Massima

In sede di ricorso per Cassazione promosso dall’Agenzia delle entrate (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avverso una sentenza della Commissione Tributaria Regionale che abbia annullato le sanzioni per l’omessa compilazione del quadro RW, l’accoglimento del ricorso per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (segnatamente, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8 e la L. n. 212 del 2000, art. 10, in tema di incertezza normativa) è legittimo qualora il giudice di merito abbia erroneamente qualificato la violazione come meramente formale e abbia applicato l’esimente dell’incertezza normativa basandosi su aspetti irrilevanti o generici, quali la buona fede del contribuente o un dibattito sulla difficile interpretazione.

Supporto alla lettura

RICORSO PER CASSAZIONE

Il ricorso per cassazione (artt. 360 e ss. c.p.c.) è un mezzo di impugnazione ordinario che consente di impugnare le sentenze pronunciate in unico grado o in grado d’appello, ma solo per errori di diritto, non essendo possibile dinanzi alla Suprema Corte valutare nuovamente il merito della controversia come in appello. Di solito è ammessa solo la fase rescindente in quanto il giudizio verte sull’accertamento del vizio e sulla sua eventuale cassazione, il giudizio rescissorio spetta al giudice di rinvio. Solo nel caso in cui non dovessero risultare necessari ulteriori accertamenti in cassazione, avvengono entrambi i giudizi.

La sua proposizione avviene nel termine (perentorio) di 60 giorni (c.d. termine breve), è previsto un ulteriore termine (c.d. lungo) che scade 6 mesi dopo la pubblicazione della sentenza.

Per quanto riguarda i motivi di ricorso l’art. 360 c.p.c dispone che le sentenze possono essere impugnate:

  • per motivi attinenti alla giurisdizione,
  • per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza;
  • per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro;
  • per nullità della sentenza o del procedimento;
  • per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Inoltre può essere impugnata con ricorso per cassazione una sentenza appellabile del tribunale se le parti sono d’accordo per omettere l’appello (art. 360, c. 1, n. 3, c.p.c.), mentre non sono immediatamente impugnabili per cassazione le sentenze che decidono di questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio, in questo caso il ricorso può essere proposto senza necessità di riserva quando sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente il giudizio.

Il ricorso per cassazione è inammissibile (art. 360 bis c.p.c) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa, oppure quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo.

A pena di inammissibilità sono previsiti determinati requisiti di forma:

  • la sottoscrizione da parte di un avvocato iscritto in apposito albo e munito di procura speciale;
  • l’indicazione delle parti;
  • l’illustrazione sommaria dei fatti di causa;
  • l’indicazione della procura se conferita con atto separato e dell’eventuale decreto di ammissione al gratuito patrocinio;
  • l’indicazione degli atti processuali, dei contratti o accordi collettivi o dei documenti sui quali si fonda il ricorso;
  • i motivi del ricorso con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano.

Il ricorso va depositato, a pena di improcedibilità, entro 20 giorni dall’ultima notifica fatta alle parti contro le quali è proposto.

Chi intende resistere al ricorso per cassazione può depositare controricorso e deve essere fatto entro 40 giorni dalla notificazione del ricorso, insieme agli atti e ai documenti, e con la procura speciale se conferita con atto separato.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

che:

1. la Commissione tributaria regionale (“C.T.R.”) del Friuli-Venezia Giulia rigettò, con la sentenza menzionata in epigrafe, l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate nei confronti di (omissis) avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale (“C.T.P.”) di Pordenone, che, per quanto ancora rileva, aveva accolto l’impugnazione, da parte della contribuente, dell’atto di irrogazione di sanzioni per omessa compilazione del quadro RW in relazione alla disponibilità di somme accreditate su un conto corrente e su un fondo d’investimento detenuti all’estero, per l’anno d’imposta 2006;

2. secondo la C.T.R., la sanzione di Euro 11.112,27, per omessa compilazione del quadro RW, non era dovuta in ragione della buona fede del contribuente, del carattere formale della violazione che non aveva causato alcun danno all’erario e, infine, per le obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria, attestate dalle produzioni documentali della parte privata, che davano conto del dibattito attinente (cfr. pag. 5 della sentenza qui impugnata) “all’incongruenza delle sanzioni per mancata compilazione del quadro RW e alla difficile interpretazione delle norme relative al D.L. n. 167 del 1990“;

3. l’Agenzia ricorre, con un motivo, per la cassazione di questa sentenza; il contribuente è rimasto intimato.

Motivi della decisione

che:

1. con l’unico motivo di ricorso (“Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992art. 8 e della L. n. 212 del 2000art. 10 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3″), l’Agenzia premette che la sentenza impugnata poggia su due distinte rationes decidendi: primo, la circostanza che la violazione dell’obbligo di presentazione del quadro RW sancito dal D.L. 28 giugno 1990, n. 167art. 4, comma 3, sarebbe un’omissione formale, che non crea alcun danno per l’erario; secondo, l’esistenza di una presunta incertezza normativa circa l’obbligo del contribuente di comunicare gli investimenti o altre attività finanziarie estere, correlata alla buona fede del soggetto obbligato. Inoltre, l’ufficio addebita alla C.T.R. di non avere compreso che la normativa in esame è volta ad assicurare il monitoraggio delle operazioni da e per l’estero, per l’alto rischio di sottrazione di imponibile che esse comportano, sicchè la mancanza di dichiarazione può incidere negativamente sull’attività di pianificazione dei controlli dell’Amministrazione finanziaria, e non va certo derubricata a mera omissione formale, neutra dal punto di vista del danno erariale. D’altra parte, l’Agenzia rileva che l’obbligo di comunicazione di dati, cui il contribuente non ha assolto, è previsto da una disposizione, il D.L. n. 167 del 1990art. 4 che è sempre stata univoca, nelle sue diverse formulazioni, nel delineare il contenuto degli adempimenti e nell’indicare i soggetti obbligati, il che esclude quella condizione di incertezza del quadro normativo erroneamente ravvisata dalla Commissione regionale; il motivo è fondato;

2. quanto alla prima ratio decidendi della sentenza (assenza di danno per l’erario), va riaffermato il principio di diritto per cui la violazione consistente nell’omessa dichiarazione annuale per investimenti e attività di natura finanziaria all’estero, prevista dal D.L. n. 167 del 1990art. 4, comma 2, (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 227 del 1990), sanzionata dal successivo art. 5, comma 5 (nella formulazione temporalmente vigente), risponde all’esclusiva finalità di assicurare, tramite l’obbligo di dichiarazione, appunto, il monitoraggio dei trasferimenti di valuta da e per l’estero, quali manifestazioni di capacità contributiva (in tal senso, tra le altre, Cass. 19/01/2018, n. 1311, consolidata da Cass. 03/12/2020, n. 27662). Nel caso in esame, quindi, la C.T.R., senza cogliere la ratio della norma, nell’univoca accezione precisata da questa Corte, ha erroneamente negato la rilevanza della violazione per omessa presentazione del quadro RW in ragione del ravvisato, ma (per le precedenti considerazioni) insussistente, carattere formale della violazione;

3. quanto alla seconda ratio decidendi della sentenza (oggettive condizioni di incertezza e buona fede del contribuente), va data continuità all’orientamento sezionale (Cass. 13/06/2018, n. 15452; nello stesso senso: Cass. 19/02/2020, n. 4169 – che cita Cass. n. 10314/2019; 24/06/2015, n. 13076; 24/2/2014, n. 4394; 12/2/2014, n. 3113; 28/11/2007, n. 24670 -; Cass. 28/01/2021, n. 1893) secondo cui “In tema di sanzioni amministrative tributarie, l’incertezza normativa oggettiva – che deve essere distinta dalla ignoranza incolpevole del diritto, come si evince dal D.Lgs. n. 472 del 1997art. 6 – è caratterizzata dalla impossibilità di individuare con sicurezza ed univocamente la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile e può essere desunta da alcuni “indici”, quali, ad esempio: (1) la difficoltà di individuazione delle disposizioni normative; (2) la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; (3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; (4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà; (5) l’assenza di una prassi amministrativa o la contraddittorietà delle circolari; (6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali; (7) l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale; (8) il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; (9) il contrasto tra opinioni dottrinali; (10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di una disposizione implicita preesistente”. Quanto al criterio giuridico attraverso cui traguardare gli indici rivelatori (fattuali), questa Corte ha puntualizzato che “In tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, sussiste incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria ai sensi della L. n. 212 del 2000art. 10 e del D.Lgs. n. 546 del 1992art. 8 quando è ravvisabile una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita, non già ad un generico contribuente, nè a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata e neppure all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento a cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione” (Cass. 01/02/2019, n. 3108, in connessione con Cass. 1893/2021, cit.); è stato altresì chiarito (da Cass. n. 4169/2020, cit.) che per incertezza normativa obiettiva deve intendersi la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui, in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sè ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie; l’incertezza normativa oggettiva costituisce una situazione diversa rispetto alla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto come emerge dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472art. 6, che distingue in modo netto le due figure dell’incertezza normativa oggettiva e dell’ignoranza, pur ricollegandovi i medesimi effetti. Nel caso in esame, la C.T.R. non si è attenuta a questi principi di diritto e, in sostanza, ha escluso l’applicazione della sanzione pecuniaria in ragione di aspetti irrilevanti, marginali o generici, come la buona fede del contribuente o l’esistenza di un dibattito sull’incongruenza della sanzione e sulla “difficile interpretazione” del D.L. n. 167 del 1990, senza però soffermarsi, traendone le necessarie conseguenze giuridiche, sulla decisiva considerazione che, invece, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la locuzione normativa, nitida sul piano lessicale, risponde all’esigenza del monitoraggio dei trasferimenti di valuta da e per l’estero, quali manifestazioni di capacità contributiva;

2. in conclusione, accolto il motivo di ricorso, la sentenza è cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatti, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, u.p., con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente, limitatamente alla sanzione sub n. 1 di Euro 11.112,27, posto che, come ha stabilito la C.T.R. (cfr. il dispositivo della sentenza impugnata), nelle more del giudizio di merito è cessata la materia del contendere con riferimento alla sanzione sub n. 2;

3. le spese dei gradi di merito vanno compensate, tra le parti, mentre quelle del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso secondo quanto indicato in motivazione; compensa, tra le parti, le spese dei gradi di merito, e condanna (omissis) a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.300,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2021

Allegati

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