Svolgimento del processo
1. L’Agenzia delle Entrate notificò a (omissis), anagraficamente residente nel (omissis), paese a fiscalità privilegiata, l’avviso di accertamento, emesso ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. 600 del 1973, relativo al periodo di imposta 2007, con il quale accertava il maggior reddito (costituito in parte da redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente ed in parte da redditi diversi), fondato su processo verbale di constatazione con il quale la Guardia di Finanza aveva verificato, per il periodo 2006 – 2010, che il contribuente aveva mantenuto sul territorio nazionale il centro dei propri interessi vitali.
Il ricorso proposto dal contribuente venne accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Roma.
Proposto appello dall’Ufficio, la Commissione tributaria Regionale del Lazio, con la sentenza di cui all’epigrafe, lo ha rigettato.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Ufficio, affidandolo a tre motivi.
Gli eredi del defunto contribuente, già parti del giudizio d’appello, sono rimasti intimati.
Il Sostituto Procuratore Generale dott. (omissis), con requisitoria scritta, ha chiesto rigettarsi il ricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce “Violazione ed erronea applicazione dell’articolo 2 commi 2 e 2-bis del TUIR, nonché dell’articolo 2697 c.c., ex art. 360 n. 3 c.p.c.”.
Il motivo è ammissibile e fondato.
La materia controversa, attinta dal primo mezzo di impugnazione, attiene alla residenza nello Stato delle persone fisiche, rilevante al fine di individuare i soggetti passivi dell’imposta nazionale, disciplinata dall’art. 2 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, applicabile ratione temporis.
Negli anni oggetto del p.v.c. e dell’accertamento, il P, nel quale il contribuente era emigrato dopo essersi cancellato dalle anagrafi della popolazione residente, era considerato Stato avente un regime fiscale privilegiato, individuato come tale dal relativo decreto del Ministro delle finanze, quindi incluso nella c.d. black list (o comunque non incluso nella c.d. white list di cui all’inattuata modifica dell’art. 2, comma 2-bis, D.P.R. n. 917 del 1986, ad opera della legge 24 dicembre 2007, n. 244). Pertanto, a norma dell’ art. 2, comma 2-bis, D.P.R. n. 917 del 1986, la persistente residenza nel territorio nazionale del contribuente era oggetto di presunzione legale relativa, che trasferiva al medesimo l’onere di provare l’insussistenza di alcuno dei criteri di collegamento dettati dal comma 2 della stessa disposizione, ovvero, nel caso di specie, che nell’anno qui controverso egli non avesse avuto nel territorio dello Stato “il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile”, ma risiedesse effettivamente nello Stato nel quale era emigrato (sulla presunzione legale relativa di cui all’art. 2, comma 2-bis e sul conseguente onere della prova contraria a carico del contribuente, ex plurimis, Cass. 20/07/2018, n. 19410; Cass. 31/03/2015, n. 6501; Cass. 01/07/2021, n. 18702, relativa proprio al P).
1.1. È bene peraltro precisare, al fine di determinare ulteriormente il quadro normativo di riferimento, che alla fattispecie in decisione non si applica la novella del ridetto art. 2 D.P.R. n. 917 del 1986 operata dal recente art. 1 D.Lgs. 27 dicembre 2023, n. 209, attuativo dell’art. 3, comma 1, lett. c), della legge delega al Governo per la riforma fiscale del 9 agosto 2023, n. 111. Pertanto, non disciplina la fattispecie concreta controversa il nuovo comma 2 dell’art. 2 D.P.R. n. 917 del 1986, il quale ora statuisce che ” Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno la residenza ai sensi del codice civile o il domicilio nel territorio dello Stato ovvero sono ivi presenti. Ai fini dell’applicazione della presente disposizione, per domicilio si intende il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona. Salvo prova contraria, si presumono altresì residenti le persone iscritte per la maggior parte del periodo di imposta nelle anagrafi della popolazione residente.”.
Infatti, l’art. 7, comma 1, D.Lgs. n. 209 del 2023, stabilisce che le disposizioni di cui all’articolo 1 si applicano a decorrere dal 1 gennaio 2024. In assenza di indici relativi alla qualità di norma di interpretazione autentica della relativa disposizione (qualità del resto non compatibile con la specifica disposizione intertemporale dettata dal legislatore) e considerata la natura sostanziale della novella – che incide sulle condizioni fattuali che determinano la soggettività passiva rispetto all’imposizione e sull’onere della relativa prova- tale ultima norma deve essere interpretata nel senso che la nuova disciplina si applica pertanto a fattispecie sostanziali che si siano verificate dal 1 gennaio 2024, e non anche a quelle formatesi precedentemente, neanche ove queste ultime siano accertate dall’Ufficio o trattate in giudizio successivamente a tale data.
Tanto vale in particolare, nel caso di specie, per quanto riguarda il concetto di “domicilio”, atteso che prima della modifica apportata dall’art. 1 D.Lgs. 27 dicembre 2023, n. 209, l’art. 2, comma 2, D.P.R. n. 917 del 1986 mutuava espressamente i concetti di “residenza” e “domicilio” dal codice civile (” (…) hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile.”), mentre ora limita tale rinvio alla sola “residenza”, fornendo nel contempo un’autonoma definizione del “domicilio”.
Concludendo sul punto, deve pertanto chiarirsi che ” In materia di soggetti passivi dell’imposta, ed ai fini dell’accertamento della residenza delle persone fisiche nel territorio dello Stato, la determinazione della residenza e del domicilio secondo i criteri di cui all’art. 2, co. 2, D.P.R. n. 917 del 1986, così come novellato dall’art. 1 D.Lgs. n. 209 del 2023, si applica alle fattispecie concrete verificatesi a far data dall’ 1 gennaio 2024, considerata la disposizione intertemporale di cui all’art. 7, co. 1, D.Lgs. n. 209 del 2023 ed attesa la natura sostanziale della stessa modifica normativa”.
1.2. Tanto premesso, nel caso di specie la CTR, come ha denunziato la ricorrente, ha errato in diritto per aver ignorato la presunzione legale relativa de qua, e quindi l’inversione dell’onere della prova che essa genera a carico del contribuente e, di conseguenza, degli eredi di quest’ultimo.
La violazione, da parte del giudice d’appello, degli artt. 2, comma 2-bis, D.P.R. n. 917 del 1986 e 2697 cod. civ.) è resa palese innanzitutto dall’esplicita menzione, nella sentenza impugnata, del solo comma 2 del ridetto art. 2, quale norma sulla quale si fonda la ratio decidendi.
Inoltre, a conferma che il giudice a quo non è incorso in un mero refuso o in una mera omissione nell’indicazione della norma applicata, milita soprattutto la circostanza che, nell’esprimere il criterio con il quale la CTR ha valutato le difese delle parti ed i relativi apporti istruttori, la sentenza impugnata afferma che correttamente la sentenza di primo grado “ha ritenuto insufficienti le circostanze addotte dall’Agenzia delle Entrate a dimostrare la prevalenza della sede degli interessi del (omissis) in Italia e, in sostanza, una resistenza solo di comodo nel (omissis), aggiungendo poi che “non risulta sufficientemente dimostrata la tesi dell’Agenzia delle Entrate del mantenimento in Italia dei prevalenti interessi del (omissis)“.
È quindi palese che la ratio decidendi espressa dalla CTR imputa all’Agenzia l’ “insufficiente” prova del medesimo fatto (la persistente residenza in Italia del contribuente emigrato nel P) che invece l’art. 2,comma 2-bis, D.P.R. n. 917 del 1986, impone di considerare noto, fino a prova contraria.
L’inversione dell’onere probatorio che è conseguita a tale errore di diritto ha necessariamente compromesso l’apprezzamento nel merito delle risultanze istruttorie del giudizio, che il giudice a quo ha traguardato da una prospettiva inversa rispetto a quella imposta dalla legge.
All’accoglimento del motivo consegue pertanto la cassazione con rinvio della sentenza impugnata.
2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce “Omessa motivazione su un fatto oggetto di discussione e decisivo ex art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c.”, lamentando che la CTR non abbia considerato una serie di fatti rilevanti al fine di accertare la sussistenza in Italia di interessi patrimoniali rilevanti del contribuente.
Il motivo, attingendo la motivazione della sentenza impugnata in ordine alla verifica dell’adempimento del rispettivo onere probatorio delle parti, rimane assorbito dall’accoglimento del primo.
Con il terzo motivo di ricorso, la ricorrente deduce ” “Nullità per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. , in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.”, censurando la sentenza impugnata per non aver adottato alcuna pronuncia sulla questione del recupero della somma di Euro 3.665,59 come redditi diversi, ex 67 del D.P.R. n. 917/86, in relazione alle operazioni di accredito non documentate risultanti dalle indagini finanziarie, eseguite sui conti correnti del contribuente, che era stata riproposta dall’ufficio con un apposito motivo di appello.
Il motivo è infondato.
Infatti, nella prospettiva della decisione impugnata, che ha (erroneamente, per quanto detto a proposito del primo motivo) confermato che il contribuente non era residente in Italia nell’anno d’imposta controverso, escludendone pertanto la capacità impositiva passiva, la pronuncia sul merito della singola pretesa impositiva è rimasta assorbita dal rigetto del motivo d’appello erariale che sosteneva, invece, la legittimazione passiva dello stesso contribuente. Pertanto, non vi è stata ne l’omessa pronuncia denunziata, né un rigetto implicito della relativa eccezione nel merito (che la CTR non ha apprezzato, né doveva apprezzare), ma solo un implicito assorbimento, che non preclude in ogni caso la riproposizione e la trattazione della relativa questione in sede di rinvio, ove potrà essere decisa qualora venga accertata a monte la residenza in Italia del contribuente.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso e, rigettato il terzo e dichiarato assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, cui demanda di provvedere anche sulle spese di legittimità.
Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 luglio 2024.
Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2024.