Massima

L’illegittimità dell’accesso operato nei locali adibiti promiscuamente ad abitazione ed a sede dell’attività imprenditoriale in assenza della necessaria autorizzazione del Procuratore della Repubblica (prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 52, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52) comporta l’assoluta inutilizzabilità degli elementi probatori e della documentazione così reperita a sostegno dell’accertamento tributario.

Supporto alla lettura

ACCERTAMENTO TRIBUTARIO

L’accertamento tributario (o fiscale) è il complesso degli atti della pubblica amministrazione volti ad assicurare l’attuazione delle norme impositive.

L’attività di accertamento delle imposte da parte degli uffici finanziari ha carattere meramente eventuale, essendo prevista nel nostro sistema l’autoliquidazione dei tributi più importanti da parte del contribuente stesso, tramite l’istituto della dichiarazione. Gli uffici intervengono quindi soltanto per rettificare le dichiarazioni risultate irregolari o nel caso di omessa presentazione delle stesse.

A seconda del metodo di accertamento utilizzato, questo può essere:

  • analitico: attraverso l’analisi della documentazione contabile e fiscale;
  • analitico-induttivo: cioè misto, basato su un esame documentale e presunzioni, di norma fondate su elementi gravi, precisi e concordanti, salvo in caso di omessa dichiarazione o di contabilità inattendibile/omessa;
  • induttivo: attraverso l’utilizzo esclusivo di presunzioni che possono essere anche esclusivamente semplici;
  • sintetico: fondato su coefficienti ministeriali.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La CTR Sicilia, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettando l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ha confermato la pronunzia di primo grado che aveva annullato l’avviso di accertamento emesso a carico di (omissis) per l’anno 2005, ritenendo inutilizzabile la documentazione acquisita nei locali adibiti promiscuamente ad abitazione ed a sede dell’attività imprenditoriale in assenza dell’autorizzazione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973art. 52.

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

La parte intimata non si è costituita.

La ricorrente prospetta, con il primo motivo, la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972art. 52 e del D.P.R. n. 600 del 1973art. 33. Secondo l’Agenzia la spontanea consegna della documentazione da parte del contribuente avrebbe eliso ogni vizio dell’attività di acquisizione della documentazione, in ogni caso potendosi utilizzare il materiale indiziario comunque raccolto dall’autorità fiscale. Deduce, con il secondo motivo, la violazione degli artt. 191 e 654 c.p.p. La censura è infondata.

Ed invero, questa Corte ha, in effetti, ritenuto che non esiste nell’ordinamento tributario un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite, lo stesso valendo all’interno del “nuovo” codice di procedura penale (v. art. 191 c.p.p.)”, sicchè “l’acquisizione irrituale di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale non comporta la inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso” (cfr. Cass. n. 8344 del 2001; conf. Cass. n. 13005 del 2001, n. 1343 e n. 1383 del 2002, n. 1543 e n. 10442 del 2003), anche con riferimento all’attività della guardia di finanza che, cooperando con gli uffici finanziari, proceda ad ispezioni, verifiche, ricerche ed acquisizione di notizie, non osservando la disciplina processualpenalistica, avendo carattere amministrativo – con conseguente inapplicabilità dell’art. 24 Cost., in materia di inviolabilità del diritto di difesa.

Tale affermazione viene, tuttavia, completata dalla precisazione che “… non siano violate le dette disposizioni del D.P.R. n. 600 del 1973art. 33 e del D.P.R. n. 633 del 1972artt. 52 e 63 – sul potere degli uffici finanziari e del giudice tributario di avvalersene a fini meramente fiscali” (cfr. Cass. n. 8990/2007Cass. n.18077/ 2010).

In definitiva, l’utilizzazione a fini fiscali di dati e documenti acquisiti dalla G.d.F. operante quale polizia giudiziaria è subordinata al rispetto delle disposizioni dettate dalle norme tributarie (nella specie, del D.P.R. n. 600 del 1973art. 33D.P.R. n. 633 del 1972artt. 52 e 63) fatti salvi, in ogni caso, i limiti derivanti da eventuali preclusioni di carattere specifico, come ad esempio la necessità di preventiva autorizzazione del procuratore della Repubblica, prevista dalle citate disposizioni tributarie, per procedere a determinate attività quali l’accesso presso locali diversi da quelli di esercizio dell’attività del contribuente – Cass. n. 958/2018 -.

Tale principio è stato più volte ribadito – Cass. n.21974/2009 – ed ulteriormente confermato dall’affermazione secondo la quale la mancanza dell’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973art. 33 e D.P.R. 10 ottobre 1972, n. 633, art. 63 per la trasmissione di atti, documenti e notizie acquisite nell’ambito di un’indagine o di un processo penali, a parte le conseguenze di ordine penale o disciplinare a carico del trasgressore, non determina la inutilizzabilità degli elementi probatori sui quali sia stato fondato l’accertamento tributario, rendendo invalidi gli atti del suo esercizio o la decisione del giudice tributario (cfr., ex multis, Cass. civ. sent. n. 3852 e 8344 del 2001), salvo l’ipotesi di accesso domiciliare, nel qual caso l’illegittimità del provvedimento di autorizzazione del procuratore della Repubblica ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600art. 33 e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633art. 52 importa la “inutilizzabilità”, a sostegno dell’accertamento tributario, delle prove reperite nel corso della perquisizione illegale atteso che: a) detta inutilizzabilità non abbisogna di un’espressa disposizione sanzionatoria, derivando dalla regola generale secondo cui l’assenza del presupposto di un procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali si articola; b) il compito del giudice di vagliare le prove offerte in causa è circoscritto a quelle di cui abbia preventivamente riscontrato la rituale assunzione; c) l’acquisizione di un documento con violazione di legge non può rifluire a vantaggio del detentore, che sia l’autore di tale violazione, o ne sia comunque direttamente o indirettamente responsabile. Peraltro, a prescindere dalla verifica dell’esistenza o meno, nell’ordinamento tributario, di un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite analogo a quello fissato per il processo penale dall’art. 191 vigente c.p.p., l’inutilizzabilità in questione discende dal valore stesso dell’inviolabilità del domicilio solennemente consacrato nell’art. 14 Cost. (cfr. sentt. nn. 15230 del 2001, 1344 del 2002 e 19689 del 2004) – Cass. n. 20028/2010).

D’altra parte, i superiori principi non possono essere derogati per effetto della consegna spontanea della documentazione da parte del contribuente, ove si consideri che secondo questa Corte essa non può “…rendere legittimo un accesso operato al di fuori delle previsioni legislative e, comunque, perchè l’eventuale consenso o dissenso dello stesso contribuente alle accesso, legittimo od illegittimo che sia, è del tutto privo di rilievo giuridico non essendo richiesto e/o preso in considerazione da nessuna norma di legge – cfr. Cass. n. 19689/2004Cass. n. 19690/2004 e, da ultimo, Cass. n.14701/2018 -.

Sulla base di tali considerazioni, la censura formulata dall’Agenzia è sfornita di giuridico fondamento, essendosi il giudice di appello conformato ai superiori principi.

Il secondo motivo è assorbito in relazione al rigetto del primo.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Nulla sulle spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2019

Allegati

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