Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il Collegio ha deliberato la redazione della motivazione in forma semplificata.
2. Col primo motivo, si deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., per essere la Corte incorsa in “un evidente errore di valutazione della prova”, laddove nell’apprezzare le testimonianze de relato relative ai presunti maltrattamenti, le ha correlate coi certificati del Pronto Soccorso del (omissis) che “non offrono elementi oggettivi sufficienti da poter determinare il convincimento del Giudicante sulle c.d. violenze” che si vorrebbero a lui imputare.
3. Col secondo motivo, si lamenta la violazione dell’art. 116 c.p.c., in riferimento agli artt. 143 e 151 c.c.. La Corte, afferma il ricorrente, ha erroneamente apprezzato le offese alla dignità della moglie, senza procedere nè all’esame del rapporto causale rispetto al disgregarsi dell’affectio coniugalis, nè ad una valutazione comparativa con la condotta di lei posta in essere (l’avvenuta predisposizione in due contenitori della cena al marito al rientro dal lavoro, mentre la stessa accudiva i genitori malati).
4. I motivi, da valutarsi congiuntamente, sono infondati. L’art. 116 c.p.c., sancisce, infatti, il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, sicchè il ricorso per cassazione che deduca la violazione di tale disposizione è concepibile, solo, quando il giudice abbia attribuito il valore di prova legale ad una risultanza da valutare secondo il suo prudente apprezzamento o viceversa abbia prudentemente apprezzato una prova avente valore legale (cfr. Cass. n. 11892 del 2016). Il vizio non si può di certo ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti in un senso difforme rispetto a quello auspicato da una di esse. Di tale natura sono dichiaratamente le censure mosse alla sentenza impugnata: nell’insistere nella tesi della mancata prova di condotte ingiuriose e violente (che, contrariamente a dedotto in seno alla memoria, non sono state accertate solo in riferimento alle deposizioni de relato, essendo state poste in relazione con i menzionati certificati del Pronto Soccorso), e nel negare la ricorrenza del nesso causale tra le stesse e l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, il ricorrente finisce con l’invocare un nuovo giudizio di fatto, estraneo alla presente sede di legittimità.
5. Il Collegio deve, poi, con riguardo al nesso di causalità, ribadire il principio secondo cui le violenze fisiche nel rapporto coniugale costituiscono violazioni talmente gravi ed inaccettabili dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sè sole -quand’anche concretantisi in un unico episodio di percosse-, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti l’intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all’autore, e da esonerare il giudice del merito dal dovere di comparare con esse, ai fini dell’adozione delle relative pronunce, il comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, trattandosi di atti – lesivi, pure, della pari dignità della persona-i quali, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei (cfr. Cass. n. 7321 del 2005 e n. 11844 del 2006), e cui va riconnessa incidenza causale preminente rispetto a preesistenti cause di crisi dell’affectio coniugalis (cfr. Cass. n. 7388 del 2017, in motivazione).
6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2018.
Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2018
