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Cassazione civile sez. VI-1, 10/05/2022, n. 14819

Massima

In tema di dichiarazione di fallimento, l’onere della prova circa il mancato superamento dei requisiti dimensionali relativi ad attivo patrimoniale, ricavi e debiti, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della Legge fallimentare, grava integralmente sul debitore.

Supporto alla lettura

FALLIMENTO

Il fallimento, nell’ordinamento giuridico italiano, è una procedura concorsuale liquidatoria, finalizzata alla soddisfazione dei creditori mediante la liquidazione del patrimonio dell’imprenditore, a cui si può ricorrere in presenza di determinati requisiti.

Essa coinvolge l’imprenditore commerciale con l’intero patrimonio e i suoi creditori. Tale procedura è diretta all’accertamento dello stato di insolvenza dell’imprenditore, all’accertamento dei crediti vantati nei suoi confronti e alla loro successiva liquidazione secondo il criterio della par condicio creditorum, tenendo conto delle cause legittime di prelazione.

È regolata dal Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 ma la disciplina è stata più volte modificata nel corso del tempo. Alternativamente, il superamento della crisi dell’impresa è possibile esperendo un concordato preventivo, oppure tentando una ristrutturazione aziendale o la richiesta di amministrazione straordinaria, per consentire il salvataggio dell’impresa attraverso accordi tra l’imprenditore e i creditori. Tale procedura è stata abrogata e resta in vigore solo per i procedimenti ancora in corso.

Il D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 e con l’entrata in vigore il 15 luglio 2022 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, il fallimento è stato sostituito da una nuova procedura concorsuale, la liquidazione giudiziale.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

Che:

1. (omissis), quale titolare dell’impresa individuale (omissis) di (omissis), ha proposto reclamo ex art. 18 L. fall., contro la sentenza del Tribunale di Bergamo che l’aveva dichiarata fallita su istanza della creditrice (omissis) s.r.l., lamentando il mancato superamento delle soglie di fallibilità di cui all’art. 1 L. fall., comma 2, lett. a), b) e c);

1.1. la creditrice istante aveva contestato l’attendibilità della documentazione prodotta dalla reclamante deducendo che, trattandosi di attività di ristorazione, risultava totalmente inverosimile l’esistenza dell’esiguo margine di ricavo derivante dalla comparazione tra il costo per l’acquisto degli alimenti e il prezzo di vendita dei prodotti, e aggiungendo, quale ulteriore elemento di inattendibilità, la circostanza che nel 2018 la Cacia aveva alienato a un terzo quasi tutti i beni elencati nel libro cespiti (necessari a svolgere l’attività di ristorazione) senza che nel conto economico risultassero i corrispondenti ricavi;

1.2. la Corte d’appello di Brescia ha rigettato il reclamo, osservando come dalla relazione ex art. 33 L. fall. non fossero emersi elementi di riscontro della presenza di ricavi inferiori alla soglia di duecentomila Euro, la cui prova doveva desumersi solo dalle dichiarazioni fiscali della reclamante, le quali però risultavano intrinsecamente inattendibili, sia per la prossimità alla predetta soglia massima, sia per l’esiguità del margine tra costi e ricavi segnalata dal creditore istante;

1.3. nell’impossibilità di riconoscere valore probatorio intrinseco alla indicazione dei ricavi contenuta nelle dichiarazioni dei redditi, la corte territoriale ha applicato il principio dell’onere della prova facendo gravare sulla reclamante la persistente incertezza sul requisito in esame;

2. la Cacia ha impugnato detta decisione con ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui la Irene s.r.l. ha resistito con controricorso, corredato da memoria, mentre il Fallimento non ha svolto difese.

Motivi della decisione

Che:

3. il primo motivo denuncia violazione/falsa applicazione dell’art. 1 L. fall., comma 2, lett. b), in relazione all’art. 2709 c.c., in relazione al principio di inscindibilità delle scritture contabili;

3.1. la censura e infondata;

3.2. per un verso è pacifico che l’onere della prova circa i requisiti dimensionali di attivo patrimoniale, ricavi e debiti, ex art. 1 L. fall., comma 2, gravi sul debitore fallito; per altro verso il principio di inscindibilità del contenuto delle scritture contabili, ex art. 2709 c.c., riguarda la parte che dalle scritture contabili medesime intenda trarre vantaggio (Cass. 26874/2018) e, soprattutto, non preclude la contestazione di inattendibilità di singoli aspetti, come è stato nel caso di specie con riguardo ai ricavi annui risultanti dal Modello Unico, per l’esiguità del margine tra i costi delle materie prime e i ricavi dichiarati fiscalmente;

4. il secondo mezzo denuncia l’omesso esame di un punto decisivo della controversia sotto un duplice profilo: a) il valore probatorio delle scritture contabili (Modello unico, conto economico, libro cespiti); b) la mancata contestazione dei fatti dedotti;

4.1. il motivo è infondato sotto entrambi i profili;

4.2. quanto al primo, i bilanci degli ultimi tre esercizi costituiscono (se obbligatori) la base documentale imprescindibile, ma non anche una prova legale, sicchè, ove ritenuti motivatamente inattendibili dal giudice (nel caso di specie anche attraverso la relazione ex art. 33 L. fall.), l’imprenditore rimane onerato della prova dei requisiti di non fallibilità (Cass. 24548/201614790/2014); le scritture contabili del debitore sono invero soggette a valutazione giudiziale secondo il prudente apprezzamento del giudice del merito ex art. 116 c.p.c. (Cass. 30516/2018205/2020), che può utilizzare a tal fine anche i rilievi contenuti nella relazione ex art. 33 L. fall. (Cass. 11007/2012); del resto, ove ritenute inattendibili, il debitore può assolvere l’onere della prova avvalendosi di qualunque altro documento, anche formato da terzi (Cass. 24138/2019 25025/202021188/2021);

4.3. quanto al secondo, è sufficiente rilevare che la contestazione c’è stata da parte della creditrice istante e che la contumacia del curatore non implica non contestazione;

5. segue la condanna alle spese, liquidate in dispositivo; ricorrono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, (Cass. Sez. U, 4315/2020).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 200,00 ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 1 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2022

Allegati

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