pistola tipo Smith & Wesson 357 Magnum, con matricola cancellata (capo A), del reato di cui agli artt. 110 e 648 c.p., per l’illecito acquisto, in concorso, della suddetta arma (capo B), del reato di cui agli artt. 81 e 110 c.p., L. n. 497 del 1974artt. 1012 e 14 per la detenzione e il trasporto, in concorso, dalla Germania a Palermo della medesima arma (capo C) e del reato di cui agli artt. 110 e 697 c.p., per l’illecita detenzione, in concorso, di 195 cartucce Marca Norma, calibro 357 Magnum, 97 cartucce marca Luger, calibro 9 mm, 27 cartucce marca FMJ, calibro 7,65, Browning (capo D), fatti accertati in (omissis) – era stato dichiarato responsabile dei reati ascrittigli al capo A), in esso assorbito quello sub C), e al capo D), posti in continuazione fra loro, e, computata la diminuente per il rito, era stato condannato alla pena di anni quattro di reclusione ed Euro 6.000,00 di multa, mentre per il reato sub B) era stato dichiarato il difetto di giurisdizione, con separazione della relativa posizione e trasmissione degli atti al P.m..

La suindicata sentenza di appello, confermando quella di primo grado, la cui motivazione è stata sostanzialmente condivisa, ha richiamato la vicenda costituita dall’arresto di (omissis), avvenuto nell’area portuale di Palermo il 14 giugno 2016 mentre era alla guida del furgone Mercedes, con targa tedesca (omissis), appartenente a (omissis), proveniente dalla Germania, con imbarco a Genova, a seguito della perquisizione del veicolo e del rinvenimento in esso dell’arma e delle munizioni oggetto dei capi di accusa. Indi, ha ritenuto rilevante che, in virtù delle intercettazioni delle conversazioni intercorse tra (omissis) e (omissis) e poi anche (omissis) in Germania, captate mediante una microspia installata in Italia sul veicolo, si era accertata l’avvenuta collocazione nel veicolo in data 12 giugno 2016 dell’arma e delle munizioni da parte di (omissis) e (omissis), con susseguente consegna del furgone a (omissis), pienamente informato della suddetta collocazione e incaricato di condurre il veicolo in Italia per consegnarlo al padre di (omissis).

A corroborare l’accertamento dell’attività illecita dei tre concorrenti hanno contribuito le immagini registrate dall’impianto di videosorveglianza ubicato nei pressi del ristorante (omissis) in località (omissis), che avevano immortalato (omissis) e (omissis) nell’attività di occultamento dell’arma e delle munizioni, rispettivamente nelle imbottiture del sedile anteriore, lato passeggero, e del sedile posteriore, lato guida, immagini fornite alla polizia giudiziaria italiana dalla polizia tedesca.

Le prospettazioni dell’imputato, tese a dimostrare la nullità e l’inutilizzabilità delle prove costituite dalle intercettazioni ambientali e dalle immagini scaturite dalle videoregistrazioni, sono state disattese dalla Corte di appello, al pari delle doglianze svolte in punto di dosimetria della pena, essendosi, in particolare, esclusa la possibilità di riconoscere a (omissis) tanto le circostanze attenuanti generiche quanto l’attenuante della minima importanza dell’apporto concorsuale di cui all’art. 114 c.p., comma 1.

2. Avverso tale decisione ha proposto ricorso il difensore di (omissis) chiedendone l’annullamento, senza rinvio o con rinvio, adducendo cinque motivi.

2.1. Con il primo motivo si lamentano la violazione degli artt. 125, 546, 178 e ss., 191, 266 e ss., 727, 729 e 729-bis c.p.p. e il vizio di motivazione, per essersi, la decisione impugnata, basata su prove, quali le conversazioni ambientali captate all’interno dell’autovettura Mercedes e le immagini e i fotogrammi estrapolati da sistema di videosorveglianza, assolutamente nulle o inutilizzabili, in quanto formate in territorio tedesco, senza la loro acquisizione mediante regolare rogatoria.

La difesa rimarca che la questione era stata sottoposta alla Corte territoriale con l’atto di appello e gli argomenti svolti dai giudici di secondo grado per disattenderla nel suo complesso sono privi di fondamento.

In primo luogo, il richiamo dell’art. 438 c.p.p., comma 6-bis, risulterebbe inconferente, perchè la richiesta di giudizio abbreviato determina la sanatoria delle nullità, ma non di quelle assolute, e la non rilevabilità delle inutilizzabilità, ma non di quelli derivanti dalla violazione di un divieto probatorio: e nel caso in esame gli organi inquirenti avevano operato al di fuori dei principi stabiliti dagli artt. 727 e ss. c.p.p., omettendo di dare luogo a rogatoria internazionale per la loro utilizzazione secondo il diritto interno, così incorrendo del divieto di acquisizione delle relative prove.

Inoltre – aggiunge il ricorrente – deve considerarsi infondato il riferimento alla possibilità di effettuare le intercettazioni telefoniche sul territorio estero attraverso captazioni e registrazioni del flusso comunicativo effettuate in Italia, giacchè in questo caso si sarebbe trattato di intercettazioni di conversazioni captate in ambientale, per le quali si imponeva la rogatoria, atteso che esse riguardavano un soggetto stabilmente residente all’estero, il quale conduceva un’autovettura immatricolata in Germania, e che già a priori era chiaro il fatto che esse avrebbero riguardato conversazioni che si sarebbero svolte all’estero: l’ambito investigativo era, dunque, estero, dato che anche la microspia era stata installata sull’autovettura Mercedes, non durante la normale permanenza in Italia di (omissis), bensì, il 19 marzo 2016, nella zona portuale di Palermo, nel corso di una breve permanenza in Italia del suddetto soggetto.

Quanto alle immagini estrapolate dalla videocamera attiva in (omissis), nei pressi dell’abitazione di (omissis), l’affermazione del primo giudice, secondo cui esse erano state formalmente acquisite a seguito della richiesta inoltrata all’organo locale della polizia tedesca cozzava con la necessità che esse fossero oggetto di rogatoria internazionale per poter essere utilizzate innanzi al giudice italiano. Eppure, lo stesso G.i.p. aveva annesso a quelle immagini il valore di puntuale riscontro relativamente all’individuazione dei due occupanti del veicolo, tra cui (omissis).

In tal senso, avrebbe dovuto valorizzarsi, per la difesa, la prospettazione insita nelle note della Guardia di Finanza di Palermo volte a sollecitare l’opportunità di attivare la procedura rogatoriale al fine di procedere all’acquisizione delle videoriprese di eventuali telecamere di sorveglianza installate nei pressi del ristorante (omissis), ubicato in (omissis)-Schwenningen. Questi argomenti, sottoposti ai giudici di appello, non hanno ricevuto secondo il ricorrente – nessuna risposta effettiva, essendosi determinati l’elusione e il totale svilimento del contributo difensivo, neanche sulla sollecitazione della Guardia di Finanza a promuovere la rogatoria avendo la Corte di appello espresso alcun giudizio.

2.2. Con il secondo motivo si prospetta il vizio di motivazione e la mancata osservanza del canone insito nel disposto dell’art. 530 c.p., comma 2.

Anche la motivazione resa nella sentenza impugnata si è risolta, secondo la difesa, nel riporto delle intercettazioni legate da brevissimi commenti, inidonei a sostanziare un discorso giustificativo effettivo, e non apparente: in particolare, la Corte territoriale non avrebbe affrontato e valutato anche l’eventualità che il soggetto intercettato non fosse (omissis), dandosi per certo quel che certo non era, in spregio del suddetto canone, espressione dell’art. 27 Cost..

2.3. Con il terzo motivo viene dedotta, in via subordinata, la carenza assoluta della motivazione in relazione al disposto dell’art. 62-bis c.p. per il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

In netto contrasto con l’art. 132 c.p.p., è stata confermata in modo apodittico, secondo il ricorrente, l’esclusione delle suindicate attenuanti senza il vaglio delle connotazioni soggettive in tal senso rilevanti, ossia l’irreprensibile condotta dell’imputato nel periodo trascorso agli arresti domiciliari, la sua condotta processuale, aliena da strategie difensive tese a coltivare alibi falsi, e la sua incensuratezza.

2.4. Con il quarto motivo si denuncia il vizio di motivazione in relazione all’omesso riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 114 c.p., comma 1.

A fondamento del diniego di questa attenuante la Corte di merito ha addotto soltanto un giudizio comparativo dei ruoli ascritti ai correi (omissis), (omissis) e (omissis), con un excursus argomentativo assolutamente insufficiente, omettendo di analizzare le componenti oggettive, soggettive e ambientali del fatto criminoso e il grado di efficienza causale delle singole condotte nella produzione dell’evento, onde stabilire l’importanza, in effetti minima, dell’apporto dell’imputato, il quale non aveva fornito i mezzi di esecuzione e gli appoggi logistico-ambientali, non aveva materialmente trasportato armi e munizioni dalla Germania a Palermo, nè era stato il destinatario di esse.

2.5. Con il quinto motivo si critica l’eccessività della pena irrogata, come quantificata già del primo giudice.

In primo luogo, la difesa censura come sproporzionato, in rapporto alla ratio del ritenuto reato continuato, l’aumento per il reato satellite di cui all’art. 697 c.p., quantificato in mesi sei di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa, considerata anche la cornice edittale della contravvenzione in esame.

In secondo luogo, la pena nel suo complesso è considerata dal ricorrente eccessiva e non in linea con i parametri fissati dall’art. 133 c.p., erroneo essendo il riferimento all’intensità del dolo, per supportare il quale si era richiamata la mera materialità del fatto di reato, ossia la sua modalità esecutiva, che non aveva lasciato trasparire alcuna nota caratterizzante una sua maggiore gravità, tale da retribuire la violazione così pesantemente, dando rilievo alla sottoposizione dell’imputato alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, ma senza considerare la sua incensuratezza e la sua buona condotta.

3. Il Procuratore generale si è espresso nel senso dell’inammissibilità del ricorso, segnalando che per l’utilizzabilità delle captazioni si era positivamente espressa già la Suprema Corte, in sede cautelare, e che erano del pari utilizzabili le immagini estratte dal sistema di videosorveglianza, da equipararsi ai documenti, mentre poi i restanti motivi erano generici o esulanti nelle questioni di fatto.

Motivi della decisione

1. La Corte ritiene che il ricorso, per quanto concerne le doglianze che lo compongono, abbia dedotto questioni infondate e, a volte, inammissibilmente reiterative di profili di merito adeguatamente scrutinati nella sentenza impugnata, per cui esso nel suo complesso va rigettato.

In pari tempo, occorre tuttavia operare in via ufficiosa la verifica di legalità della pena inflitta a (omissis) a titolo di aumento per il reato satellite nell’ambito della ritenuta continuazione, verifica che per un duplice aspetto determina la necessità dell’annullamento della corrispondente statuizione.

2. Circa la tematica oggetto del primo motivo, si premette che essa è stata adeguatamente trattata dalla Corte territoriale, la quale ha segnalato, quanto alle captazioni, la già ritenuta legittimità dell’utilizzazione delle intercettazioni nel corso del procedimento cautelare e ha ribadito che l’essenziale a tale scopo era il dato di fatto che le operazioni di registrazione e verbalizzazione delle intercettazioni fossero avvenute in Italia.

In ordine all’utilizzazione delle immagini, la Corte di appello ha osservato che il dedotto vizio della loro mancata acquisizione mediante rogatoria non si potrebbe ritenere in ogni caso correlato alla violazione di un divieto probatorio, rilevando esse come documento e non come strumento comunicativo, sicchè l’utilizzazione di documenti provenienti dall’estero al di fuori di una rogatoria non aveva dato luogo a un’ipotesi di inutilizzabilità, che fosse invocabile dopo la richiesta della definizione del procedimento con il rito abbreviato.

Le obiezioni messe a tale ragionamento con l’impugnazione non colgono nel segno.

2.1. Per quanto concerne le captazioni, in disparte il rilievo preliminare secondo cui il ricorrente non si è in alcun modo confrontato con il dato, evidenziato nella sentenza impugnata, che la questione, già dedotta nel ricorso per cassazione avverso il provvedimento applicativo della misura cautelare emesso nei suoi confronti, era stata ritenuta infondata da (Sez. 1, n. 35212 del 23/03/2018), è da osservare che l’argomento proposto dal ricorrente per infirmare la legittimità e l’utilizzabilità delle intercettazioni ambientali disposte dall’Autorità giudiziaria italiana e captate quando il furgone su cui era stata installata la microspia circolava all’estero (in Germania), ossia il fatto che l’operazione di captazione all’estero era stata preordinata, in quando solo occasionalmente il furgone di proprietà di (omissis) si trovava in Italia quando era stata installata la microspia, è stato adeguatamente contrastato dalla Corte di merito secondo cui la preordinazione addotta dalla difesa afferisce a un profilo meramente predicato, laddove, con riferimento al tempo in cui essa è stata effettuata, l’attività di inserzione della microspia è avvenuta sul veicolo circolante nel territorio italiano, onde addivenire alle autorizzate intercettazioni: il fatto che, poi, il veicolo si era trovato in località straniera al momento di alcune captazioni non elide il rilievo che esse sono state comunque registrate dalla polizia giudiziaria italiana, secondo le forme stabilite dall’ordinamento interno; fattispecie che ha integrato un’attività consentita dalla legge.

Va, al riguardo, ribadito il principio di diritto in base a cui l’intercettazione di comunicazioni tra presenti eseguita a bordo di un’autovettura attraverso una microspia installata nel territorio nazionale, dove si svolge altresì l’attività di captazione, non richiede l’attivazione di una rogatoria per il solo fatto che il suddetto veicolo si sposti anche in territorio straniero ed ivi si svolgano alcune delle conversazioni intercettate (Sez. 2, n. 51034 del 04/11/2016, Potenza, Rv. 268514; Sez. 4, n. 8588 del 06/11/2007, dep. 2008, Assisi, Rv. 238951 Mette conto precisare che i fatti sono antecedenti all’operatività della disciplina introdotta dal D.Lgs. 21 giugno 2017, n. 108, che ha dettato le norme di attuazione della direttiva 2014/41/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014, relativa all’ordine Europeo di indagine penale, disciplina entrata in vigore il 28 luglio 2017.

Pertanto, non rileva per il presente caso approfondire la regolamentazione dettata dagli artt. 43 e ss. in tema di richiesta di intercettazione di telecomunicazioni con l’assistenza tecnica dell’autorità giudiziaria di altro Stato membro e di corrispondenti obblighi di informazione in favore della suddetta autorità giudiziaria.

Si tratta di disciplina di natura processuale, afferente alla fase dell’assunzione della prova, che, con specifico riferimento alla fattispecie qui in questione, non si profila contenere precetti direttamente volti alla disciplina della valutazione della prova stessa: per essa, dunque, il principio del tempus regit actum comporta che gli atti del procedimento sono disciplinati dalla legge in vigore al momento del loro compimento, non da quella vigente all’epoca di instaurazione del giudizio, svoltosi, peraltro, nelle forme del rito abbreviato.

2.2. Quanto all’impiego delle immagini del sistema di videosorveglianza di (omissis), che le decisioni di merito hanno dato atto – senza che sia emersa prova del contrario – essere state trasmesse dalla Polizia tedesca alla Guardia di Finanza italiana in via diretta e formale, la mancata effettuazione della corrispondente rogatoria ex artt. 727 e ss. c.p.p. nemmeno è stata ritenuta invalidante da parte della Corte di merito, sulla base del corretto rilievo che non si è contravvenuto, con la relativa acquisizione, a uno specifico divieto probatorio ex art. 191 c.p.p. e del riferimento alle conseguenze della scelta del rito abbreviato, come sancite anche normativamente all’art. 438 c.p.p., comma 6-bis.

Va ulteriormente considerato che, secondo il consolidato indirizzo interpretativo a cui il Collegio aderisce, è da ritenersi consentito lo scambio di informazioni fra gli organi di polizia, nell’ambito della sfera applicativa dell’art. 49 dell’accordo di Schengen, con l’effetto che l’acquisizione dei relativi atti non ne determina l’inutilizzabilità patologica.

In tal senso va ribadito che sono da ritenersi utilizzabili dal giudice italiano le informative redatte dalla polizia estera e da questa consegnate direttamente ad autorità di polizia italiane, al di fuori di procedure formali di rogatoria, attese l’assenza di divieti di legge e la conformità di tale prassi alla consuetudine internazionale (Sez. 6, n. 6346 del 09/11/2012, dep. 2013, Rv. 254889): e ciò comporta l’utilizzabilità anche dei documenti alle stesse acclusi, quale compendio della relativa indagine.

Nella medesima direzione, del resto, si è persuasivamente precisato che non sono affette da inutilizzabilità cosiddetta patologica e sono pertanto utilizzabili dal giudice italiano con il consenso delle parti le informative redatte dalla polizia estera e da questa consegnate direttamente ad autorità di polizia italiane, al di fuori di procedure formali di rogatoria, attesa l’assenza di divieti di legge e la conformità di tale prassi alla consuetudine internazionale (Sez. 2, n. 11032 del 21/11/2019, dep. 2020, Cortella, Rv. 278522; Sez. 2, n. 51127 del 28/11/2013, Ayachi, Rv. 258221). La stessa conclusione deve raggiungersi per la loro utilizzazione nell’ambito del rito a prova contratta.

Discende che il primo motivo deve considerarsi infondato.

3. Trascorrendo all’esame del secondo motivo, si muove dal rilievo che, una volta considerato utilizzabile il succitato compendio probatorio, la Corte di appello ha proceduto alla congrua analisi del relativo contenuto pervenendo alla conclusione che esso supporta l’approdo relativo alla sussistenza della responsabilità concorsuale di (omissis) in ordine ai due reati succitati.

Il precipuo ruolo svolto dall’imputato risulta analizzato con adeguata specificità e con riferimenti circostanziati, tali da determinare, secondo logica, l’esclusione in radice dell’eventualità paventata dal ricorrente, ossia che il soggetto – non soltanto intercettato, ma anche – identificato sulla scorta delle suddette evidenze probatorie fosse una persona diversa da (omissis).

Posto ciò, deve rilevarsi che le deduzioni articolate dalla difesa a sostegno della doglianza, mutuate con modalità rotatoria dall’atto di appello, non contrastano in modo effettivo il ragionamento della Corte di merito, la quale ha ritenuto provato il consapevole contributo concorsuale di G. sulla scorta del contenuto delle intercettazioni, come riscontrato dalle immagini.

Per il resto, il conato, comunque epidermico, relativo alla rilettura delle prime trasmoda nella valutazione di merito, dovendo sul punto riaffermarsi il principio secondo cui, in sede di legittimità, è possibile prospettare un’interpretazione del significato di un’intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito esclusivamente in presenza di travisamento della prova, ossia nell’ipotesi in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva ed incontestabile; ciò, in coerenza con il connesso principio secondo cui l’apprezzamento dell’interpretazione e della valutazione del contenuto delle conversazioni non è suscettibile di essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità e irragionevolezza della motivazione con cui i colloqui captati vengono analizzati (Sez. 1, n. 16766 del 21/02/2020, Catanzariti, n. m.; Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, Di Maro, Rv. 272558): situazione nemmeno allegata e, in ogni caso, non dimostrata nel caso in esame.

La doglianza, quindi, si rivela manifestamente priva di fondamento, oltre che inammissibilmente volta a contestazioni di merito.

4. E’ da disattendersi anche il terzo motivo che ha censurato la sentenza di appello per il confermato diniego delle circostanze attenuanti generiche.

La doglianza prospetta la carenza di motivazione sul punto della conferma del diniego delle circostanze attenuanti generiche.

Tuttavia, il ricorrente per supportare la censura propone – esorbitando evidentemente nella valutazione di merito – di valorizzare parametri (in specie, la condotta dell’imputato nel periodo trascorso agli arresti domiciliari e nel corso del processo e la sua incensuratezza) diversi da quelli precisamente indicati come ostativi dai giudici di merito (intensità del dolo, modalità della condotta, relativa ad oggetto di spiccata potenza offensiva, e condotta dell’imputato, anche successiva, non particolarmente indicative di resipiscenza), in un quadro che ha anche tenuto conto dell’irrilevanza del trattamento ricevuto dal concorrente B. in sede di patteggiamento, della non decisività dell’incensuratezza dell’imputato e dell’avvenuta applicazione a G. della misura di prevenzione personale.

A fronte della corretta e coerente valutazione operata dai giudici di merito, che hanno evidenziato i dati contrari al riconoscimento delle circostanze ex art. 62-bis c.p., l’opzione prospettata dal ricorrente non può effettuarsi in sede di legittimità. Essa, invero, oblitera che – essendo la giustificazione fornita dai giudici di merito, all’evidenza, non incongrua, nè incoerente – costituisce principio da condividersi e riaffermarsi quello secondo cui, nel motivare il diniego del riconoscimento delle attenuanti generiche, il giudice non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, essendo necessario e sufficiente che egli – con motivazione insindacabile. in sede di legittimità, ove essa sia non contraddittoria – dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 c.p., ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269).

Pertanto, non si dubita che, in tema di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 182 del 2011), rientra tra gli elementi di cui il giudice deve tener conto, secondo i criteri dell’art. 133 c.p., anche la condotta positiva del condannato successiva al reato, ma ciò non toglie che anche di questo parametro possa essere escluso il rilievo con motivazione fondata su altre, preponderanti, ragioni della decisione, non sindacabile in sede di legittimità se non contraddittoria (Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, Carillo, Rv. 275509 – 03).

Posto, quindi, che la ratio dell’art. 62-bis c.p. non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi al riconoscimento delle attenuanti, siccome i giudici di appello si sono mossi nell’alveo di tale principio, deve concludersi che la censura in esame si rivela inammissibile, anche perchè non si è confrontata con la motivazione resa nella sentenza impugnata.

5. Eguale sbocco esige l’analisi del quarto motivo con cui (omissis) ha censurato la sentenza di appello per il mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 114 c.p., comma 1.

La Corte di appello ha perentoriamente, ma motivatamente, ritenuto non minimo il contributo concorsuale di (omissis), soggetto prescelto da (omissis) come elemento di fiducia incaricato di svolgere le operazioni di occultamento nel furgone della pistola e delle munizioni, posto anche che queste ultime – ulteriore elemento di sfondo non irrilevante evidenziato dai giudici di merito – erano state reperite, in precedenza, proprio dall’imputato.

Trattasi di motivazione adeguata e coerente e, come tale, incensurabile in questa sede, dovendo al riguardo muoversi dal concetto che, in tema di concorso di persone nel reato, ai fini dell’integrazione della circostanza attenuante della minima partecipazione di cui all’art. 114 c.p., non basta una minore efficacia causale dell’attività prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri, essendo invece necessario l’accertamento che il contributo dato si sia concretizzato nell’assunzione di un ruolo di rilevanza del tutto marginale, ossia di efficacia causale così lieve rispetto all’evento da risultare trascurabile nell’economia generale dell’iter criminoso (Sez. 4, n. 49364 del 19/07/2018, P., Rv. 274037; Sez. 2, n. 835 del 18/12/2012, dep. 2013, Modafferi, Rv. 254051).

I giudici di merito hanno recisamente escluso – con argomenti congrui e logici – che il ruolo di G. nella relazione del complessivo disegno antigiuridico sia stato di entità così lieve da potersi considerare trascurabile.

Pertanto, si rivela infondata la doglianza che ne ha criticato l’approdo.

6. Venendo al quinto e ultimo motivo, si deve rilevare che, per come dedotta, la doglianza non riesce a intaccare la coerenza logico-giuridica delle argomentazioni generali esposte nella decisione impugnata.

La Corte di appello, valutando la dosimetria adottata dal primo giudice, ne ha condiviso l’entità, sia con riferimento alla pena irrogata per il reato più grave, sia con riferimento all’aumento di pena applicato per il reato satellite, di natura contravvenzionale, evidenziando anche la gravità della condotta inerente al munizionamento, tenuto conto della quantità e della diversa tipologia di cartucce oggetto di essa, nonchè esponendo in modo articolato le ragioni per le quali la personalità di (omissis) meritava un inquadramento di segno negativo, doveva tenersi in conto l’entità dei fatti sfociati nei reati accertati, che non poteva affatto considerarsi di grado contenuto, e non poteva sottovalutarsi la sintomatica professionalità rivelata dal reo nell’operazione di “clandestinizzazione” dell’arma.

Stanti tali adeguati riferimenti alla base della stima dosimetrica effettuata dai giudici di merito, la doglianza sull’eccessività della pena e anche dell’aumento per il reato satellite, in sè e per sè considerata e salvo quanto si aggiungerà in prosieguo sempre in punto di pena, si profila inammissibile, anche perchè essa è volta a censurare – non la sentenza impugnata, che invece sul trattamento sanzionatorio ha speso in motivazione le richiamate considerazioni specifiche, bensì – la sentenza di primo grado: sintomo chiaro del fatto che il ricorrente ha esaurito la sua prospettazione nella riproposizione in modo puramente reiterativo e sostanzialmente acritico delle riflessioni già prospettate alla Corte di appello, senza minimamente vagliare la risposta data dalla suddetta Corte nella sentenza di appello.

7. Sempre in tema di trattamento sanzionatorio, pur dopo la rassegna dei motivi di ricorso, tuttavia, anche ai sensi dell’art. 609 c.p.p., comma 2, vanno rilevati due punti nell’articolazione dell’operazione dosimetrica che si sono contrassegnati per l’introduzione in essa di altrettanti profili di illegalità, entrambi inerenti all’aumento di pena per la continuazione relativo al reato contravvenzionale sub D), quello di cui all’art. 697 c.p..

Ritenuta la responsabilità anche per tale reato e posto il medesimo in continuazione l’altro reato per cui è stata affermata la colpevolezza di (omissis), il primo giudice, con calcolo pienamente confermato dalla Corte territoriale, ha stimato la pena finale di anni quattro di reclusione ed Euro 6.000,00 di multa così determinata: pena base, per il più grave delitto sub A), quella di anni cinque, mesi sei di reclusione ed Euro 7.000,00 di multa; aumento di mesi sei di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa per la contravvenzione sub D), con fissazione della pena complessiva di anni sei di reclusione ed Euro 9.000,00 di multa; riduzione della frazione di un terzo, per la diminuente di cui all’art. 438 c.p.p., frazione pari ad anni due di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa, con determinazione dell’indicata pena finale di anni quattro di reclusione ed Euro 6.000,00 di multa.

7.1. Assodato ciò, deve, in primo luogo, constatarsi che l’aumento apportato per la contravvenzione di cui all’art. 697 c.p., effettuato in modo silente circa la ragione della scelta della corrispondente sanzione, non rispetta i canoni di legalità della disciplina di cui all’art. 81 c.p., come specificata nell’approdo raggiunto dal più autorevole consesso della Corte di legittimità, approdo condiviso dal Collegio.

Si è, in particolare, chiarito che – fermo il principio secondo cui la continuazione, quale istituto di carattere generale, è applicabile in ogni caso in cui più reati siano stati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, anche quando si tratti di reati appartenenti a diverse categorie e puniti con pene eterogenee – in tema di concorso di reati puniti con sanzioni eterogenee sia nel genere che nella specie, peri quali sia riconosciuto il relativo vincolo, l’aumento di pena per il reato satellite deve essere effettuato secondo il criterio della pena unica progressiva per moltiplicazione, rispettando, tuttavia, per il principio di legalità della pena e del favor rei, il genere della pena prevista per il reato satellite, nel senso che l’aumento della pena detentiva del reato più grave dovrà essere ragguagliato a pena pecuniaria ai sensi dell’art. 135 c.p. (Sez. U, n. 40983 del 21/06/2018, Giglia, Rv. 273750 e 273751).

Deve sottolinearsi particolarmente che, nell’ambito della relativa analisi e passando in rassegna le varie ipotesi, nella motivazione del richiamato arresto regolatore, precisandosi la casistica scaturente dall’affermato principio, si è specificato che, se il reato più grave è punito con pena congiunta e il reato satellite è sanzionato con pena alternativa, il giudice può operare l’aumento di pena in relazione a una soltanto delle pene previste per la violazione più grave, motivando la scelta ex art. 133 c.p..

A fronte di questa precisa indicazione – corrispondente al caso in esame (dato che il reato più grave è punito con la pena congiunta e il reato satellite, costituito da quello di cui all’art. 697 c.p., è punito con la pena alternativa, la relativa cornice edittale contemplando l’arresto fino a dodici mesi oppure l’ammenda fino a Euro 371,00) – i giudici di merito non hanno chiarito a quale delle due pene abbiano inteso riferire l’aumento, in relazione ai criteri stabiliti dall’art. 133 c.p., e hanno apportato meccanicisticamente l’aumento sia per la pena detentiva, sia per la pena pecuniaria, nella misura succitata.

Quindi la scelta della sanzione da fissare quale aumento in corrispondenza del reato contravvenzionale punito con la pena alternativa non si è attenuta al procedimento logico-giuridico fissato nell’insegnamento nomofilattico richiamato.

Tale rilievo determina la necessità dell’annullamento con rinvio della statuizione relativa al trattamento sanzionatorio afferente al reato satellite, punto che andrà riesaminato dal giudice di merito esercitando la discrezionalità assegnatagli dalla legge, ma attenendosi al principio espresso dianzi, in adesione alla direttiva giuridica indicata dalle Sezioni Unite, e dunque anzitutto scegliendo a quale pena, fra quelle alternativamente previste, intenda parametrare l’aumento e poi operando l’aumento stesso, secondo i canoni stabiliti.

7.2. Quale che fosse l’aumento.da apportarsi in relazione al reato satellite suindicato, i giudici di merito non hanno considerato gli effetti che la natura contravvenzionale di esso determinava e determina nell’effettuazione della riduzione stabilita dall’art. 438 c.p.p., in dipendenza della scelta da parte di (omissis) del rito abbreviato.

Si rileva che i reati ascritti all’imputato sono stati commessi o comunque accertati il 14 giugno 2016. Nelle more del giudizio di primo grado è, però, entrata in vigore la L. n. 103 del 2017, che – in virtù dell’art. 1, comma 44, avente effetto dal 3 agosto 2017 – ha modificato l’art. 442, comma 2, nel senso che la diminuzione di pena per l’opzione del rito abbreviato, quando la condanna abbia ad oggetto contravvenzioni, è (non più di un terzo, bensì) della metà.

Circa tale innovazione, l’orientamento ermeneutico si è attestato sul condivisibile principio secondo cui l’art. 442 c.p.p., comma 2, come novellato dalla L. n. 103 del 2017, nella parte in cui prevede che, in caso di condanna per una contravvenzione, la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita della metà, anzichè di un terzo come previsto dalla previgente disciplina, si applica anche alle fattispecie anteriori, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile, ai sensi dell’art. 2 c.p., comma 4, in quanto la norma – pur essendo di carattere processuale ha sicuri effetti sostanziali, comportando un trattamento sanzionatorio più favorevole, anche se collegato alla scelta del rito (Sez. 4, n. 5034 del 15/01/2019, Lazzara, Rv. 275218; Sez. 4, n. 832 del 15/12/2017, dep. 2018, Del Prete, Rv. 271752).

Anche in questa contingenza interpretativa, si deve pertanto muovere dal concetto che il trattamento sanzionatorio, anche ove collegato alla scelta del rito, determina sempre effetti di natura sostanziale ed è, dunque, soggetto alla complessiva disciplina di cui all’art. 2 c.p.: ciò, fermo restando che la natura sostanziale della diminuente premiale per il rito abbreviato non comporta la trasformazione della natura processuale di tutta la restante normativa concernente i presupposti, i termini e le modalità di accesso al rito. In questa prospettiva, del resto, si è già stabilito che la disciplina della riduzione di pena scaturente dalla scelta del rito abbreviato soggiace al principio di legalità convenzionale di cui all’art. 7, paragrafo 1, CEDU, come interpretato dalla Corte EDU, con la conseguente irretroattività della previsione più severa (principio già contenuto nell’art. 25 Cost., comma 2), ma anche, e implicitamente, retroattività o ultrattività della previsione più favorevole (cfr. per il dettagliato sviluppo dell’argomento Sez. 1, n. 1006 del 30/30/2018, dep. 2019, Leone, n. m., anche per i richiami ai punti fissati da Sez. U, n. 18821 del 24/10/2013, dep. 2014, Ercolano, Rv. 258649, e Sez. U., n. 2977 del 06/03/1992, Piccillo, Rv. 189399).

L’effetto di queste considerazioni rileva anche quando si verte in tema di reato continuato nella cui struttura soltanto uno dei reati avvinti dal legame ex art. 81 c.p., comma 2, sia costituito da una contravvenzione. Si è in tal senso affermato – e qui va ribadito – che, in tema di giudizio abbreviato, l’art. 442 c.p.p., comma 2, come novellato dalla L. n. 103 del 2017 nella parte in cui prevede che, in caso di condanna per una contravvenzione, la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita della metà, anzichè di un terzo come previsto dalla previgente disciplina costituendo norma penale di favore impone che, anche in caso di continuazione tra delitti e contravvenzioni, la riduzione per il rito vada effettuata distintamente sugli aumenti di pena disposti per le contravvenzioni, nella misura della metà, e su quelli disposti per i delitti (oltre che sulla pena base), nella misura di un terzo (Sez. 1, n. 39087 del 24/05/2019, Mersini, Rv. 276869; Sez. 2, n. 14068 del 27/02/2019, Selvaggio, Rv. 275772).

Pertanto, il Giudice dell’udienza preliminare, prima, e la Corte di appello, poi, non risultando irrevocabilmente definita la materia inerente al trattamento sanzionatorio relativo alla contravvenzione in esame, avrebbero dovuto determinare la pena inflitta a (omissis) per la contravvenzione applicando la nuova disciplina, in modo che, in ossequio a essa, la diminuzione apportata ex art. 442 c.p.p., comma 2, post L. n. 103 del 2017, fosse parametrata alla metà, e non a un terzo, della pena stabilita.

Trattandosi di operazione che richiede la previa definizione della pena, o dell’aumento di pena, da applicare per la contravvenzione, anche per tale ragione la sentenza impugnata deve essere annullata, sempre limitatamente alla corrispondente statuizione, peraltro già caducata per l’emersione del primo profilo di illegalità.

Certo è che anche di tale ulteriore principio il giudice del rinvio dovrà fare applicazione nella determinazione della pena complessiva, per la parte di essa inerente all’aumento per il reato satellite.

8. Conclusivamente si deve addivenire all’annullamento della sentenza impugnata con esclusivo riferimento al trattamento sanzionatorio relativo al reato satellite, rinviando per il giudizio sul corrispondente punto ad altra Sezione della Corte di appello di Palermo.

Nel resto l’impugnazione va rigettata.

Ai sensi dell’art. 624 c.p.p., va dato atto dell’irrevocabilità conseguita dall’affermazione della penale responsabilità di (omissis).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio relativo al reato satellite e rinvia ad altra Sezione della Corte di appello di Palermo per nuovo giudizio sul punto.

Rigetta nel resto il ricorso dichiarando irrevocabile l’affermazione di responsabilità.

Così deciso in Roma, il 25 agosto 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2020

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