Massima

In sede di contenzioso tributario relativo all’atto di recupero del credito d’imposta, il superamento del limite massimo annuale di compensabilità dei crediti (D.Lgs. n. 241/1997, art. 25, comma 2, modif. L. n. 388/2000, art. 34) non costituisce una mera violazione formale escludibile dalla sanzionabilità ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3. Al contrario, l’utilizzo in compensazione di una somma eccedente il tetto legale è giuridicamente equiparato all’omesso versamento del tributo alle scadenze previste ed è sanzionato dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13.

Supporto alla lettura

PROCESSO TRIBUTARIO

Il Processo Tributario è un procedimento giurisdizionale che ha ad oggetto le controversie di natura tributaria tra il contribuente e l’amministrazione finanziaria, è disciplinato nel d.lgs. 546/1992 e non è incluso in nessuna delle giurisdizioni indicate dalla Costituzione, rappresenta quindi un’eccezione giustificata dal grande tecnicismo della materia.

Il 03 gennaio 2024 è stato pubblicato in G.U. il d.lgs. 220/2023 recante disposizioni in materia di contenzioso tributario, le quali vanno a modificare il d.lgs. 546/1992, e sono da collocare in attuazione della L. 111/2023, con la quale è stata conferita delega al Governo per la riforma fiscale.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

Che:

1. L’Agenzia delle entrate notificava alla (omissis) s.p.a. ((omissis) s.p.a.) un atto di recupero del credito di imposta utilizzato in eccesso in compensazione per l’anno 2005, con riferimento all’importo eccedente di Euro 424.412,27, irrogando la sanzione di Euro 127.323,69, pari al 30 %. Infatti, la società aveva utilizzato nel 2005 il credito Iva ed Irap del 2004, per un ammontare complessivo di Euro 940.869,27, superando il tetto di Euro 516.456,90, previsto dal D.Lgs. n. 241 del 1997art. 25, comma 2, come modificato dalla L. n. 388 del 2000art. 34.

2. La Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso della contribuente, con sentenza confermata dalla Commissione tributaria regionale, precisando che l’omesso versamento di una imposta dovuta, sanzionato dal D.Lgs. n. 471 del 1997art. 13, poteva essere integrato anche dalla compensazione con un credito esistente, ma non “compensabile” in quale periodo di imposta oltre il limite di cui alla L. n. 388 del 2000art. 34.

3. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società, che deposita memoria scritta.

4. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Motivi della decisione

Che:

1. Con il primo motivo di impugnazione la società deduce “violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000art. 8“, in quanto la L. n. 212 del 2000art. 8, comma 1, prevede, in via generale, la possibilità di estinzione del debito tributario tramite compensazione. La L. n. 388 del 2000art. 34, quindi, modificando il D.Lgs. n. 241 del 1997art. 25, ha limitato la possibilità di compensazione alla somma massima di Euro 516.456,90 per ciascun periodo di imposta, in tal modo derogando alla L. 212 del 2000art. 8 ed anche all’art. 1 della stessa legge che prevede che le disposizioni dello Statuto del contribuente costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario, espressione di principi costituzionali immanenti, derogabili solo espressamente e mai con leggi speciali. Sono, dunque, inapplicabili norme successive confliggenti con lo Statuto, in difetto di abrogazione esplicita tramite legge generale.

1.1. Tale principio è infondato.

Invero, La L. n. 212 del 2000art. 8, prevede che “l’obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione”.

Il D.Lgs. n. 241 del 1997art. 25, disponeva che “il limite massimo dei crediti d’imposta e dei contributi che possono essere compensati, è, fino all’anno 2000, fissato in lire 500 milioni per ciascun periodo”.

La L. n. 388 del 2000art. 34, stabilisce, poi, che “a decorrere dal 1 gennaio 2001 il limite massimo dei crediti di imposta e dei contribuenti compensabili ai sensi del D.Lgs. n. 241 del 1997art. 17, ovvero rimborsabili ai soggetti intestatari di conto fiscale, è fissato in lire 1 miliardo per ciascun anno solare”.

Pertanto, la L. n. 388 del 2000art. 34, ha soltanto posto un limite massimo annuale alla “compensabilità” dei crediti di imposta, sicchè non v’è stata la prospettata violazione di legge.

Nè v’è stata violazione della L. n. 212 del 2000art. 1, comma 1 (“le disposizioni della presente legge, in attuazione degli art. 32353 e 97 Cost., costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali”).

Costituisce, infatti, principio giurisprudenziale quello per cui le norme della L. 27 luglio 2000, n. 212, emanate in attuazione degli artt. 32353 e 97 Cost., e qualificate espressamente come principi generali dell’ordinamento tributario, sono idonee a prescrivere specifici obblighi a carico dell’Amministrazione finanziaria e costituiscono, in quanto espressione di principi già immanenti nell’ordinamento, criteri guida per il giudice nell’interpretazione delle norme tributarie (anche anteriori), ma non hanno rango superiore alla legge ordinaria e, conseguentemente, non possono fungere da norme parametro di costituzionalità, nè consentire la disapplicazione della norma tributaria in asserito contrasto con le stesse (Cass., 16 gennaio 2015, n. 696).

Peraltro, per questa Corte, in relazione alla violazione del legittimo affidamento del contribuente, per una norma sopravvenuta, la L. n. 448 del 1998art. 3, comma 11, ha abrogato, con decorrenza dal 1 gennaio 1999, la L. n. 662 del 1996art. 2, commi 210 e 213, sicchè il credito d’imposta per l’avvio di attività produttive o professionali ivi attribuito non spetta per le annualità successive al 1998, non sussistendo alcun diritto soggettivo perfetto dell’interessato a godere dell’agevolazione nè potendo lo stesso vantare un legittimo affidamento, in quanto il cd. Statuto del contribuente non ha rango superiore alla legge ordinaria e, pertanto, le norme tributarie possono essere modificate retroattivamente, anche in senso sfavorevole, purchè ciò avvenga in modo razionale, nei limiti della proporzionalità e nel perseguimento di interessi pubblici (Cass., 9 maggio 2018, n. 11077; anche Cass., 5773/2018, in tema di credito di imposta).

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000art. 10, comma 3. Omessa motivazione su di un punto rilevante della controversia”, in quanto l’art. 10 citato esclude che possano essere sanzionati comportamenti che costituiscano solo violazioni formali, senza alcun debito di imposta e che, quindi, non arrechino pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo. Nella specie, l’Erario non ha subito alcun danno dalla indicazione del credito di imposta “esuberante” nella dichiarazione Iva periodica, in quanto la dichiarazione Iva annuale non riportava più il credito di imposta in tale misura. Del resto, l’Agenzia ha riconosciuto l’esistenza del credito Iva indicato nella dichiarazione periodica.

3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente si suole della “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997art. 13 e D.Lgs. n. 241 del 1997art. 25, comma 2″, in quanto il D.Lgs. n. 241 del 1997art. 25, comma 2, non prevede alcuna sanzione per il contribuente che utilizzi lo strumento della compensazione in eccesso rispetto al limite ivi indicato, mentre il D.Lgs. n. 471 del 1997art. 13 punisce l’omesso o ritardato versamento d’imposta, sicchè in base ai principi di legalità e di tassatività delle fattispecie generatrici di sanzioni, di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997art. 3, non può essere punito l’autore di un fatto diverso da quelli predeterminati per legge.

3.1. I motivi secondo e terzo, che vanno trattati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati.

In realtà la contribuente, utilizzando il pregresso credito Iva nell’anno 2005, anche oltre il limite di legge, non ha versato parte delle somme da essa dovute all’Erario, sicchè incorre nella sanzione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997art. 13. Infatti, in tema di agevolazioni tributarie, il superamento del limite massimo dei crediti d’imposta compensabili equivale al mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste, che è sanzionato dal D.Lgs. n. 471 del 1997art. 13, così come accade ogniqualvolta sia utilizzata la compensazione in assenza dei relativi presupposti (Cass., 26 ottobre 2012, n. 18369).

Inoltre, per questa Corte, la L. n. 388 del 2000art. 34, nel testo applicabile “ratione temporis”, sancendo che, a decorrere dal 1 gennaio 2001, il limite massimo dei crediti d’imposta e dei contributi compensabili ai sensi del D.Lgs. n. 241 del 1997art. 17, per i soggetti intestatari di conto fiscale, è fissato in lire 1 miliardo (Euro 516.546,90) per ciascun anno solare, ha inteso introdurre, per ogni periodo d’imposta, al fine di non squilibrare eccessivamente le previsioni di gettito fiscale annuale, un limite invalicabile alla possibilità del contribuente di porre in compensazione crediti fiscali e debito IVA, che non può essere superato anche in sede di liquidazioni periodiche IVA, come confermato anche dalla Corte di Giustizia, nella sentenza del 16 marzo 2017, in C211/2016, secondo cui la disciplina comunitaria non osta a tali limitazioni, purchè sia assicurato al soggetto passivo l’integrale recupero del credito d’imposta sul valore aggiunto entro un termine ragionevole (Cass., 29 marzo 2017, n. 8101Cass., 22962/2018).

Si è, quindi, precisato che la condotta di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997art. 5, comma 5, consistente nella richiesta di rimborso d’imposta non dovuta o eccedente il dovuto, integra una violazione di pericolo, che non è meramente formale e non ricade, pertanto, nell’ambito applicativo della L. n. 212 del 2000art. 10, comma 3, senza necessità dell’effettiva percezione della somma, per cui non è sufficiente, al fine di escludere la punibilità, una volta formulata la richiesta di rimborso nella dichiarazione trimestrale, la rettifica nella successiva dichiarazione annuale, specialmente ove il ravvedimento del contribuente sia stato originato da una richiesta di chiarimenti dell’Amministrazione finanziaria (Cass., 5 agosto 2016, n. 16422).

4. Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente deduce “Illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 600 del 1973art. 36-bis comma 3, D.P.R. n. 633 del 1972art. 54-bis, comma 3 e D.Lgs. n. 462 del 1997art. 2, per violazione degli artt. 3 e 97 Cost.”, in quanto se la contribuente, che si è limitata ad utilizzare in compensazione una somma superiore rispetto al limite legale, avesse invece omesso il versamento dell’iva, sarebbe stata destinataria di un “avviso bonario”, in tal modo beneficiando della possibilità di pagamento delle sanzioni nella misura del 10 %, invece che del 30 %, con un diverso computo anche degli interessi. Pertanto, in presenza di un comportamento meno grave (chi omette il versamento non corrisponde le somme allo Stato, mentre chi compensa oltre il limite quantitativo sta utilizzando somme già in possesso dello Stato), vi sarebbe una sanzione tripla, con interessi in misura superiore.

4.1.La questione è manifestamente infondata. Invero, la ricorrente muove da un assunto (il diritto di ricevere l’avviso “bonario”) che, invece, è insussitente. Infatti, il D.P.R. n. 600 del 1973art. 36-bis, comma 3, come l’analogo D.P.R. n. 633 del 1972art. 54-bis comma 3, prevede che l’avviso bonario debba essere indicato solo quando “dai controlli automatici eseguiti emerge un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione ovvero dai controlli eseguiti dall’ufficio…emerge una imposta o una maggiore imposta”.

La L. n. 212 del 2000art. 6, comma 5 dispone, poi, che “prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente … a fornire i chiarimenti necessari o produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta …”.

Il D.Lgs. n. 462 del 1997art. 2, comma 2, (riscossione delle somme dovute a seguito dei controlli automatici) dispone, ancora, che “L’iscrizione a ruolo non è eseguita … se il contribuente…provvede a pagare le somme dovute … entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione, prevista dai predetti artt. 36-bis e 54-bis, commi 3 …”.

Non deve essere inviata, però, la comunicazione di irregolarità quando vi è stata solo omissione del versamento dovuto in base alla autoliquidazione dell’imposta (Cass. Civ., 26 settembre 2017, n. 22383), nè in caso di mero ritardo nel versamento (Cass. Civ., 10 giugno 2015, n. 12023).

In caso di omesso o tardivo versamento non spetta, poi, la riduzione delle sanzioni amministrative ai sensi del D.Lgs. n. 462 del 1997art. 2, comma 2 (Cass. Civ., 6 luglio 2016, n. 13759), in quanto l’interessato può, comunque, pagare, per estinguere la pretesa fiscale, con riduzione della sanzione, una volta ricevuta la notifica della cartella, sempre che quella comunicazione sia dovuta.

Nella specie, l’utilizzo di un credito di imposta in compensazione di una somma superiore a quella prevista dalla legge, non comporta alcuna incertezza nè un risultato diverso da quello indicato in dichiarazione ed è una ipotesi perfettamente sovrapponile all’omesso versamento di quanto dichiarato, poichè tale illegittima compensazione equivale al mancato versamento di parte delle somme alle scadenze previste.

5. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della ricorrente, per il principio della soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 7.800,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 27 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 aprile 2019

Allegati

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