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Cassazione civile sez. V, 15/03/2021, n. 7436

Massima

In tema di violazioni tributarie relative all’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA), l’applicazione della sanzione più grave prevista per l’infedele dichiarazione (D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 5) assorbe la sanzione meno grave per il mancato o tardivo versamento del tributo (D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13).

Supporto alla lettura

IVA

L’imposta sul valore aggiunto (IVA), è un’imposta indiretta applicata in fase di produzione e scambio di un bene o di un servizio. Il fornitore del prodotto o del servizio calcola e addebita l’aliquota al cliente e, successivamente, la versa all’erario utilizzando il modello F24.

Il riferimento normativo fondamentale risiede nel D.P.R. 633/1972 e, attualmente, in Italia, l’aliquota è pari al 22% ma esistono anche aliquote ridotte (4% e 10%) applicate a beni di prima necessità. Si tratta di un’imposta di rilevanza fondamentale per il bilancio dello Stato ma è anche una delle più evase nel panorama italiano ed europeo, motivo per cui è stato introdotto il meccanismo del reverse charge o inversione contabile in alcuni settori particolari dell’economia.

Esistono anche operazioni non imponibili IVA (comprendono le cessioni di beni e prestazioni di servizi nei rapporti con l’estero) e operazioni esenti dall’IVA (cessioni di beni e prestazioni di servizi individuate espressamente dalla legge, il cui elenco si trova nell’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972), ma in entrambi i casi valgono tutti gli obblighi IVA (fatturazione, registrazione, dichiarazione), ma non viene addebitata IVA al cliente.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

L’Agenzia delle entrate notificò alla (omissis) Italia Srl un avviso d’accertamento, con cui, rideterminando ai fini iva l’imponibile relativo all’anno 2006, pretese una maggiore imposta di Euro 502.020,00 ed irrogò la sanzione per dichiarazione infedele (D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471art. 5). La società definì l’accertamento, versando anche la relativa sanzione nella misura agevolata del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, ex art. 15. Successivamente l’ufficio notificò l’atto di contestazione con cui irrogò l’ulteriore sanzione, prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997art. 13, a titolo di omesso versamento dell’iva nei termini di legge, pari ad Euro 150.606,00.

La società impugnò l’atto di contestazione dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Torino, che con sentenza n. 67/18/2012 ne accolse le ragioni, annullando la sanzione. L’appello con cui l’Agenzia instava per il riconoscimento della legittimità dell’atto di contestazione fu respinto dalla Commissione tributaria regionale del Piemonte con sentenza n. 448/36/2014. Il giudice regionale ha ritenuto che le fattispecie a cui è applicabile il D.Lgs. n. 471 del 1997art. 13, commi 1 e 2 (ratione temporis vigente), riguardano, in materia di riscossione, i ritardati o omessi versamenti diretti e che nel caso di specie la violazione rilevata con l’avviso d’accertamento era stata già sanzionata, rientrando nella infedele dichiarazione.

L’Agenzia delle entrate ha censurato la sentenza, e ne ha chiesto la cassazione, con un unico motivo. La contribuente ha resistito con controricorso, depositando ritualmente anche memoria difensiva.

All’esito dell’udienza dell’8 novembre 2022 la causa era riservata per la decisione.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo l’Amministrazione finanziaria si duole della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997art. 13, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

L’ufficio sostiene che dalla lettura dell’art. 13 cit. si evincerebbe che il comma 1 regola le ipotesi di mancato o ritardato pagamento dell’imposta risultante dalla dichiarazione; il secondo (ora terzo) afferisce invece a tutti i casi nei quali il tributo – non iscritto a ruolo – non sia stato comunque pagato nel termine di legge. Pertanto, sostiene, il comma 2, contempla indistintamente tutte le ipotesi in cui emerga il mancato pagamento del tributo nei termini di legge, “indipendentemente dalla circostanza che l’imposta sia stata o meno autoliquidata e dichiarata dal contribuente”. Esclude peraltro l’illegittima “sovrapposizione tra le sanzioni in materia di accertamento e quelle in materia di riscossione”. Questo perchè, sempre secondo la ricostruzione della ricorrente, l’accertamento di operazioni commerciali non assoggettate ad iva fa emergere l’infedele fatturazione (D.Lgs. n. 471 del 1997art. 6, comma 1) e l’infedele dichiarazione annuale (D.Lgs. n. 471 del 1997art. 5, comma 4), ma per altro verso, emergendo proprio per questo l’esigibilità dell’iva e il suo obbligo di versamento, l’omissione di tale adempimento perfeziona anche la violazione dell’omesso versamento (D.Lgs. n. 471 del 1997art. 13, commi 1 e 2). La ricostruzione è contestata nel controricorso della società.

Il motivo è infondato.

Nel caso di specie il maggior debito tributario della società fu accertato a seguito di una verifica, da cui era emerso un maggior imponibile della contribuente. Con l’atto impositivo dunque non solo fu richiesto il versamento della maggiore iva accertata, ma fu anche comminata la sanzione prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997art. 5, per infedele dichiarazione, fattispecie che si colloca nel capo II della disciplina (sanzioni in materia di imposta sul valore aggiunto).

Ebbene, come questa Corte ha già affermato, in tema di violazioni tributarie, la sanzione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997art. 5, punisce la “dichiarazione infedele”, che si realizza quando il contribuente indica nella dichiarazione un importo inferiore a quello dovuto, mentre quella di cui all’art. 13 del citato D.Lgs., punisce il mancato pagamento, alle scadenze stabilite, delle somme indicate in dichiarazione dal contribuente, senza che rilevi al riguardo la loro emersione nella contabilità. Ne deriva che nell’ipotesi in cui nella dichiarazione annuale IVA sia omessa l’indicazione dell’importo effettivamente dovuto, il mancato pagamento dell’imposta costituisce diretta conseguenza dell’omessa dichiarazione, integrandosi in tal modo la fattispecie sanzionatoria di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997art. 5, che copre sia la violazione formale, sia il conseguente ed inevitabile mancato pagamento dell’imposta dovuta, con conseguente assorbimento della sanzione meno grave di cui all’art. 13 del D.Lgs. citato (Cass., 7 dicembre 2020, n. 27963).

Nello specifico si è rilevato che “…4.2. Il tenore letterale delle due norme sanzionatorie evidenzia chiaramente che con la prima viene punita la “dichiarazione infedele”, che si realizza quando il contribuente indica nella dichiarazione una imposta inferiore a quella effettivamente dovuta, omettendo di conseguenza di dichiarare somme dovute e di versare le relative imposte, mentre con la seconda viene sanzionato il mancato pagamento, alle scadenze stabilite, delle somme indicate dal contribuente nella propria dichiarazione. 4.3. Il D.Lgs. n. 471 del 1997art. 13, comma 1, si riferisce, in particolare, sia ai casi di omesso versamento dell’imposta risultante dalla dichiarazione, sia ai casi in cui, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile. La disposizione in esame non sanziona, dunque, il mero “omesso versamento” dell’imposta, ma piuttosto la mancata esecuzione, in tutto o in parte, dei versamenti dell’imposta risultante dalla dichiarazione e presuppone, pertanto, che dalla dichiarazione redatta dal contribuente emerga un preciso importo come imposta dovuta e che l’importo dichiarato non sia stato successivamente versato. E’ evidente, pertanto, che, ai fini dell’irrogazione della sanzione in esame, non rileva il fatto che l’imposta dovesse risultare dalla contabilità del contribuente, richiedendo espressamente l’art. 13, come detto, che l’imposta risulti “dalla dichiarazione” e dai dati in essa contenuti, poichè è soltanto con la dichiarazione che il contribuente comunica all’Erario l’imposta dovuta. 4.4. Da quanto detto discende che, laddove il mancato versamento dell’I.V.A. sia diretta conseguenza della omessa indicazione nella dichiarazione dell’importo dell’imposta effettivamente dovuto, tale comportamento integra dichiarazione infedele, per la quale è prevista la sanzione ben più grave di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997art. 5, che copre non solo la violazione formale dell’infedele dichiarazione, ossia di una dichiarazione errata, recante un importo inferiore a quello realmente dovuto, ma anche il conseguente ed inevitabile mancato versamento dell’imposta effettivamente dovuta, non potendo ovviamente, in tal caso, la parte contribuente provvedere materialmente al versamento dell’importo corretto, atteso che il pagamento corrisponde al dato indicato nella stessa dichiarazione. Ciò comporta che la sanzione meno favorevole prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997art. 5, assorbe anche l’omesso versamento dell’imposta ed osta all’applicazione di quella prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997art. 13“.

Non può neppure assumere rilievo l’affermazione, su cui ancora la ricorrente insiste, secondo cui la legittimità di una seconda sanzione trova fondamento dell’art. 13, comma 2 (ora comma 3), che prescrive come “fuori dai casi di tributi iscritti a ruolo, la sanzione prevista dal comma 1, si applica altresì in ogni ipotesi di mancato pagamento di un tributo o di una sua frazione nel termine previsto”.

Intanto, proprio la perimetrazione dell’ipotesi alle fattispecie non riconducibili alla iscrizione a ruolo del tributo si contrappone al caso di specie, laddove la maggiore iva richiesta all’esito di un accertamento, tenendo conto dell’anno d’imposta e dell’epoca dell’accertamento stesso cui si riferisce, non poteva che scaturire, una volta accertata, che dall’iscrizione a ruolo. Inoltre non può ritenersi privo di significato il dato normativo, che nel disciplinare la fattispecie, colloca l’art. 13 cit. nel titolo II, dedicato alle “sanzioni in materia di riscossione”. Infine, e solo per ordine di elencazione, la pretesa che la condotta, una volta accertata la maggiore imposta non dichiarata, sia sanzionabile sotto il profilo della infedele dichiarazione, e debba inoltre essere punita sull’assunto che occorre riportare l’obbligo medesimo del versamento al momento in cui la maggiore imposta avrebbe dovuto essere corrisposta e non lo è stata perchè non dichiarata, prova troppo e sottopone una condotta, illegittima ma certamente unica, ad una frammentazione artificiosa al solo fine di cumulare una pluralità di sanzioni.

L’attuale formulazione dell’art. 13, come modificato dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158art. 15, comma 1, lett. o), (a decorrere dall’1 gennaio 2016), il cui nuovo comma 2, prevede che “la sanzione di cui al comma 1, si applica nei casi di liquidazione della maggior imposta ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600artt. 36 bis e 36 ter, e ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633art. 54 bis“, non applicabile alla presente fattispecie, rafforza in ogni caso una interpretazione dell’art. 13 cit., orientata nel senso di una alternatività chiara tra le ipotesi sussumibili nel suo alveo rispetto a quelle relative alle condotte riconducibili all’infedele dichiarazione.

D’altronde questa Corte aveva già affermato che la sanzione amministrativa pari al trenta per cento dell’importo non versato, prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997art. 13, non si applica nel caso in cui il contribuente, a seguito dell’impugnazione dell’avviso d’accertamento del tributo omesso e di irrogazione delle conseguenti sanzioni, abbia corrisposto alle prescritte scadenze le imposte dovute e provveduto, all’esito della sentenza di merito e prima del suo passaggio in giudicato, a corrispondere spontaneamente il relativo saldo non oggetto di specifica iscrizione a ruolo (Cass., 11 ottobre 2017, n. 23784; cfr. anche Cass., 22 aprile 2016, n. 8131). Nel caso di specie la contribuente, accertata la maggiore iva dovuta, non ha impugnato l’atto impositivo ma ha chiesto di definire il rapporto d’imposta, versando anche la sanzione ex art. 5 cit., nella misura agevolata, ai sensi del D.Lgs. n. 218 del 1997art. 15.

In conclusione, qualunque sia il punto di partenza dell’analisi della disciplina, l’applicazione della sanzione prevista per l’infedele dichiarazione assorbe la più tenue fattispecie del mancato o tardivo versamento del tributo dovuto.

Il ricorso va dunque rigettato.

La mancanza di precedenti in tema all’epoca in cui la ricorrente ha introdotto la controversia dinanzi a questa Corte giustifica la compensazione delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Compensa le spese processuali.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2023

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