• Home
  • >
  • Cassazione civile sez. VI, 09/05/2017, n. 11375

Cassazione civile sez. VI, 09/05/2017, n. 11375

Massima

In tema di impugnazione di delibere assembleari condominiali, la legittimazione spetta esclusivamente al condomino assente, dissenziente o astenuto. Su quest’ultimo incombe l’onere di provare il proprio dissenso o astensione rispetto alla deliberazione impugnata. Il verbale di un’assemblea condominiale, pur avendo natura di scrittura privata e potendo la sua veridicità essere contestata con ogni mezzo di prova, è assistito da una presunzione di verità del suo contenuto (es. l’approvazione della delibera senza dissensi). L’onere di sovvertire tale presunzione di verità ricade sul condomino impugnante, e a tal fine non è sufficiente la mera allegazione dell’assenza di votazione, né l’invocazione dell’omesso esame di un elemento istruttorio (come una registrazione audio) che non attesti inequivocabilmente l’espressione di un dissenso preventivo.

Supporto alla lettura

Condominio

1.La natura giuridica del Condominio.

Quella della natura giuridica del condominio è una questione che ha fatto sorgere numerosi contrasti in dottrina e in giurisprudenza. La giurisprudenza di legittimità si è più volte espressa sostenendo che il condominio non può considerarsi un soggetto giuridico distinto dai singoli condomini che lo compongono. Secondo la giurisprudenza di legittimità, il condominio è un ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi partecipanti.
In questo contesto dottrina e giurisprudenza hanno elaborato diverse teorie alle volte in contraddittorio tra loro. S’è detto che il condominio è:
a) un ente di gestione sprovvisto di personalità giuridica e autonomia patrimoniale distinta da quella dei suoi partecipanti (Cass n. 7891/2000);
b) un centro d’imputazione d’interessi distinto dai singoli partecipanti (Cass. 19 marzo 2009, n. 6665);
c) una organizzazione pluralistica (Cass. SS.UU. n. 9148/08).
La legge di riforma n. 220/2012 non ha preso posizione sul problema ma, come evidenziato dalle Sezioni unite della Suprema corte nella sentenza n. 19663/2014, ha introdotto una serie di disposizioni che sembrerebbero confermare la tendenza alla progressiva configurabilità “di una sia pur attenuata personalità giuridica”. In merito si rimanda all’ammissione della pignorabilità da parte dei fornitori del conto corrente condominiale, nonostante il nuovo disposto dell’art. 63 disp. att. c.c. sulla responsabilità dei singoli condomini per le obbligazioni comuni. Ma con la sentenza n. 10934/2019, le medesime Sezioni unite hanno escluso che il condominio possa configurarsi come un autonomo soggetto di diritto.

2. Condominio consumatore

È utile ricordare che ai sensi dell’art. 3 del codice del consumo (d.lgs n. 206/2005), consumatore o utente è “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta” (art. 3 lett. a) Codice del consumo), mentre il professionista è “la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario” (art. 3 lett. c) Codice del consumo).

L’orientamento che si è finora delineato, sia di merito che di legittimità, ha valorizzato in via pressoché esclusiva l’assunto secondo il quale, essendo il condominio ente di gestione privo di personalità giuridica, «l’amministratore agisce quale mandatario con rappresentanza dei vari condomini, i quali devono essere considerati consumatori in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale» (Cassazione, sentenze 10679/2015 e 452/2005). Di recente il tribunale di Milano, con ordinanza sospensiva del giudizio, ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la seguente questione pregiudiziale: “Se la nozione di consumatore quale accolta dalla direttiva 93/13/CEE osti alla qualificazione come consumatore di un soggetto (quale il condominio nell’ordinamento italiano) che non sia riconducibile alla nozione di “persona fisica” e di “persona giuridica”, allorquando tale soggetto concluda un contratto per scopi estranei all’attività professionale e versi in una situazione di inferiorità nei confronti del professionista sia quanto al potere di trattativa, sia quanto al potere di informazione …” (Trib. Milano, ord. 1 aprile 2019).

La corte di Giustizia si è pronunciata affermato che il Condominio è consumatore “L’articolo 1, paragrafo 1, e l’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una giurisprudenza nazionale che interpreti la normativa di recepimento della medesima direttiva nel diritto interno in modo che le norme a tutela dei consumatori che essa contiene siano applicabili anche a un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico quale il condominio nell’ordinamento italiano, anche se un simile soggetto giuridico non rientra nell’ambito di applicazione della suddetta direttiva” (Corte giustizia UE , 02 aprile 2020, n.329, sez. I).

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La ricorrente (omissis) s.r.l. impugna, articolando due motivi di ricorso, la sentenza del 9 ottobre 2014 resa dal Tribunale di Tempio Pausania, conseguente ad impugnativa di deliberazione assembleare del 5 agosto 2013 adottata dal Condominio (omissis). La sentenza del Tribunale era stata già impugnata davanti alla Corte d’Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, che, con ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., depositata il 12 giugno 2015, aveva dichiarato inammissibile l’appello. Il ricorso per cassazione è stato proposto il 14 settembre 2015.

La ricorrente col primo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1136 e 1137 c.c., con riguardo al punto della sentenza del Tribunale che aveva ritenuto implicita l’approvazione all’unanimità della delibera, spettando a chi impugna la stessa di provare, in via documentale, di aver espresso voto contrario. Aggiunge la ricorrente che “votazione non vi è stata”. Il secondo motivo di ricorso allega l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio con riguardo all’ascolto del CD contenente la registrazione audio della riunione assembleare del 5 agosto 2013, decisivo per dimostrare la mancanza di votazione sui punti 6, 10 e 13 all’ordine del giorno.

Ritenuto che il ricorso proposto dalla (omissis) s.r.l. potesse essere dichiarato manifestamente infondato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Il controricorrente ha presentato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.

La sentenza del Tribunale di Tempio Pausania aveva affermato che dal verbale dell’assemblea del 5 agosto 2013 risultasse che la società (omissis) fosse presente all’adunanza, che l’assemblea avesse approvato i punti all’ordine del giorno in contestazione e che non risultasse l’espressione di voto contrario da parte della stessa attrice, condizione di legittimazione all’impugnazione ex art. 1137 c.c..

La ricorrente non si confronta nei due motivi di ricorso con tali plurime “rationes decidendi” adottate dal Tribunale, e prova a sollecitare in sede di legittimità un terzo grado del giudizio tramite il quale far valere le erroneità della ricostruzione fattuale operata dal primo giudice. L’interpretazione della deliberazione assembleare di un condominio edilizio costituisce, però, un accertamento di fatto istituzionalmente riservato al giudice di merito e le censure dei ricorrenti al riguardo si limitano ad una mera prospettazione di un risultato interpretativo diverso da quello accolto nella sentenza. Peraltro, il testo della delibera impugnata non è trascritto nei motivi di ricorso, come prescrive l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

L’art. 1137 c.c., comma 2, ammette, del resto, l’impugnazione della delibera assembleare soltanto da parte dell’assente, del dissenziente e dell’astenuto; pertanto, il condomino presente che abbia partecipato all’assemblea non può impugnare la deliberazione, se non è dissenziente (o non si sia astenuto) proprio in ordine alla deliberazione che impugna. Il dissenso dell’impugnante rispetto alla deliberazione deve essere provato ed incombe sullo stesso l’onere della relativa prova (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3060 del 05/09/1969; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1079 del 16/04/1973). Il verbale di un’assemblea condominiale ha natura di scrittura privata, sicchè il valore di prova legale del verbale di assemblea condominiale, munito di sottoscrizione del presidente e del segretario, è limitato alla provenienza delle dichiarazioni dai sottoscrittori e non si estende al contenuto della scrittura, e, per impugnare la veridicità di quanto risulta dal verbale, non occorre che sia proposta querela di falso, potendosi, invece, far ricorso ad ogni mezzo di prova (arg. da Cass. Sez. 2, Sentenza n. 747 del 15/03/1973). Incombe, tuttavia, sul condomino che impugni la delibera assembleare l’onere di sovvertire la presunzione di verità di quanto risulta dal relativo verbale (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23903 del 23/11/2016). La ricorrente non fa riferimento in ricorso ad alcuna sua specifica deduzione istruttoria volta a sovvertire la risultanza del verbale che riportava l’approvazione senza dissensi della delibera. Col secondo motivo, si allega soltanto l’omesso esame non di un fatto storico, ma di un elemento istruttorio (il CD rom audio della riunione), peraltro prospettandone una valenza non decisiva, in quanto da esso si trarrebbe pur sempre che non vi fu “votazione”, il che contrasta col dato documentale che registrava l’approvazione della delibera, e comunque non varrebbe a giustificare la mancata espressione sia pur soltanto di un dissenso preventivo nell’ambito delle discussioni preliminari da parte del rappresentante in assemblea della Beni Stabili Due s.r.l..

Il ricorso va perciò rigettato e le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228art. 1, comma 17, che ha aggiunto l’art. 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5,200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta – 2 Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2017

Allegati

    [pmb_print_buttons]

    Accedi