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Cassazione civile sez. VI, 18/01/2021, n. 708

Massima

La prosecuzione di fatto di un contratto di locazione dopo la disdetta, unitamente al pagamento dei canoni, non implica automaticamente una rinnovazione tacita del contratto. Tuttavia, se il locatore, oltre a tollerare la continuazione del rapporto e ricevere i canoni, compie atti che manifestano la volontà di mantenere in vita il contratto originario, come la richiesta di registrazione del vecchio contratto, e il conduttore prosegue nell’attività prevista dal contratto, allora si può configurare una proroga del contratto. Inoltre, in un giudizio di sfratto, la presentazione tardiva di un documento in appello è ammissibile solo se indispensabile ai fini della decisione e non basata su prove testimoniali generiche o inammissibili.

Supporto alla lettura

SFRATTO

Lo sfratto è un provvedimento previsto dalla legge per tutelare i proprietari di immobili in affitto.

Si distinguono quindi quattro tipologie di sfratto:

  • sfratto per morosità: quando l’inquilino ritarda il pagamento anche di un solo mese di canone di locazione, per più di 20 giorni dalla data stabilita (lo stesso vale se non versa gli oneri accessori, es. le spese condominiali, accumulando un debito superiore a due mensilità del canone). E’ l’unica tipologia in cui l’inquilino moroso può presentarsi all’udienza e chiedere al giudice il c.d. termine di grazia, cioè un periodo di tempo aggiuntivo (90 giorni, estesi a 120 giorni in caso di dimostrate condizioni precarie a livello economico o di salute) che il giudice concede all’inquilino moroso per pagare al proprietario l’affitto arretrato, gli interessi e le spese legali;
  • sfratto per finita locazione: quando l’inquilino rifiuta di lasciare l’abitazione al termine del contratto. La normativa prevede la possibilità di richiedere lo sfratto per finita locazione in forma preventiva, c.d. “intimazione di licenza per finita locazione”, funge da disdetta (sempre entro 6 mesi dalla scadenza del contratto per evitare il rinnovo automatico). Se l’inquilino non dovesse liberare l’immobile al termine della locazione, l’intimazione rappresenta un vero e proprio titolo esecutivo e diventa utilizzabile;
  • sfratto per necessità: a livello giuridico non si tratta di un vero e proprio sfratto, ma di un diniego di rinnovo del contratto di affitto. A seconda del tipo di contratto di affitto, cambiano le tempistiche per il rinnovo della locazione alla prima scadenza (4 anni in caso di canone libero e 3 anni per gli affitti a canone concordato). I motivi che consentono questa tipologia di sfratto (sempre inviando un preavviso scritto di almeno 6 mesi) sono tutti quei casi in cui il proprietario vuole destinare l’immobile a uso abitativo, commerciale, artigianale o professionale per se stesso o per un familiare fino al secondo grado. Se entro l’anno successivo alla riconsegna dell’immobile i motivi della disdetta non vengono rispettati, l’inquilino ha diritto di riattivare il precedente contratto di affitto, o, in alternativa, può richiedere un risarcimento non inferiore a 36 mensilità di canone;
  • sfratto per inadempienza contrattuale: quando l’inquilino commetta violazioni al contratto tali da richiedere una risoluzione dell’accordo (es.  il cambio di destinazione d’uso dell’appartamento, attività illegali condotte nell’immobile, disturbo dei vicini, o sublocazione non autorizzata). Anche la grave inadempienza non rientra tecnicamente nelle tipologie di sfratto in senso stretto, infatti in questo caso si parla di risoluzione del contratto, anche se il procedimento giudiziario è il medesimo dello sfratto.

Qualora dovesse presentarsi il caso in cui si cumulino le domande di sfratto per morosità e finita locazione, è possibile richiedere una convalida di sfratto per morosità se precedentemente ci si è avvalsi della licenza per finita locazione, in questo modo si velocizzano anche i tempi di risoluzione del rapporto. Per recuperare eventuali crediti successivi alla scadenza del contratto, con la riforma Cartabia è stato stabilito un risarcimento forfettario, richiedibile in concomitanza allo sfratto o col procedimento “sfratto per finita locazione e decreto ingiuntivo”.

Ambito oggettivo di applicazione

I FATTI DI CAUSA
Le ricorrenti (omissis) e (omissis), sin dal 1985, avevano in locazione un immobile di proprietà di (omissis) che avevano adibito al commercio.

Nel 2008 il locatore ha notificato loro disdetta, a cui però non ha dato seguito, cosi che le conduttrici hanno proseguito il godimento dell’immobile e corrisposto il canone di locazione.

Successivamente, con atto del 13.2.2017, il locatore ha intimato sfratto per morosità e richiesta di ingiunzione dei canoni scaduti.

Le conduttrici si sono opposte a questa azione eccependo che il rapporto era stato risolto con la disdetta del 2008 e si era trasformato in locazione ad uso abitativo per il periodo successivo.

Tuttavia, il Tribunale ha ritenuto fondata la tesi della proroga ed ha pronunciato sfratto per morosità, con decisione che è stata confermata dalla corte di appello, che ha peraltro integrato la motivazione resa dal primo grado quanto al comportamento concludente di entrambe le parti.

Avverso tale decisione v’è ricorso delle conduttrici con tre motivi. Il locatore si è costituito ed ha chiesto il rigetto del ricorso.

LE RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – La corte d’appello deduce la proroga del rapporto da una serie di indici: intanto la prosecuzione della detenzione; il pagamento dei canoni; la richiesta del locatore di registrare il vecchio contratto, quello del 1985; la circostanza che le conduttrici avevano la residenza o il domicilio altrove, circostanza questa indicativa che la locazione non aveva mutato finalità da commerciale ad abitativa.Questa ratio è contestata con tre motivi.

2. Con il primo motivo le ricorrenti denunciano violazione dell’art. 1597 c.c. nonchè degli artt. 112 e 132 c.c..

Secondo le ricorrenti gli elementi da cui la corte ha ricavato la proroga del contratto del 1985, pur dopo la disdetta del 2008, individuati nel comportamento delle parti, non sarebbero sufficienti o comunque non sarebbero indicativi affatto della volontà di prorogare, tenuto conto altresì della circostanza che la mera continuazione della detenzione, da un lato, ed il pagamento del prezzo dall’altro, non sono sufficienti a dimostrare volontà di proroga.

Del resto, secondo le conduttrici ricorrenti, la motivazione sul punto, ossia sulla rilevanza degli elementi addotti a sostegno della proroga non sarebbe di per sè sufficiente.

Il motivo è infondato.

Invero, è certamente regola quella per la quale la rinnovazione tacita del contratto di locazione ai sensi dell’art. 1597 c.c., postula la continuazione della detenzione della cosa da parte del conduttore e la mancanza di una manifestazione di volontà contraria da parte del locatore, cosicchè, qualora questi abbia manifestato con la disdetta la sua volontà di porre termine al rapporto, la suddetta rinnovazione non può desumersi dalla permanenza del locatario nell’immobile locato dopo la scadenza o dal fatto che il locatore abbia continuato a percepire il canone senza proporre tempestivamente azione di rilascio, occorrendo invece un suo comportamento positivo idoneo ad evidenziare una nuova volontà, contraria a quella precedentemente manifestata per la cessazione del rapporto (Cass. 10946/2003; Cass. 257/2006; Cass. 8833/2007; Cass. 13886/2011; Cass. 2373/2016).

Non basta dunque che il rapporto sia di fatto proseguito; è necessario un comportamento del locatore di segno contrario alla volontà di disdetta.

tuttavia la corte ha fatto buon uso di questa regola in quanto non ha tratto la conclusione del rinnovo tacito dalla mera continuazione della detenzione e dal pagamento del prezzo, ma ha considerato altresì la richiesta al Fisco da parte del locatore di registrazione del contratto originario, quello del 1985, significativa dunque della volontà di prorogarlo, e la circostanza che le conduttrici, che invocavano un mutamento di destinazione, invece continuavano nell’esercizio dell’attività commerciale.

Il valore probatorio di queste circostanze è rimesso alla valutazione discrezionale del giudice di merito, che ha motivato adeguatamente (p 6-9) sulla loro rilevanza.

2. – Con il secondo ed il terzo motivo, che possono illustrarsi insieme, le ricorrenti denunciano violazione degli artt. 345, 437 e 447 bis c.p.c., quanto al secondo motivo, e violazione dell’art. 420 c.p.c., quanto al terzo motivo, in relazione alla dichiarata inammissibilità di una richiesta istruttoria in appello.

La corte di merito ha ritenuto inammissibile, in quanto tardivo, un documento, in particolare una denuncia che le ricorrenti avevano fatto alla Agenzia delle Entrate circa l’esistenza di un contratto verbale del 30.3.2016 con cui il precedente rapporto di locazione ad uso commerciale veniva “novato” in locazione ad uso abitativo.

La corte ha ritenuto che, richiesta la prova con l’atto introduttivo, andasse reiterata con le conclusioni, in primo grado. Ed invece non v’era stata reiterazione. Ma soprattutto non ha valutato se il documento fosse comunque indispensabile ai fini del decidere, qualità che l’avrebbe reso ammissibile, pur se tardiva la sua produzione in giudizio.

La corte avrebbe erroneamente confuso, in tale senso, il rito ordinario (dove è sicuro l’onere di reiterare le richieste istruttorie non decise dal giudice, pena la rinuncia alla loro ammissione) con il rito del lavoro, dove non essendovi una simile scansione del procedimento (udienza istruttoria e udienza di conclusioni) quell’onere non può dirsi imposto.

Il motivo, che pure in astratto coglie nel segno su questo ultimo punto, è però infondato per altro.

Infatti, la corte, dopo aver ritenuto tardivo il documento, lo ha altresì ritenuto inammissibile o irrilevante, in quanto sostenuto da un prova testimoniale sulla conclusione verbale del contratto di locazione, che la corte ha stimato oltre che generica altresì inammissibile di suo, non idonea a provare il perfezionamento di un contrato di locazione ad uso abitativo.

Con la conseguenza che, da un lato, il giudice di merito ha deciso, anzichè no, sulla indispensabilità della prova tardiva; per altro verso questa decisione, fondata sulla irrilevanza di una comunicazione fatta all’Agenzia delle Entrate a provare che in precedenza si è concluso verbalmente un contratto di locazione, non è censurata in sè dalle ricorrenti, che non adducono motivi per smentire la tesi della corte secondo cui la loro prova testimoniale, scaturente da quella comunicazione non solo era generica, ma non poteva di per sè portare a provare la conclusione in forma orale di un contratto.

Il ricorso va pertanto rigettato.

P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite nella misura di 1500,00 curo, oltre 200,00 Euro di spese generali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.Così deciso in Roma, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2021

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