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Cassazione civile sez. VI, 14/10/2021, n.28218

Massima

In tema di contratto preliminare di compravendita di bene immobile, l’occupazione di quest’ultimo, inizialmente legittima in presenza del consenso scritto da parte del promittente venditore, diventa priva di titolo nel momento in cui il promissario acquirente propone domanda giudiziale di recesso dal contratto per l’inadempimento del promittente venditore, sicchè da tale data va riconosciuta l’indennità di occupazione dell’immobile, laddove, nella diversa ipotesi del recesso per inadempimento del promissario acquirente cui il bene sia stato consegnato alla conclusione del contratto preliminare, la data iniziale del computo dell’indennità di occupazione va individuata in quella di consegna dell’immobile.

Supporto alla lettura

Contratto preliminare

Il contratto preliminare (anche detto compromesso) è un vero e proprio contratto che obbliga entrambe le parti alla stipula del contratto definitivo. Il preliminare deve indicare gli elementi principali della vendita quali il prezzo e la casa da acquistare, l’indirizzo e una precisa descrizione (piani, stanze etc.) con i dati aggiornati del Catasto e la data del contratto definitivo. È opportuno, inoltre, definire tutti gli obblighi reciproci da adempiere prima della consegna dell’immobile. In caso di vendita di immobili in corso di costruzione sono previste dalla legge regole particolari per la redazione del contratto preliminare. È obbligatorio che il contratto preliminare sia stipulato da un notaio nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata. Per garantire la massima tutela al futuro acquirente è molto opportuno che il contratto preliminare sia stipulato dal notaio, mediante scrittura privata autenticata o atto pubblico, in modo che venga trascritto nei Registri Immobiliari. Nelle altre ipotesi, l’opportunità della trascrizione può essere valutata con l’assistenza del notaio.

La trascrizione vale come una vera e propria prenotazione dell’acquisto dell’immobile. Non è più soltanto un accordo privato tra acquirente e venditore, viene reso legalmente valido verso chiunque (tecnicamente è “opponibile nei confronti dei terzi”) e il venditore, di conseguenza, non potrà vendere l’immobile a qualcun altro, né concedere un’ipoteca sull’immobile, né costituire una servitù passiva o qualsiasi altro diritto pregiudizievole. Gli eventuali creditori del venditore non potranno iscrivere un’ipoteca sull’immobile promesso in vendita, né pignorarlo. Dal momento della trascrizione del contratto preliminare, l’immobile è “riservato” al futuro acquirente, e qualsiasi trascrizione o iscrizione non avrebbe effetto nei suoi confronti.
Con la sentenza n. 4628 del 2015 la Corte di Cassazione a Sezioni unite ha riconosciuto validità al cosiddetto preliminare di preliminare. Si tratta di quell’accordo con cui le parti formalizzano il contenuto di una prima fase della trattativa contrattuale e con cui si obbligano a proseguire nella stessa. In questo modo danno spazio alla formazione progressiva del contratto e puntualizzano con un successivo accordo il contenuto giuridico dell’affare.

Ambito oggettivo di applicazione

PREMESSO CHE

1. Ma. Gr., in qualità di promissario acquirente, conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Velletri Gi. Co. e Si. Co., chiedendo di pronunciare la risoluzione per inadempimento di quattro contratti preliminari di compravendita stipulati con i convenuti e di condannarli al doppio della caparra versata, pari ad euro 74.963,26. Allegava l’attore che dopo diversi rinvii della stipulazione del rogito, concordati per consentire ai promittenti venditori di consegnare la documentazione relativa alla sanatoria dell’immobile oggetto dell’accordo, la documentazione non era stata consegnata e non si era pertanto addivenuti alla stipula dell’atto definitivo di compravendita.

Si costituivano in giudizio i Co. che, in riconvenzionale, chiedevano di pronunciare la risoluzione dei contratti per non essersi Gr. presentato alla stipula del rogito; deducevano inoltre che Gr. aveva occupato abusivamente l’immobile e chiedevano che fosse condannato al pagamento di una indennità di occupazione e al rilascio dell’immobile.

Il giudice di prime cure accoglieva le domande dell’attore e rigettava le domande dei convenuti.

2. Avverso la sentenza di primo grado del Tribunale proponevano appello Gi. Co. e Si. Co., riproponendo le domande di rilascio dell’immobile e di pagamento dell’indennità di occupazione.

La Corte d’appello, con sentenza n. 1966/2019, accoglieva la domanda di rilascio dell’immobile, rigettando quella di pagamento dell’indennità, in quanto in data 31 marzo 2003 i promittenti venditori avevano concesso a Gr. “il diritto di uso e di abitazione sull’immobile di cui all’oggetto, fintanto che la relativa necessaria documentazione sarà completata”.

3. Avverso la sentenza della Corte d’appello ricorrono per cassazione Gi. Co. e Si. Co..

Resiste con controricorso Ma. Gr..

1) Il primo motivo di ricorso contesta “violazione ed errata applicazione degli artt. 2043, 2051 e 2056 c.c. in considerazione del riconoscimento di occupazione sine titulo dell’immobile”, in relazione al mancato accoglimento della domanda di pagamento dell’indennità per l’occupazione dell’immobile, dal momento dell’occupazione o comunque “dalla data della domanda restitutoria”.

Il motivo è manifestamente fondato. Il giudice d’appello, che ha qualificato la domanda proposta in primo grado dal controricorrente quale recesso e ha accolto il gravame dei ricorrenti circa la mancata condanna di controparte al rilascio dell’immobile, ha poi ritenuto infondato il motivo di gravame che lamentava la mancata condanna al pagamento dell’indennità di occupazione dell’immobile, in quanto era stato, in data 31 marzo 2003, concesso a Gr. “il diritto di uso e di abitazione sull’immobile di cui all’oggetto, fintanto che la relativa necessaria documentazione sarà completata”.

Il giudice d’appello, così decidendo, non ha considerato che l’occupazione, inizialmente legittima atteso il consenso scritto di Gi. Co., è divenuta priva di titolo nel momento in cui, con la domanda giudiziale, il controricorrente ha esercitato il recesso dal contratto. Da tale data, ossia dalla proposizione della domanda di recesso dal contratto da parte del promissario acquirente Gr. nei confronti dei due promissari venditori inadempienti, va riconosciuta l’indennità di occupazione dell’immobile, da quel momento divenuta senza titolo. La data iniziale del computo dell’indennità di occupazione non va quindi individuata – come hanno chiesto i ricorrenti – nella data di consegna dell’immobile: tale soluzione è infatti seguita da questa Corte per la diversa ipotesi del recesso per inadempimento del promissario acquirente cui il bene sia stato consegnato alla conclusione del contratto preliminare (v., per tutte, Cass. 9363/2012), ma non vale nel caso in esame, ove è stato accertato l’inadempimento dei promittenti venditori.

2) L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento del secondo, con il quale si contesta la violazione e l’errata applicazione degli artt. 2056, comma 2, e 1226 c.c. per l’omessa valutazione equitativa dell’asserito danno.

4. Il ricorso va pertanto accolto e la causa deve essere rinviata alla Corte d’appello di Roma, che provvederà anche in relazione alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa il provvedimento impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta/seconda sezione civile il 24 febbraio 2021.

Allegati

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