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Cassazione civile sez. VI, 14/01/2016, n. 433

Massima

In tema di separazione personale dei coniugi, la pronuncia di addebito richiesta da un coniuge per le violenze perpetrate dall’altro non è esclusa qualora risulti provato un unico episodio di percosse, trattandosi di comportamento idoneo comunque a sconvolgere definitivamente l’equilibrio relazionale della coppia, poiché lesivo della pari dignità di ogni persona.

Supporto alla lettura

Separazione

In generale, la separazione è una sospensione temporanea del matrimonio e dei suoi effetti civili. La separazione è stata istituita per permettere ai coniugi di trovare una riconciliazione. La separazione di fatto è determinata dall’interruzione volontaria della vita matrimoniale dei coniugi, in seguito al raggiungimento di un accordo, anche se quest’ultimo non ha una validità giuridica (se non quando i coniugi richiedono l’omologazione del Tribunale). Invece, la separazione legale è caratterizzata dall’intervento del Giudice, dell’Ufficiale di stato Civile o degli avvocati, in caso di negoziazione assistita. Esistono due tipi di separazione legale, quella consensuale in cui i coniugi sono d’accordo su come regolare i loro rapporti e chiedono che il Tribunale prenda atto della loro volontà e quella giudiziale in cui invece questo accordo non c’è ed è il Tribunale che decide, dopo gli opportuni accertamenti, le condizioni della separazione. Dal 2014 con l’art. 12 legge 10.11.2014 n. 162 i coniugi che arrivano ad una separazione consensuale, possono scegliere di:

  • presentare la domanda (ricorso) congiunta al Tribunale, attivando la procedura già regolata dal codice civile, oppure
  • intraprendere la procedura di negoziazione assistita da almeno due avvocati, uno per ogni coniuge, secondo le nuove disposizioni della legge

Inoltre, solo per il caso in cui non vi siano figli minori, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 ovvero economicamente non autosufficienti, i coniugi possono optare per la procedura avanti all’Ufficiale dello Stato civile del Comune di residenza. Con la ”Riforma Cartabia” si sono introdotte nuove norme affinché tutte le controversie relative alla famiglia, e quindi anche la separazione ed il divorzio, vengano affrontate utilizzando un unico rito processuale, prevedendo inoltre che in un prossimo futuro sia istituito il Tribunale della famiglia, che si occuperà specificamente dei procedimenti in materia di relazioni familiari, persone e minorenni. La domanda dovrà essere proposta al Tribunale del luogo di residenza abituale dei figli minori, dovrà essere corredata da un piano genitoriale che indica gli impegni e le attività quotidiane dei figli relative alla scuola, al percorso educativo, alle attività extrascolastiche, alle frequentazioni abituali e alle vacanze normalmente godute.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTO E DIRITTO
Rilevato che:
1. Il Tribunale di S. Angelo dei Lombardi, con sentenza n. 297/13, ha pronunciato la separazione dei coniugi (omissis) e (omissis) rigettando le reciproche domande di addebito, ha affidato i figli minori al (omissis) cui ha assegnato la casa familiare e ha posto a carico della (omissis) l’obbligo di versare un assegno mensile di 450 Euro a titolo di concorso al mantenimento dei figli.

2. La Corte di appello di Napoli ha pronunciato la separazione con addebito al (omissis), ha disposto l’affidamento esclusivo dei figli alla (omissis), cui ha assegnato la casa familiare, prescrivendo al (omissis) di allontanarsene immediatamente e di astenersi dall’avvicinarsi ai luoghi di abituale frequentazione dei minori per la durata di sei mesi dalla sentenza. Ha disposto che il (omissis) possa vedere i figli in forma protetta e ha posto a suo carico un assegno di 700 Euro mensili a titolo di contributo al mantenimento dei figli.

3. Ricorre per cassazione (omissis) affidandosi a sei motivi di ricorso.

4. Si difende con controricorso e deposita memoria difensiva (omissis) che eccepisce l’inammissibilità del ricorso.

Ritenuto che:

5. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 101 c.p.c., e art. 111 Cost., ex art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè dell’art. 101 c.p.c., e dell’art. 111 Cost., ex art. 360 c.p.c., n. 4. Il ricorrente eccepisce la nullità della sentenza e del procedimento rilevando che nel decreto di fissazione dell’udienza di comparizione delle parti era indicata la data dell’8 ottobre 2014 mentre la causa era stata trattata alle udienze dell’8 e 14 febbraio in evidente violazione del principio del contraddittorio.

6. Il motivo appare infondato perchè la rilevabilità dell’errore materiale contenuto nel decreto di fissazione di udienza era facilmente identificabile. Per altro verso il ricorrente non ha addotto concreti pregiudizi all’esercizio del suo diritto di difesa.

7. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 143 e 151 c.c., ex art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè dell’art. 116 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., n. 5. Il ricorrente eccepisce in via gradata l’omesso esame di un fatto decisivo. Inoltre contesta radicalmente la valutazione delle prove in base alle quali la Corte di appello ha ritenuto che la causa della separazione sia da identificare nel suo comportamento violento e prevaricante. Laddove invece emerge chiaramente dalla consulenza tecnica della d.ssa (omissis) che la (omissis), profondamente segnata dal clima di violenza e anaffettività della sua famiglia di origine, è una persona traumatizzata e portata a interpretare il passato e distorcere il presente, identificandosi con la figura materna e attribuendo al marito i maltrattamenti subiti invece dal padre. Il ricorrente ritiene che non siano emerse violazioni dei doveri coniugali anteriori alla crisi del matrimonio mentre l’unico comportamento contrario ai doveri coniugali può essere ritenuto l’allontanamento della (omissis) dal domicilio familiare.

8. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 155 e 155 bis c.c., ex art. 360 c.p.c., n. 5. Il ricorrente censura la sentenza della Corte di appello ritenendo che dalla lettura delle carte processuali emerge in tutta evidenza la lacunosità e contraddittorietà della motivazione circa le ragioni della revoca dell’affido esclusivo dei figli al padre e del disposto affido esclusivo alla madre. In particolare lamenta che non sia stata affatto considerata la sua ritenuta capacità genitoriale emersa nel corso del giudizio e nel procedimento svoltosi davanti al (omissis) a seguito del suo ricorso ex artt. 330 e segg. c.c.. Ritiene inoltre completamente negletta la chiara difficoltà di rapporto dei tre figli con la madre.

9. Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 148 c.c., ex art. 360 c.p.c., n. 5. Il ricorrente rileva che erroneamente la Corte di appello gli ha attribuito un reddito di 1.300 – 1.400 Euro mensili laddove egli percepisce un reddito netto mensile di 996 Euro e lamenta che la Corte distrettuale non ha valutato la circostanza per cui la figlia E. vive presso una amica per l’impossibilità di sostenere una convivenza con la madre ed è completamente a suo carico.

10. Con il quinto motivo di ricorso motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., ex art. 360 c.p.c., n. 5. Il ricorrente contesta la motivazione posta a fondamento dell’accoglimento della domanda risarcitoria perchè oscura, insufficiente e contraddittoria.

11. I motivi sin qui richiamati presentano l’identico motivo di inammissibilità consistente nell’essere rivolti a ottenere una riedizione del giudizio di merito. Essi appaiono infatti accomunati dall’indicazione meramente formale delle violazioni di legge in quanto del tutto prive di specificità. Sul punto non può non richiamarsi la costante giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ. sez. 3 n. 13066 del 5 giugno 2007) secondo cui il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, deve ritenersi, in particolare, inammissibile il ricorso nel quale non venga precisata la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la pronunzia di merito, non essendo al riguardo sufficiente un’affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi tra le argomentazioni in base alle quali si ritiene di censurare la sentenza impugnata e di assolvere, cosi, il compito istituzionale di verificare il fondamento della suddetta violazione.

12. Per quanto riguarda gli altri profili di impugnazione sì deve rilevare che i motivi sopra descritti sono tutti carenti dei requisiti richiesti dalla giurisprudenza di legittimità ai fini l’impugnazione ex art. 360 c.p.c., n. 5. Escluso infatti che nella specie sia stata denunciata e ricorra una anomalia motivazionale tale da porre in essere una violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, rimane da valutare se sia stato denunciato correttamente e provato il vizio specifico, previsto dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti un carattere decisivo (tanto che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). La giurisprudenza di legittimità richiede che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Un esame dei motivi sopra riportati evidenzia invece che il ricorrente ha continuato a contraddire le tesi avversarie e le motivazioni della sentenza impugnata senza indicare alcuna omissione di esame fattuale che possa rientrare nell’alveo dell’impugnazione ex art. 360 c.p.c., n. 5.

13. Più specificamente per ciò che concerne l’addebito la Corte di appello ha richiamato in particolare la consulenza tecnica dalla quale emerge una ripetuta serie di comportamenti violenti che legittimano incontestabilmente l’attribuzione a (omissis) della responsabilità della separazione anche alla luce della giurisprudenza di legittimità secondo cui la pronuncia di addebito richiesta da un coniuge per le violenze perpetrate dall’altro non è esclusa qualora risulti provato un unico episodio di percosse, trattandosi di comportamento idoneo comunque a sconvolgere definitivamente l’equilibrio relazionale della coppia, poichè lesivo della pari dignità di ogni persona (Cass. civ. sez. 1, n. 817 del 14 gennaio 2011).

14. Per ciò che concerne l’interesse dei figli alla revoca dell’affidamento disposto in primo grado la Corte di appello ha fondato la propria decisione dando pieno affidamento, all’esito di una analitica motivazione, alle indicazioni del C.T.U., dei servizi sociali e della psicologa della A.S.L. che hanno potuto riscontrare direttamente il comportamento aggressivo e vessatorio del (omissis) diretto a una incondizionata emarginazione della figura materna. La Corte di appello ha ritenuto pertanto di disporre la revoca del precedente affidamento al fine di impedire che lo stato di soggezione psicologica dei minori nei confronti del padre danneggi irrimediabilmente il loro equilibrio psico – fisico. Nello stesso tempo, oltre a prevedere le necessarie misure protettive ha consentito la prosecuzione della frequentazione dei figli da parte del padre e ha previsto che al padre sia assicurato un percorso di sostegno psicologico e di potenziamento della genitorialità presso la struttura dove avverranno gli incontri con i figli secondo le scelte dei servizi sociali e parallelamente un supporto psicologico, da parte degli esperti della ASL competente, nella fase di passaggio dall’affidamento paterno a quello materno. Le valutazioni della Corte di appello appaiono coerenti alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. civ. sezione 6-1 n. 18817 del 23 settembre 2015) secondo cui, in tema di procedimento per l’affidamento del figlio minore nell’ambito di una separazione fra coniugi, non è denunciabile in cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. nella L. n. 134 del 2012, la mera omessa od errata valutazione da parte del giudice di merito delle relazioni psicosociali acquisite agli atti e dei pareri psicodiagnostici prodotti, non traducendosi in una anomalia della motivazione e in una totale omissione ove nel provvedimento sia stato dato risalto all’esigenza di assicurare la conservazione di un regolare rapporto tra il minore ed il genitore non affidatario.

15. Infine appaiono meramente assertive e prive di autosufficienza le censure relative alla imposizione di un assegno a carico del (omissis) a titolo di contributo al mantenimento dei figli e alla condanna del ricorrente al risarcimento dei danni arrecati con il suo comportamento.

16. Con il sesto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., n. 5. Il ricorrente contesta la decisione della Corte di appello che lo ha condannato alla refusione di due terzi delle spese del doppio grado di giudizio laddove il giudice di primo grado, che aveva accolto le sue richieste, aveva disposto la integrale compensazione delle spese processuali.

17. Il motivo è palesemente inammissibile a fronte della condanna alle spese pronunciata dalla Corte di appello nel pieno rispetto del criterio della soccombenza e operando una compensazione parziale in ragione della natura della controversia e del suo esito.

18. Per i suesposti motivi il ricorso va respinto con condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi 3.200 Euro di cui 200 per spese. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003.Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 27 ottobre 2015.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2016

Allegati

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