Svolgimento del processo
1. L’Agenzia delle Entrate condusse una verifica fiscale nei confronti della (omissis) s.a.s di (omissis), gerente attività di vendita al dettaglio di abbigliamento femminile in (omissis), e, di seguito, emise un avviso di accertamento per l’anno di imposta 2005, con il quale, contestata l’inattendibilità della contabilità, procedette induttivamente a ricostruire il reddito. Vennero emessi anche avvisi di accertamento nei confronti dei soci per il reddito da partecipazione.
2. La società e i soci, tra i quali anche (omissis) (il quale ha poi aderito alla definizione agevolata ex D.L. n.98 del 2011) proponevano separate impugnazioni avverso gli avvisi di accertamento innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Latina.
L’adita Commissione, riuniti i ricorsi, con la sentenza n.98/08/2010 del 12/04/2010, li accoglieva in parte, rideterminava il ricarico medio ponderato in misura inferiore a quella stimata dall’Ufficio e, per questa via, riduceva il reddito accertato.
3. I contribuenti spiegavano appello; l’Agenzia delle Entrate si costituiva eccependo l’inammissibilità dell’appello principale e spiegando appello incidentale.
Con la sentenza n. 3/39/13 del 07/01/2013 la Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione staccata di Latina dichiarava inammissibile l’appello principale dei contribuenti e accoglieva l’appello incidentale dell’Ufficio.
4. I ricorrenti proponevano ricorso in Corte di cassazione. La Corte, con l’ordinanza del primo luglio 2014, n. 14908, cassava la sentenza impugnata e rinviava al merito anche per le spese del giudizio di legittimità, rilevando che l’appello non era da valutarsi come inammissibile e che i motivi di impugnazione andavano esaminati nel merito. Rinviava, per tanto, alla Commissione tributaria regionale, in diversa composizione, per un riesame complessivo del gravame, ritenendo assorbiti gli altri motivi di ricorso in cassazione.
5. La (omissis) Sas di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, (omissis) e (omissis) riassumevano il giudizio e riproponevano gli originari motivi di appello. L’Agenzia delle Entrate riproponeva il proprio appello incidentale insistendo per l’integrale legittimità dell’accertamento.
6. Con la sentenza impugnata, indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale adita confermava l’accertamento, rigettava l’appello principale e l’appello incidentale compensando le spese di tutti i gradi di giudizio.
7. Innanzi alla Corte di cassazione ed avverso la decisione adottata in sede di rinvio, ricorrevano la Società, in persona del legale rappresentante, e le socie (omissis) e (omissis) con ricorso articolato su tre strumenti di impugnazione.
8. L’Agenzia delle Entrate non si costituiva con controricorso ma depositava memoria ex art. 378 cod. proc. civ. specificando che l’Ufficio aveva nelle more prestato acquiescenza alla sentenza della Commissione tributaria regionale, per la parte in cui aveva respinto il suo appello incidentale e aveva, in conseguenza, provveduto a rideterminare gli importi pretesi.
9. Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 2/10/2024 all’esito della quale questa Corte, con ordinanza del 18 ottobre 2014, rilevato che l’Avv. (omissis), costituitosi in sostituzione dell’Avv. (omissis), quale difensore delle ricorrenti, risultava privo di valida procura, rinviava la trattazione della causa a nuovo ruolo con rifissazione mediante avviso alle parti ricorrenti personalmente.
10. Con memoria, depositata telematicamente, l’Avv. (omissis) si costituiva, allegando idonea procura, quale difensore delle ricorrenti; indi la trattazione della causa veniva fissata per la pubblica udienza del 10 settembre 2025, in prossimità della quale, il P.G. ha depositato memoria concludendo per il rigetto del ricorso.
Anche le ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art.378 c.p.c.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo le ricorrenti deducono in relazione all’art.360, primo comma, n.3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt.39 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 2729 c.c. laddove la C.T.R. aveva ritenuto di confermare la legittimità dell’operato dell’Ufficio il quale aveva fatto ricorso all’accertamento induttivo malgrado non ce ne fossero i legittimi presupposti. In particolare, secondo la prospettazione difensiva, la C.T.R. avrebbe dovuto rilevare che le tre violazioni contestate dall’Ufficio erano manifestamente infondate ed erano state pure formulate artificiosamente.
2 Con il secondo motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art.360, primo comma, num. 3 c. p.c., la violazione dell’art.39 del D.P.R. n.600 laddove la C.T.R. avesse ritenuto legittima la ricostruzione operata con l’avviso di accertamento malgrado l’Ufficio avesse provveduto alla ricostruzione induttiva della percentuale di ricarico relativa all’anno 2008 (non oggetto di accertamento) e l’avesse poi estesa ed applicata retroattivamente all’anno 2005, oggetto di accertamento.
3. I mezzi di impugnazione possono trattarsi congiuntamente vertendo entrambi sulla legittimità e correttezza dell’atto impositivo e sono inammissibile il primo, infondato il secondo.
3.1. Il primo motivo, invero, attiene a profili valutativi della decisione mentre le censure si concentrano sulla tesi difensiva ribadendola senza individuazione di specifiche doglianze in ordine all’affermazione della Commissione regionale di legittimità dell’adozione del procedimento induttivo avuto riguardo alla incongruenza– risultante dalla contabilità- tra ricavi dichiarati e costi sostenuti.
L’ampia divaricazione tra costi e ricavi costituisce, infatti, una condotta commerciale anomala, di per sé sufficiente a giustificare da parte dell’erario una rettifica della dichiarazione, ai sensi dell’art. 39 del D.P.R. n. 660 del 1973 (v.Cass., Sez. 5, n. 21536 del 15/10/2007 e di recente, ex multis, Cass. n. 16528 del 13/06/2024 statuenti il seguente principio “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, il giudizio di complessiva o intrinseca inattendibilità delle scritture contabili, ancorché formalmente corrette, costituisce il presupposto per procedere con il metodo analitico-induttivo, che consente valutazioni sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 600 del 1973, ma anche quello per procedere con l’accertamento induttivo “puro”, fondato su presunzioni cd. “supersemplici”, prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, in presenza di una delle tassative condizioni previste dallo stesso art. 39, comma 2, il quale, inoltre, costituendo una facoltà per l’Amministrazione, può prescindere anche solo in parte dalle scritture contabili e dal bilancio e non richiede alcuna specifica motivazione per l’utilizzazione di dati indicati in contabilità o in dichiarazione o comunque provenienti dallo stesso contribuente, anche a fronte di un giudizio di complessiva inattendibilità della contabilità, nel rispetto di una ricostruzione operata sempre secondo criteri di ragionevolezza e nel rispetto del parametro costituzionale della capacità contributiva”).
3.1. La censura articolata con il secondo motivo di ricorso, fondata anche con richiamo a Cass. n.5049/2011, è infondata.
Il principio di diritto enunciato da detta pronunzia è “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, i principi di inerenza dei dati raccolti ad un determinato e specifico periodo di imposta e di effettività della capacità contributiva escludono la legittimità della “supposizione della costanza del reddito” in anni diversi da quello in cui è stata accertata la produzione, ma non precludono all’Amministrazione finanziaria di avvalersi, nell’accertamento del reddito (o del maggior reddito), di dati o notizie comunque raccolti, con la conseguenza che la percentuale di ricarico può essere legittimamente determinata con riferimento alla dichiarazione del contribuente relativa al periodo di imposta precedente, a fronte di un volume di vendite accertato sulla base di dati afferenti all’esercizio in corso l’inutilizzabilità delle percentuali di carico”.
È vero, come rilevato dal P.G. in memoria, che la questione è dibattuta nella giurisprudenza di legittimità e che vi era un orientamento minoritario secondo cui le percentuali di ricarico determinate per un anno non potessero essere utilizzate per altre annualità, tanto più se non immediatamente precedenti o successive (su questo solco vedi Cass. 9968/15, non massimata, anch’essa riportata in ricorso).
Tuttavia, l’orientamento che è prevalso è proprio quello, maggioritario, nel cui solco si colloca Cass. n.5049/11 cit.
Infatti, la Sezione Tributaria ha preso atto del contrasto esistente sul punto e, con sentenza resa all’esito di rimessione alla pubblica udienza, ha ritenuto di dare continuità all’orientamento, maggioritario, deponente per l’ammissibilità dell’utilizzo di percentuali di ricarico determinate per un anno anche per anni diversi. Così Cass., sezione 5, n.11717 del 12.04.2022, con la quale è stato enunciato il seguente principio di diritto “In tema di accertamento analitico induttivo ex art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 600 del 1973, le percentuali di ricarico, accertate con riferimento ad un determinato anno fiscale, costituiscono validi elementi indiziari, da utilizzare secondo i criteri di razionalità e prudenza per il calcolo della percentuale media sulla base delle fatture prodotte, atteso che lo stesso contribuente le ritiene rappresentative della propria attività commerciale, al fine di ricostruire i dati corrispondenti relativi ad anni precedenti o successivi, e che in base all’esperienza, non si tratta di una variabile occasionale, restando il contribuente il soggetto più vicino al soddisfacimento dell’onere della prova ex art. 2697 c.c. ai fini della dimostrazione di eventuali mutamenti del mercato o della propria attività che possano giustificare in altri periodi di imposta l’applicazione di percentuali diverse”.
A tale orientamento il Collegio ritiene di dare continuità. Il ricorso ad elementi presuntivi-inferenziali non può subire limitazioni in termini assoluti è ben possibile che vi sia omogeneità di dati e situazioni tra anni diversi, anche se non immediatamente successivi, per cui l’operazione di ricostruzione del maggior reddito ben può avvenire sulla base di percentuali di ricarico determinati in anni diversi. Ed è il contribuente, in base al criterio della vicinanza della prova, che può sconfessare il ragionamento induttivo operato dall’Ufficio (cosi anche Cass. n. 27330/16).
Nel caso di specie, l’avviso di accertamento, come emerge dallo stesso ricorso (pag. 17 e ss.), dava conto di questa sostanziale omogeneità di “marchi” commercializzati e la C.T.R. ha condiviso e fatto proprie queste considerazioni rispetto alle quali i ricorrenti risultano avere fornito solo censure generiche, non allegando circostanze specifiche volta ad escludere questa sostanziale omogeneità di “marchi” commercializzati tra il 2005 e il 2008 (vedi sempre pagg. 17 e ss. del ricorso) e, quindi, l’utilizzabilità della medesima percentuale di ricarico.
4. Infine, con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano che la C.T.R. abbia, con violazione degli artt. 384 e 385 c.p.c., compensato tra le parti le spese di lite di tutti gradi di giudizio malgrado la Corte di cassazione, con l’ordinanza con la quale aveva cassato la prima sentenza e disposto il rinvio, avesse condannato alle spese l’Ufficio rimettendone la liquidazione al giudice del rinvio.
4.1 La censura è infondata. È pacifico, per giurisprudenza consolidata (v., ex multis, di recente Cass .n. 23769 del 04/09/2024) che la liquidazione delle spese debba essere fatta sulla base dell’esito globale della lite, non rilevando l’esito di una delle singole fasi. Quindi, è ben possibile che una parte sia vincitrice con riguardo al ricorso per cassazione, ma poi sia di fatto soccombente rispetto all’esito complessivo della lite e, quindi, non abbia diritto a vedersi liquidate in proprio favore le spese della fase di legittimità.
Nella specie, i giudici del rinvio hanno, appunto, tenuto conto dell’esito globale della lite, operando una compensazione complessiva, riguardante anche la fase di legittimità. Non vi è alcun errore giuridico in questa soluzione.
5. Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, il ricorso merita rigetto.
6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
7.Sussistono i presupposti processuali per l’applicazione del cd. doppio contributo, se dovuto.
La Corte
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna le ricorrenti, in solido, al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese liquidate in complessivi Euro 5.600,00 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del D.P.R. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 10 settembre 2025.
Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2025.
