Svolgimento del processo
1. L’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Pisa, in data 27 dicembre 2011, notificava a (omissis) avviso di accertamento n. (OMISSIS)/2011, con il quale veniva determinato un maggior reddito per l’anno d’imposta 2006, per l’omessa dichiarazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi, relativamente a investimenti all’estero o attività di natura finanziaria detenute all’estero.
Tale atto veniva emesso a seguito a seguito di attività di verifica effettuata dalla Guardia di Finanza, che a sua volta traeva origine dalle informazioni riguardanti il contribuente acquisite presso l’amministrazione fiscale francese mediante i canali di collaborazione informativa internazionale previsti dalla Direttive 77/799/CEE del Consiglio del 19 dicembre 1977 e dalla convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Francia, stipulata il 5 ottobre 1989 e ratificata in Italia con la legge 7 gennaio 1992, n. 20, sulla base di una lista di persone fisiche (c.d. lista (Omissis), giunta in possesso delle autorità italiane) detentrici di disponibilità finanziarie presso la Banca (omissis) di Ginevra per gli anni 2006-2007.
Nell’ambito di tali indagini, veniva accertata la disponibilità, da parte dell’odierno ricorrente (omissis) – che era risultato intestatario di conti correnti presso la Banca (omissis) di Ginevra – della somma di Euro 1.975.785,37; tale somma, in assenza di indicazione alcuna sulla fonte di produzione di tali redditi, è stata imputata alla categoria dei redditi di capitale, con conseguente ricalcolo dell’imposta IRPEF in Euro 848.374,00, oltre addizionali, interessi e sanzioni.
2. L’avviso di accertamento in questione veniva impugnato dal contribuente dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Pisa la quale, con sentenza n. 667/02/2014, depositata in data 19 novembre 2014, lo rigettava, con condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di lite.
3. Interposto gravame dal contribuente, la Commissione Tributaria Regionale della Toscana, con sentenza n. 135/01/2016, pronunciata il 14 dicembre 2015 e depositata in segreteria il 1 febbraio 2016, rigettava l’appello, confermando la sentenza di primo grado e condannando il (omissis) alla rifusione delle spese di lite.
4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione (omissis), sulla base di quattro motivi (ricorso notificato il 17 maggio 2016).
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Il Ministero dell’Economia e Finanze è rimasto intimato.
5. Con decreto del 22 maggio 2024 è stata quindi fissata la discussione del ricorso dinanzi a questa sezione per l’adunanza in camera di consiglio del 13 settembre 2024, ai sensi degli artt. 375, comma 2, e 380-bis.1 c.p.c.
L’Agenzia delle Entrate controricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo di ricorso (omissis) eccepisce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 5), c.p.c.
Deduce, in particolare, il ricorrente che la C.T.R. aveva omesso di accertare l’esistenza, la veridicità e la completezza della documentazione che aveva dato origine alla verifica fiscale, di cui lo stesso ricorrente aveva contestato in giudizio la indeterminabilità della provenienza e la insuscettibilità di essere utilizzata quale prova documentale.
1.2. Con il secondo motivo il ricorrente eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 2727 c.c. e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Assume, in particolare, il ricorrente che l’esistenza dei conti a lui riferiti e della c.d. Lista (Omissis) non avrebbe potuto essere considerata un fatto noto al fine dell’applicazione delle presunzioni in tal senso, non risultando garantito, al riguardo, il giusto processo in assenza di contraddittorio con il contribuente.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 2, del D.L. 1 luglio 2009, n. 78, conv. dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Rileva, in particolare, che la corte territoriale aveva errato nell’applicare retroattivamente la presunzione prevista dalla norma suddetta, introdotta a decorrere dal 1 luglio 2009, secondo la quale gli investimenti e le attività finanziarie detenute in paesi c.d. black list di cui ai DD.MM. 4 maggio 1999 e 21 novembre 2001, in violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale, si presumono costituiti, ai soli fini fiscali, mediante redditi sottratti a tassazione.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso, infine, il ricorrente eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 1, dell’accordo tra la Confederazione elvetica e la Comunità Europea, che stabilisce misure equivalenti a quelle definitive della Direttiva del Consiglio 2003/48/CE, firmato il 26 ottobre 2004, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), cod. proc. civ.
Deduce, in particolare, il A.A. che l’asserita attribuzione a lui dell’esclusiva titolarità, quale beneficial owner, dei due profili “(Omissis)” e “(Omissis)” era in contrasto con l’accordo suindicato tra Confederazione elvetica ed UE, ed in particolare con l’art. 4 cit., che indicava come beneficial owner solo il percettore degli interessi.
2. Così delineati i motivi di ricorso, la Corte osserva quanto segue.
2.1. Il primo motivo è inammissibile.
Ed invero, va innanzitutto osservato che, trattandosi di motivo declinato come omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio, essendosi in presenza di una c.d. “doppia conforme”, avendo la corte regionale confermato, per le medesime ragioni, la sentenza di primo grado, il ricorso per cassazione non può essere proposto per l’ipotesi prevista dall’art. 360, comma 1, num. 5), c.p.c. (art. 348-ter, comma 4, cod. proc. civ., applicabile ratione temporis).
In secondo luogo, va rilevato che, con il motivo in questione, il ricorrente lamenta sostanzialmente l’inutilizzabilità della documentazione considerata quale prova dall’Ufficio, ma non indica specificamente un fatto storico o atto del quale la C.T.R. non avrebbe tenuto conto ai fini del giudizio, sebbene rilevante a tali fini. Anche sotto questo profilo, pertanto, il motivo deve ritenersi inammissibile.
2.2. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi.
In primo luogo, il secondo motivo deve reputarsi inammissibile, in quanto la difesa del Sig. (omissis) non ha sollevato, nel giudizio tributario di merito, alcuna questione relativa alla pretesa violazione del principio del contraddittorio pre-accertativo, essendosi limitata, nel ricorso tributario di primo grado, soltanto a contestare la valenza presuntiva e probatoria della “Lista (Omissis)”, e la sua inattitudine a fondare l’accertamento in contestazione.
In ogni caso, con riferimento al secondo ed il terzo motivo, essi sono comunque infondati.
Il tema riguardante la disciplina delle presunzioni nell’ambito delle disposizioni relative al monitoraggio fiscale, da tempo dibattuto sia in dottrina che in giurisprudenza, ha trovato oramai composizione nell’indirizzo nomofilattico della giurisprudenza di questa Corte (v. le ordinanze “gemelle” del 28 aprile 2015 nn. 8605 e 8606, nonché l’ordinanza n. 9670 del 13 maggio 2015 e le sentenze del 19 agosto 2015 nn. 16950 e 16951, queste ultime tre non massimate), che ha ammesso l’utilizzabilità probatoria delle informazioni contenute nella c.d. lista “(Omissis)” (così detta dal nome di (omissis), l’ingegnere informatico italo-francese, fuggito da Ginevra nel dicembre 2008 con l’intero archivio informatico della (omissis). Dopo le cc.dd. ordinanze gemelle sulla lista (Omissis) la giurisprudenza sezionale ha approfondito, rivisitato e calibrato la materia in base alla peculiarità delle tre liste ((Omissis), (Omissis) e (Omissis)), formulando principi di diritto di carattere generale, estensibili a ciascuna di esse (cfr., ex multis, Cass. 28 febbraio 2022, n. 6509; Cass. 19 dicembre 2019, n. 33893; Cass. 5 dicembre 2019, n. 31779).
Per quel che qui interessa (Lista (Omissis)), l’efficacia probatoria degli elementi evidenziati dalle schede clienti (fiche) della banca (omissis) di (omissis), intestate all’odierno ricorrente, è stata ricavata dalla disciplina in tema di presunzioni, evidenziandosi come, in tesi generale, il diritto interno, sia in materia di imposte dirette che di IVA, consente l’ingresso nell’accertamento fiscale, prima, e nel processo tributario, poi, di elementi comunque acquisiti e, dunque, anche di prove atipiche ovvero di dati acquisiti in forme diverse da quelle regolamentate, secondo i canoni propri della prova per presunzioni (“Riguardo alla prova dei fatti giuridici la dottrina civilistica ha tempo chiarito che “un dato incontestabile è che tali elementi non sono predeterminati né predeterminabili dalla legge, poiché qualunque cosa, documento o dichiarazione può costituire la base per una inferenza presuntiva idonea a produrre conclusioni probatorie circa i fatti della causa.
Si può dunque ravvisare nella categoria delle presunzioni semplici (salvo i limiti di cui all’art. 2729 c.c.), la via attraverso la quale le prove atipiche posso entrate nel processo civile”” cfr., in motivazione, la sentenza 26 agosto 2015, n. 17183, sulla lista cd. (Omissis)).
Si giunge, dunque, a ravvisare nella categoria delle presunzioni semplici la via attraverso cui le prove atipiche possono entrare nel processo, i cui requisiti caratteristici, se non possono essere stabiliti a priori, essendo ad essi immanenti la valutazione del caso concreto, si ritrovano nella gravità, precisione e concordanza, requisiti che se sussistenti, attribuiscono all’indizio pieno valore probatorio (v. Cass. 13 maggio 2015 n. 9760, in tema di Lista (Omissis)). In tale ambito, la scorretta valutazione degli elementi medesimi, in quanto operata senza il rispetto dei criteri di legge, non integra un giudizio di fatto, ma una vera e propria valutazione in diritto soggetta al controllo di legittimità (Cass. 13 ottobre 2005 n. 19894).
Si pone, dunque, un punto fermo secondo cui la valutazione dell’intero compendio logico e circostanziale offerto dall’Agenzia delle Entrate ed il ragionamento inferenziale che ne consegue, consente senz’altro di affermare che i nomi dei soggetti sottoposti ad accertamento non siano finiti “accidentalmente” nella lista (Omissis), in quanto il materiale indiziario rivenuto col sequestro dell’archivio informatico sequestrato ha valore indiziario forte per configurare l’ipotesi elusiva del trasferimento all’estero di capitali italiani scudati, salvo l’eventualità di elementi di controprova che sconfessino quegli stessi elementi.
Per questa via “diviene legittima l’utilizzazione di qualsiasi elemento con valore indiziario, anche acquisito in modo irrituale, ad eccezione di quelli la cui inutilizzabilità discende da specifica previsione di legge e salvi i casi in cui venga in considerazione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale. Ne consegue che sono utilizzabili ai fini della pretesa fiscale, nel contraddittorio con il contribuente, i dati bancari trasmessi dall’autorità finanziaria francese a quella italiana, ai sensi della direttiva 77/799/CEE, senza onere di preventiva verifica da parte dell’autorità destinataria, sebbene acquisiti con modalità illecite ed in violazione del diritto alla riservatezza bancaria” (così Cass. 5 dicembre 2019, n. 31779, in materia di lista (Omissis)).
Peraltro, deve ribadirsi il principio secondo cui la prova della esistenza di redditi non dichiarati dal contribuente, detenuti in maniera occulta in Paesi c.d. black list, può essere fornita non solo mediante la presunzione legale ex art. 12, comma 2, del D.L. n. 78/2009, convertito con modificazioni dalla legge n. 102/2009 (non applicabile ratione temporis alla fattispecie), ma anche per mezzo di un’unica presunzione semplice, purché grave e precisa.
Gli elementi di prova in tema di presunzioni semplici non devono, pertanto, essere necessariamente molteplici, in quanto il giudice può fondare il suo convincimento anche su un solo elemento, purché, per l’appunto, sia grave e preciso (e, quindi, dotato di elevata valenza indiziaria fortemente probabilistica) e tanto proprio in relazione al requisito della concordanza che assume rilievo solamente in presenza di più elementi presuntivi (ex multis, Cass. 27 maggio 2021, n. 14834; Cass. 14 novembre 2019, nn. 29632-29633; Cass. 26 settembre 2018, n. 23153; Cass. 12 febbraio 2018, n. 3276; Cass. 22 dicembre 2017, n. 30803).
Per questa via è da considerare legittima l’utilizzazione della scheda cliente riepilogante gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute dalla ricorrente presso la Banca svizzera, trasmessa dall’autorità finanziaria francese a quella italiana, ai sensi della direttiva 77/799/CEE, senza onere di preventiva verifica da parte dell’autorità destinataria, in quanto formante elemento (unico) indiziario forte, tenuto conto altresì del fatto che, come accertato dalla C.T.R., i dati relativi ai contribuenti sono “specifici e completi”, anche con riferimento alle vicende dei conti correnti in questione, e quindi una molteplicità di elementi gravi, precisi e concordanti nel senso della riferibilità delle risultanze di tale scheda all’odierno ricorrente (cfr., da ultimo, Cass. 9 luglio 2024, n. 18785).
2.3. Anche il quarto motivo è infondato.
Secondo Cass. 19 luglio 2023, n. 21286, deve ritenersi che “in ambito Ocse, il concetto di beneficiario effettivo è comparso per la prima volta nel Modello di convenzione del 1977, negli artt. 10 e 11, rispettivamente dedicati al regime di tassazione di dividendi ed interessi”, ritenendo che “la clausola del beneficiario effettivo si può quindi qualificare come una clausola generale dell’ordinamento fiscale internazionale, volta ad impedire che i soggetti possano abusare dei trattati fiscali attraverso pratiche di treaty shopping con lo scopo di far godere della protezione convenzionale contribuenti che, altrimenti, non ne avrebbero avuto diritto o che avrebbero subito un trattamento fiscale, comunque, meno favorevole (Cass. 19/12/2018, n. 32840; Cass. 28/12/2016, n. 27116; Cass. 16/12/2015, n. 25281)”
(in precedenza, in argomento e più diffusamente, cfr. anche Cass. 8 marzo 2023, n. 6975, nonché Cass. 3 febbraio 2022, n. 3380).
3. Consegue il rigetto del ricorso.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza del ricorrente, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Nulla per le spese nei confronti del Ministero dell’Economia e Finanze.
Ricorrono i presupposti processuali per dichiarare il ricorrente tenuto al pagamento di un importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in Euro 14.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per dichiarare il ricorrente tenuto al pagamento di un importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 13 settembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2024.