Massima

L’inammissibilità del ricorso per cassazione discende dall’adozione della tecnica di assemblaggio degli atti, la quale, risolvendosi nell’integrale riproduzione di documenti pregressi, maschera i dati rilevanti, precludendo l’autosufficienza e la chiarezza espositiva richieste dall’art. 366 c.p.c., commi 1, nn. 3 e 4, e riversando sul giudice di legittimità un inammissibile onere di indagine, in spregio ai principi del giusto processo.

Supporto alla lettura

RICORSO PER CASSAZIONE

Il ricorso per cassazione (artt. 360 e ss. c.p.c.) è un mezzo di impugnazione ordinario che consente di impugnare le sentenze pronunciate in unico grado o in grado d’appello, ma solo per errori di diritto, non essendo possibile dinanzi alla Suprema Corte valutare nuovamente il merito della controversia come in appello. Di solito è ammessa solo la fase rescindente in quanto il giudizio verte sull’accertamento del vizio e sulla sua eventuale cassazione, il giudizio rescissorio spetta al giudice di rinvio. Solo nel caso in cui non dovessero risultare necessari ulteriori accertamenti in cassazione, avvengono entrambi i giudizi.

La sua proposizione avviene nel termine (perentorio) di 60 giorni (c.d. termine breve), è previsto un ulteriore termine (c.d. lungo) che scade 6 mesi dopo la pubblicazione della sentenza.

Per quanto riguarda i motivi di ricorso l’art. 360 c.p.c dispone che le sentenze possono essere impugnate:

  • per motivi attinenti alla giurisdizione,
  • per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza;
  • per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro;
  • per nullità della sentenza o del procedimento;
  • per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Inoltre può essere impugnata con ricorso per cassazione una sentenza appellabile del tribunale se le parti sono d’accordo per omettere l’appello (art. 360, c. 1, n. 3, c.p.c.), mentre non sono immediatamente impugnabili per cassazione le sentenze che decidono di questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio, in questo caso il ricorso può essere proposto senza necessità di riserva quando sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente il giudizio.

Il ricorso per cassazione è inammissibile (art. 360 bis c.p.c) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa, oppure quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo.

A pena di inammissibilità sono previsiti determinati requisiti di forma:

  • la sottoscrizione da parte di un avvocato iscritto in apposito albo e munito di procura speciale;
  • l’indicazione delle parti;
  • l’illustrazione sommaria dei fatti di causa;
  • l’indicazione della procura se conferita con atto separato e dell’eventuale decreto di ammissione al gratuito patrocinio;
  • l’indicazione degli atti processuali, dei contratti o accordi collettivi o dei documenti sui quali si fonda il ricorso;
  • i motivi del ricorso con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano.

Il ricorso va depositato, a pena di improcedibilità, entro 20 giorni dall’ultima notifica fatta alle parti contro le quali è proposto.

Chi intende resistere al ricorso per cassazione può depositare controricorso e deve essere fatto entro 40 giorni dalla notificazione del ricorso, insieme agli atti e ai documenti, e con la procura speciale se conferita con atto separato.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

che:

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 73/01/12, depositata il 2.07.2012 dalla Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia-Giulia, che, confermando la decisione del giudice di primo grado, annullava l’avviso di accertamento notificato a (omissis) e relativo all’anno d’imposta 2003, con cui era rideterminato il reddito ai fini Irpef nella misura di Euro 241.197,89.

Premetteva che l’atto impositivo scaturiva da una indagine sui conti correnti bancari riferibili al contribuente, da cui emergevano movimentazioni bancarie non risultanti dalle dichiarazioni dei redditi. Riferiva che dall’accertamento era scaturito il contenzioso, esitato in primo grado nella sentenza n. 60/01/11, pronunciata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Gorizia, che aveva accolto il ricorso annullando l’avviso di accertamento. L’appello della Agenzia era stato respinto dalla Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia-Giulia, con la pronuncia ora al vaglio della Corte.

L’Ufficio censura la decisione con unico motivo, dolendosi della insufficiente motivazione circa un fatto decisivo e controverso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ha pertanto chiesto la cassazione della sentenza con ogni consequenziale statuizione.

Si è costituito il contribuente, eccependo l’inammissibilità del ricorso per le modalità del suo confezionamento e nel merito ha contestato la fondatezza del motivo, di cui ha chiesto il rigetto.

Motivi della decisione

che:

Esaminando la sollevata eccezione di inammissibilità del ricorso, essa trova fondamento sotto il profilo del rispetto del contenuto, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè del principio di autosufficienza, trattandosi di atto redatto con la tecnica dell’assemblaggio.

In ordine all’utilizzo di tale tecnica di redazione dell’atto impugnativo, ritenuta motivo di inammissibilità del ricorso per mancato rispetto del contenuto prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, la giurisprudenza di questa Corte ha puntualizzato che l’integrale riproduzione di una serie di documenti si traduce in un mascheramento dei dati effettivamente rilevanti, così risolvendosi in un difetto di autosufficienza sanzionabile con l’inammissibilità. Ciò rende incomprensibile il mezzo processuale, perchè privo di una corretta ed essenziale narrazione dei fatti processuali (ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3,), della sintetica esposizione della soluzione accolta dal giudice di merito, nonchè dell’illustrazione dell’errore da quest’ultimo commesso e delle ragioni che lo facciano considerare tale, addossando in tal modo al giudice di legittimità il compito, ad esso non spettante, di sceverare da una pluralità di elementi quelli rilevanti ai fini del decidere (cfr. Cass., Sez. 6-1, ord. n. 22185/2015; Sez. 6-3, sent. n. 3385/2016). Perchè il difetto di autosufficienza possa ritenersi superato è necessario che il coacervo dei documenti integralmente riprodotti, se facilmente individuabile ed isolabile, possa essere separato ed espunto dall’atto processuale, la cui autosufficienza pertanto, una volta resi conformi al principio di sinteticità il contenuto e le dimensioni globali, dovrà essere valutata in base agli ordinari criteri ed in relazione ai singoli motivi (Cass., Sez. 5, sent. n. 18363 del 2015; ord. n. 12641 del 2017).

Nel caso di specie la dubbia tecnica di redazione del ricorso non solo coinvolge il rispetto delle prescrizioni richieste dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, ma anche di quelle imposte dal n. 4) del medesimo comma, pregiudicando la chiarezza espositiva dell’atto.

Sotto questo ulteriore aspetto la giurisprudenza di legittimità ha affermato che il mancato rispetto del dovere di chiarezza e sinteticità espositiva degli atti processuali – il quale, fissato dal codice del processo amministrativoart. 3, comma 2, esprime tuttavia un principio generale del diritto processuale destinato ad operare anche nel processo civile – espone il ricorrente al rischio di una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, non già per l’irragionevole estensione del ricorso, che non è fattispecie espressamente sanzionata, ma perchè pregiudica l’intelligibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata, ridondando nella violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4, assistite dalla sanzione della inammissibilità (cfr. Cass., sent. n. 21297 del 2016, relativa proprio ad una fattispecie nella quale il ricorso era redatto con motivi che riproponevano stralci di atti processuali e documenti, riversando in sede di legittimità il contenuto dei gradi di merito. Cfr. anche Sez. U, sent. n. 964/2017, in tema di declaratoria d’inammissibilità dell’appello dinanzi al Consiglio di Stato).

Incide cioè sulla ammissibilità del ricorso proprio quella tipologia di redazione dell’atto in cui i motivi di censura siano articolati in un’inestricabile commistione di elementi di fatto, riscontri di risultanze istruttorie, riproduzione di atti e documenti incorporati nel ricorso, argomentazioni delle parti e frammenti di motivazione della sentenza di primo grado, che alla fine, quand’anche con uno sforzo interpretativo sia possibile superare il deficit di chiarezza espositiva, costringono l’organo giudicante ad una estrapolazione della materia del contendere, riservata invece al ricorrente (cfr. Cass., ord. n. 13312/2018).

D’altronde si è condivisibilmente affermato che il mancato rispetto del dovere processuale della chiarezza e della sinteticità espositiva espone il ricorrente per cassazione al rischio di una declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione, in quanto esso collide con l’obiettivo di attribuire maggiore rilevanza allo scopo del processo, che deve essere quello di assicurare una decisione di merito, al fine dell’effettiva tutela del diritto di difesa, sancito dall’art. 24 Cost., nell’ambito del rispetto dei principi del giusto processo di cui all’art. 111 Cost., comma 2 e in coerenza con l’art. 6 CEDU, nonchè per evitare di gravare sia lo Stato che le parti di oneri processuali superflui (Cass., sent. n. 17798/2014).

Nel caso che ci occupa il ricorso, dopo l’intestazione e l’indicazione delle parti nella prima pagina, e dopo le premesse relative alla vicenda, riportate in parte della seconda, da pagina due a pag. venti riproduce esclusivamente stralci degli atti difensivi depositati dalla medesima Amministrazione nei pregressi gradi di giudizio, per poi concludere, a pag. ventuno, che “sarebbe stato onere della CTR prendere espressa posizione sulle molteplici incongruenze rilevate dall’Ufficio ed esplicitare chiaramente per quali ragioni, eventualmente, la documentazione prodotta dal contribuente fosse idonea a superarle”….. “è evidente, infatti, che ove la CTR avesse puntualmente analizzato le argomentazioni difensive dell’Ufficio e gli elementi forniti dal contribuente, avrebbe dovuto concludere per l’inidoneità di questi ultimi a superare la presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973art. 32 e la conseguente legittimità dell’avviso di accertamento impugnato.”.

A ben vedere il ricorso non contiene alcuna specifica critica propositiva nei confronti della sentenza, che peraltro, per mera completezza e a differenza di quanto afferma la difesa della ricorrente, non si limita ad affermazioni apodittiche, ma valuta invece la documentazione prodotta dalle parti nel corso del giudizio, di cui vi è infatti puntuale e dettagliato riferimento nella parte espositiva del provvedimento (la documentazione contabile acquisita in occasione degli accessi eseguiti presso l’abitazione del (omissis) e relativa alla società statunitense di cui il contribuente era titolare; gli esiti degli accertamenti eseguiti dalle autorità americane presso la CRM ai sensi del’art. 26 della Convenzione Italia-USA; i pareri favorevoli al contribuente espressi dal Garante per il Contribuente a proposito della verifica e del contenzioso fiscale per cui è causa; gli esiti processuali relativi agli anni d’imposta precedenti). Da tutto il materiale a disposizione il giudice regionale trae la conclusiva valutazione favorevole al contribuente. A fronte di una sentenza sufficientemente motivata era onere della Amministrazione riprendere puntualmente le varie ragioni e i vari documenti su cui la pronuncia ha inteso fondarsi, e partitamente provvedere alla confutazione. La difesa si è invece limitata a riversare nel ricorso i precedenti atti difensivi, lasciando un inammissibile onere di indagine al giudice di legittimità.

In conclusione il ricorso è inammissibile.

Considerato che:

Il ricorso va rigettato e all’esito del giudizio segue la soccombenza della Agenzia alla rifusione delle spese processuali, nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna l’Agenzia alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore del (omissis), che liquida in Euro 5.600,00 per competenze, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura forfettaria del 15% e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2019

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