Svolgimento del processo
Con ricorso alla commissione tributaria provinciale di Treviso, presentato in data non precisata, (omissis), titolare dell’impresa familiare (omissis), proponeva opposizione avverso l’avviso di accertamento, che l’ufficio delle imposte di (omissis) le aveva fatto notificare per l’anno d’imposta 1991, a rettifica della dichiarazione dei redditi, scaturenti dalla gestione di quell’impresa, e con il quale venivano recuperati a tassazione spese non di competenza per L. 6.738.129, e acquisti senza fatture, pari a L. 51.710.794. Esponeva che l’atto impositivo era da annullare, perchè basato sugli accertamenti compiuti da agenti della Guardia di finanza nei locali del laboratorio e nell’adiacente sua abitazione nei confronti di lei e del marito (omissis), collaboratore familiare. Quanto alla pretesa tributaria, ella deduceva che ne difettavano i presupposti.
Instauratosi il contraddittorio, l’ufficio delle imposte eccepiva l’infondatezza del ricorso, in quanto l’accertamento si basava sulla verifica svolta dagli agenti della polizia tributaria nei locali del laboratorio, e comunque il relativo pvc. era utilizzabile nella specie, a prescindere dalla pretesa autorizzazione dell’autorità giudiziaria; perciò chiedeva il rigetto dell’impugnativa.
Quella commissione, con sentenza n. 493 del 1998, annullava l’avviso di accertamento.
Avverso la relativa decisione l’agenzia delle entrate, ufficio di (omissis), proponeva appello, cui (omissis) resisteva con memoria, dinanzi alla commissione tributaria regionale del Veneto, la quale, con sentenza del 24.9.2001, ha rigettato l’impugnazione, e compensato le spese, osservando che gli atti compiuti dagli agenti della finanza non erano utilizzabili, in quanto non preceduti dalla necessaria autorizzazione della magistratura, atteso che uno dei due locali, in cui l’attività dell’impresa veniva svolta, si trovava sotto l’abitazione della contribuente, e perciò, costituendone pertinenza, quel provvedimento preventivo mancante era necessario, pena l’inutilizzabilità degli atti di verifica.
Avverso questa pronuncia il Ministero dell’economia e delle finanze e l’agenzia delle entrate hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi.
(omissis) non ha svolto alcuna difesa.
Motivi della decisione
1) Col secondo motivo, che viene esaminato prima, trattandosi di questione preliminare, i ricorrenti deducono violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 33 e D.P.R.. n. 633 del 1972, art. 52, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la commissione tributaria regionale non ha considerato che l’ufficio ben poteva procedere all’accertamento, dal momento che il processo verbale di constatazione dei militari della finanza, ancorchè non preceduto dalla dedotta autorizzazione del P.M., tuttavia era ugualmente utilizzabile, trattandosi semmai unicamente di questione che poteva comportare responsabilità penale o disciplinare a carico degli autori del preteso illecito, e ciò a prescindere dal fatto che quell’atto preventivo fosse necessario o meno.
Il motivo è infondato.
Invero, come è noto, in tema di imposte dirette (come di I.V.A.), gli avvisi di accertamento e di rettifica motivati con riferimento a dati acquisiti dall’amministrazione finanziaria a seguito di accessi nell’abitazione dei contribuenti, che non siano, o siano illegittimamente, autorizzati dal procuratore della Repubblica, sono invalidi ed insuscettibili di produrre effetti, non potendo attività compiute in dispregio del fondamentale diritto all’inviolabilità del domicilio essere assunte, di per sè, a giustificazione ed a fondamento di atti impositivi a carico dei soggetti che hanno dovuto subire le attività medesime (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 15230 del 03/12/2001, n. 12050 del 1998, n. 7368 del 1998).
Detta autorizzazione, in ordine alla quale non sono applicabili le garanzie previste dal codice di procedura penale, è espressione di attività amministrativa, e la sua mancanza può essere fatta valere di fronte al giudice tributario, anche se con l’impugnazione dell’atto terminale del procedimento impositivo, in quanto rende inutilizzabili le prove acquisite a carico del contribuente.
Sul punto perciò la sentenza impugnata risulta motivata in modo giuridicamente corretto.
2) Col primo motivo i ricorrenti denunziano omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, giacchè il giudice di appello non ha indicato le ragioni, per le quali ha ritenuto che uno dei due locali del laboratorio costituisse pertinenza dell’abitazione di (omissis) e del marito, nonostante nulla risultasse in tal senso.
La censura non ha pregio.
Il giudice di appello ha osservato che i locali adibiti a laboratorio costituivano pertinenza dell’abitazione della famiglia di (omissis), come del resto lo stesso ufficio aveva riconosciuto, anche se relativamente ad uno solo dei due locali, e tanto basta per ritenere che la motivazione possa considerarsi esaustiva; d’altronde si tratta di indagine di fatto, non censurabile in sede di legittimità.
Ne deriva che il ricorso va rigettato.
Quanto alle spese di questa fase, non si fa luogo a liquidazione, stante la mancata costituzione dell’intimata.
P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 23 settembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2008
