Massima

In tema di accertamento dell’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA), l’Amministrazione finanziaria ha la facoltà di utilizzare la presunzione di inerenza dei movimenti bancari ad operazioni imponibili, prevista dall’articolo 51, comma 2, numeri 2 e 7, del D.P.R. n. 633 del 1972, non solo in riferimento ai conti correnti intestati direttamente al contribuente oggetto di verifica, ma anche a quelli formalmente intestati a soggetti terzi. Tale estensione è possibile se i soggetti intestatari sono legati al contribuente (soprattutto in caso di società di persone) da particolari rapporti (quali socio amministratore o procuratore generale), che giustifichino la presunzione di riferibilità dei relativi movimenti bancari ad operazioni imponibili della società. La ratio di tale orientamento si fonda sulla valutazione di rilevante probabilità (“id quod plerumque accidit”) che il contribuente si avvalga di tutti i conti disponibili per le rimesse e i prelevamenti inerenti all’attività.

Supporto alla lettura

ACCERTAMENTO TRIBUTARIO

L’accertamento tributario (o fiscale) è il complesso degli atti della pubblica amministrazione volti ad assicurare l’attuazione delle norme impositive.

L’attività di accertamento delle imposte da parte degli uffici finanziari ha carattere meramente eventuale, essendo prevista nel nostro sistema l’autoliquidazione dei tributi più importanti da parte del contribuente stesso, tramite l’istituto della dichiarazione. Gli uffici intervengono quindi soltanto per rettificare le dichiarazioni risultate irregolari o nel caso di omessa presentazione delle stesse.

A seconda del metodo di accertamento utilizzato, questo può essere:

  • analitico: attraverso l’analisi della documentazione contabile e fiscale;
  • analitico-induttivo: cioè misto, basato su un esame documentale e presunzioni, di norma fondate su elementi gravi, precisi e concordanti, salvo in caso di omessa dichiarazione o di contabilità inattendibile/omessa;
  • induttivo: attraverso l’utilizzo esclusivo di presunzioni che possono essere anche esclusivamente semplici;
  • sintetico: fondato su coefficienti ministeriali.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

Sulla base di un p.v. di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza di Ivrea il 9 dicembre 1995, l’Ufficio Iva di Torino emetteva l’avviso n. (omissis) con il quale, relativamente all’anno 1989, contestava alla (omissis) – (omissis) di (omissis) & C. s.a.s., con sede in (omissis), via (omissis) la mancata regolarizzazione di acquisti, l’omessa fatturazione di prestazioni, l’infedeltà della dichiarazione annuale nonché l’irregolare tenuta dei registri; quindi, accertava il relativo maggior carico fiscale di complessive L. 406.821.000, ivi incluse L. 76.531.000 per debito d’imposta, L. 2.964.000 per credito non riconosciuto, L. 291.448.000 per pene pecuniarie e la residua somma per interessi.

L’impugnazione della contribuente veniva accolta dalla Commissione Tributaria Provinciale di Torino nella considerazione che, nel caso, non potesse trovare applicazione la presunzione di cui all’art. 51 comma 2º punto 2 del D.P.R. n. 633 del 1972, utilizzata dall’Ufficio, potendo la stessa operare solo in riferimento ai conti correnti intestati al contribuente e non anche a quelli intestati ai soci; che, d’altronde, essendo le prestazioni rese di natura sanitaria, le stesse, per legge, erano a ritenersi esenti da imposizione Iva, e, comunque, ch’era a ritenersi insussistente la contestata irregolare tenuta dei registri, non potendosi la stessa dedurre sulla base della mera circostanza che era stata omessa la fatturazione di operazioni esenti.

La sentenza veniva gravata con appello principale dall’Ufficio, che pur facendovi una parziale acquiescenza per poste pari a L. 153.636.036, ne chiedeva, per il resto, la riforma a motivo che legittimamente l’Ufficio aveva utilizzato per l’accertamento i dati desunti dai conti intestati ai soci, atteso che questi ultimi erano a ritenersi nella disponibilità del contribuente, e che, d’altronde, erroneamente le prestazioni erano state rese in esenzione d’Iva, essendo tale regime previsto per gli operatori sanitari abilitati all’esercizio professionale e, quindi, insuscettibile di essere esteso anche a quanti, come nel caso, rendono prestazioni sanitarie abusivamente per mancanza del necessario titolo abilitativo.

La contribuente controdeduceva, contestando il fondamento delle censure e, con appello incidentale, chiedeva la parziale riforma dell’impugnata sentenza, limitatamente al capo relativo alle spese del giudizio. Con la decisione in epigrafe indicata la C.T.R. disattendeva l’appello principale ed in accoglimento di quello incidentale procedeva alla parziale riforma della sentenza di prime cure, nel capo relativo alle spese giudiziarie, confermandola nel resto.

Con ricorso notificato il 18 giugno 1999 l’Amministrazione ha chiesto la cassazione della decisione di appello deducendo violazione e falsa applicazione di norme di diritto.

Con controricorso notificato il 27 luglio 1999, la contribuente ha chiesto il rigetto dell’impugnazione e, con contestuale ricorso incidentale, ha riproposto eccezioni e deduzioni non esaminate dal giudice di merito perché considerate assorbite, e chiesto, comunque, previa riunione dei due giudizi pendenti con riferimento agli esercizi 1989 e 1990, il riconoscimento dell’infondatezza dell’accertamento nel merito ed, in ogni caso, l’applicazione dello “ius superveniens” in tema di sanzioni.

Motivi della decisione

Preliminarmente i due ricorsi, che investono la stessa sentenza, vanno riuniti in applicazione dell’art. 335 c.p.c.

Con l’unico mezzo l’Amministrazione censura l’impugnata decisione per violazione e falsa applicazione dell’art. 51, comma 2º n. ri 2 e 7 del D.P.R. n. 633 del 1972, nonché dell’art. 10, n. 18 del medesimo D.P.R. n. 633 del 1972, in relazione agli art. 62 del D.Lgs. n. 546 del 1992 e art. 360 c.p.c., comma 1º n. 3.

Trattasi di doglianza fondata sotto entrambi i profili. In base alla prima deduzione la ricorrente fa discendere il vizio di legge dalle circostanze che il giudice di merito ha, erroneamente, ritenuto inapplicabile la presunzione di cui alla disposizione del citato art. 51 D.P.R. n. 633 del 1972 perché i dati dei conti bancari utilizzati per l’accertamento erano stati irritualmente acquisiti, e perché, d’altronde, gli stessi si riferivano a soggetto diverso da quello destinatario della verifica.

Quanto al primo aspetto, rileva il Collegio che l’art. 51 comma 2º n. ri 2 e 7 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 accorda, espressamente, all’Ufficio il potere di richiedere agli istituti di credito notizie di movimenti sui conti bancari intrattenuti dal contribuente e di presumere, la loro inerenza ad operazioni imponibili, ove non si deduca e dimostri che i movimenti medesimi siano stati conteggiati nella dichiarazione annuale o siano ricollegabili ad atti non soggetti a tassazione.

La circostanza che l’acquisizione non sia avvenuta previa autorizzazione dell’Ispettore Compartimentale o del Comandante della G.d.F. non ne preclude l’utilizzabilità tenuto conto che l’autorizzazione attiene ai rapporti interni e che in materia tributaria non vige il principio, presente invece nel codice di procedura penale, secondo cui è inutilizzabile la prova acquisita irritualmente, e che, nel caso l’acquisizione è, comunque, avvenuta legittimamente in virtù di provvedimento del P.M.

Gli Uffici fiscali, ciò stante, possono utilizzare tutti i documenti, dati ed elementi di cui siano venuti in possesso, salvo la verifica della relativa attendibilità, in considerazione della natura e del contenuto dei documenti stessi, e dei limiti di utilizzabilità derivanti da eventuali preclusioni di carattere specifico. (Cass. 19 giugno 2001 n. 8344; 8 giugno 2001 n. 7791).

L’altra questione, posta dalla vicenda processuale in esame, concerne la possibilità di estendere la presunzione prevista dalla richiamata norma anche a conti intestati a soggetti diversi dal contribuente in verifica.

Il Collegio, nel solco di pacifico, condiviso orientamento, è dell’avviso che per lo stretto rapporto intercorrente tra socio amministratore e società dallo stesso amministrata non può ritenersi precluso agli Uffici Iva, nell’adempimento dei loro compiti, di accertare, sulla base dei conti del socio, l’esistenza di operazioni imponibili non dichiarate dalla società.

Si ritiene, infatti, che in caso di accertamenti riguardanti società di persone (Cass. 24 febbraio 2001 n. 2738; 20 gennaio 1994 n. 512) ed anche di capitali (Cass. n. 2980 dell’1 marzo 2002n. 8826 del 28 giugno 2001n. 1728 del 2 marzo 1999), l’acquisizione e l’utilizzazione dei dati bancari non debba essere limitata ai conti intestati alla società, ma possa riguardare anche quelli formalmente intestati a soggetti diversi, ove legati alla società da particolari rapporti, quali soci amministratori o procuratori generali.

Tale interpretazione trova conferma nella “ratio” della norma, giacché la presunzione di riferibilità dei movimenti bancari od operazioni imponibili si correla ad una valutazione del legislatore di rilevante probabilità (“id quod plerumque accidit”) che il contribuente si avvalga di tutti i conti di cui possa disporre per le rimesse ed i prelevamenti inerenti all’esercizio dell’attività.

La sentenza non ha, dunque, correttamente applicato il principio desumibile da pregresse condivise pronunce di questa Corte, secondo cui non può, in linea di principio, escludersi, ex art. 51, comma 2º n. ri 2 e 7 del D.P.R. n. 633 del 1972, la possibilità di acquisire ed utilizzare dati ed elementi risultanti dai conti, formalmente intestati a soggetto giuridico diverso rispetto a quello oggetto di verifica, ma legato allo stesso da particolari rapporti (cointeressenza, rappresentanza organica, mandato, etc.) che giustifichino la presunzione di riferibilità dei relativi movimenti bancari ad operazioni imponibili relative alla società.

Da tale generale orientamento non vi è ragione di discostarsi, tenuto conto che il fatto certo ed incontroverso, atto a giustificare la presunzione, è rappresentato non tanto dall’inattendibilità della dichiarazione per l’inadeguatezza dei dati nella stessa esposti, quanto, piuttosto, dalla pacifica circostanza che i dati degli altri due conti presi in considerazione erano formalmente intestati a (omissis), socio accomandatario della s.a.s. (omissis), ed in quanto tale, amministratore (art. 2318 c.c.) illimitatamente responsabile per le obbligazioni sociali (art. 2313 c.c.).

Nella specie la C.T.R. ha negato, in contrasto con il precitato principio, la possibilità di ricorrere alla prova presuntiva, sulla base della tranciante e sintetica argomentazione secondo cui doveva ritenersi “inapplicabile al caso in specie la presunzione di cui al citato art. 51 comma 2º D.P.R. n. 633 del 1972 con riguardo ai conti intestati a Cena Felice ed alla ditta individuale Cena” alla stregua di quanto “ampiamente e correttamente motivato dai giudici di Primo grado”; laddove secondo quanto si evince dalla stessa narrativa in fatto dell’impugnata decisione, la Commissione Tributaria Provinciale, a sua volta aveva ritenuto di dover accogliere le doglianze, sul punto, della contribuente, nella considerazione “che la presunzione di cui all’art. 51 comma 2º del D.P.R. n. 633 del 1972 opera in riferimento soltanto ai conti correnti intestati al contribuente”, e che non potessero ritenersi tali “quelli intestati ai soci”.

I giudici di appello, per l’effetto, non hanno esaminato né preso in considerazione i dati e gli elementi incontestati, acquisiti agli atti di causa, ed utilizzati dall’Ufficio in sede di rettifica, così omettendo ogni loro valutazione al fine di desumere, in ipotesi, la relativa idoneità a configurare prova presuntiva dei fatti in contestazione.

In buona sostanza, la C.T.R. ha ignorato il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità, che pacificamente riconosce la possibilità dell’Ufficio di porre a base della rettifica dati ed elementi ricavabili dai conti bancari diversi da quelli intestati al contribuente oggetto di verifica e che si limita a fare dei distinguo, non rilevanti nel caso in specie, solo in ordine ai limiti applicativi, opinandosi per un verso (Cass. n. 2738 del 24 febbraio 2001) che, nel caso, l’accertamento riguardi società di persone, il rapporto intercorrente tra socio amministratore e società amministrata e talmente stretto da realizzare, una sostanziale identità degli stessi tale da giustificare, automaticamente, salvo prova contraria, l’utilizzo di dati così raccolti, ed affermandosi in altre pronunce (Cass. n. 2980 dell’1 marzo 2002) l’esigenza che l’Amministrazione provi, anche tramite presunzioni, la sostanziale riferibilità dei conti o dei dati dagli stessi desumibili al soggetto in verifica.

Puntualizzazioni queste ultime che non rilevano, come detto, nel caso in esame, laddove il giudice di merito ha totalmente ignorato la questione offrendo della norma in esame una interpretazione che configura il denunciato vizio.

La seconda deduzione dell’unico motivo del ricorso principale, stante la stretta connessione, va trattata unitamente al mezzo del ricorso incidentale proposto “sub” b).

Trattasi di censure fondate e che vanno accolte entrambe, per quanto di ragione.

La decisione per tali vie viene censurata, da parte dell’Amministrazione, per avere affermato che le operazioni attive non fossero imponibili, in quanto rientranti nella esenzione di cui all’art. 10 n. 18 del D.P.R. n. 633 del 1972, e, dalla contribuente per non avere considerato che, poiché le operazioni imponibili che si assumono non fatturate erano connesse a prestazioni odontoiatriche rese da (omissis), era assolutamente illogico sul piano fattuale e giuridico, riferirle alla società esercente attività commerciale di servizi e nell’impossibilità di renderla per carenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi.

La doglianza pone la soluzione di questione che va decisa alla stregua del principio, pacifico e condiviso (Cass. n. 5984 del 23 aprile 2001n. 7422 dell’1 giugno 2001n. 7411 del 30 maggio 2001) secondo cui “le prestazioni per cure mediche e paramediche rese alla persona nell’esercizio delle professioni ed arti sanitarie soggette a vigilanza ai sensi dell’art. 99 R.D. n. 1265 del 1934 (T.U.L.S.) sono, in applicazione dell’art. 10 n. 18 del D.P.R. n. 633 del 1972, esenti dall’imposta sul valore aggiunto, solo se effettuate da soggetti abilitati al rispettivo esercizio, trattandosi di requisito contemplato dalla norma, in mancanza del quale la prestazione non assume sul piano normativo, carattere sanitario”.

La decisione impugnata risulta emessa in contestuale violazione dell’art. 10 n. 18 del D.P.R. n. 633 del 1972 e del richiamato principio giurisprudenziale sia per avere considerato esente da imposizione le operazioni attive in considerazione, malgrado le stesse sotto il profilo soggettivo non fossero riferibili a soggetto all’uopo abilitato e regolarmente iscritto nell’apposito albo professionale, sia pure per non avere tenuto conto del fatto che, stante i presupposti oggettivi e soggettivi, richiesti dal combinato disposto degli artt. 10 citato e 99 R.D. n. 1265 del 1934 (T.U.L.S.) perché la prestazione possa ritenersi resa nell’esercizio della professione sanitaria, nel caso andava esclusa la possibilità della relativa configurazione per inesistenza dei relativi presupposti, potendo la prestazione sanitaria, nel caso, quella odontoiatrica, essere resa e, quindi, riferibile fiscalmente, solo a soggetto abilitato all’esercizio professionale ed iscritto nell’apposito albo e non già, ad una società commerciale e di servizi.

Infondato è, invece, il primo motivo del ricorso incidentale, concernente l’asserita nullità dell’accertamento per carenze motivazionali, dichiarato assorbito dai giudici di merito, e riproposto in questa sede, alla luce del pacifico orientamento giurisprudenziale secondo cui il requisito motivazionale dell’accertamento esige solo la puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta e l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa che consentano di delimitare l’ambito delle regioni adducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa (Cass. 12 gennaio 2001 n. 260; 21.09-1999 n. 2807).

Nel caso non è revocata in dubbio la sussistenza di tali elementi ma se ne contesta la rilevanza nella considerazione che gli stessi non siano espressione di una autonoma determinazione dell’Ufficio ma la mera riproduzione delle conclusioni del p.v.c. della Guardia di Finanza.

Il che non rileva, sia perché nel momento in cui gli elementi e le considerazioni del verbale vengano riportate nell’avviso di accertamento sono fatte proprie dall’Ufficio che ne assume la “paternità”, sia pure perché, dato il carattere di “provocatio ad opponendum” riconosciuto all’avviso di accertamento quel che rileva è l’esigenza ch’esso consenta al contribuente di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali, onde poterla efficacemente contrastare (Cass. 4 febbraio 2000 n. 1209); conoscenza che, nel caso, non è oggetto di contestazione.

La richiesta di applicazione dello “ius superveniens”, infine, deve ritenersi fondata, tenuto conto che dal tenore dell’impugnata decisione si evince che la relativa questione è stata oggetto di dibattito, sia pure sulla base della previgente normativa, in sede di appello, e che la stessa è stata ritualmente riproposta con il ricorso di legittimità, cioè con il primo atto successivo alla pubblicazione dell’impugnata decisione. Valuterà il giudice del rinvio la sussistenza o meno dei presupposti perché trovi applicazione la più favorevole disciplina introdotta dalla normativa sopravvenuta ed applicabile.

Conclusivamente vanno accolti, per quanto di ragione i due mezzi del ricorso principale, il secondo motivo del ricorso incidentale e la domanda di applicazione dello “ius superveniens” in tema di sanzioni, mentre va rigettato il primo motivo del ricorso incidentale con assorbimento delle ulteriori censure e segnatamente di quella, proposta dalla controricorrente e concernente il merito.

Va, per l’effetto, cassata l’impugnata decisione con rimessione al giudice del rinvio, che si designa in altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, la quale pronuncerà adeguandosi ai richiamati principi e deciderà, anche sulle spese e sulle domande ed eccezioni non esaminate perché assorbite.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li accoglie entrambi per quanto di ragione.

Cassa in relazione ai profili accolti e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte.

Così deciso in Roma il 9 ottobre 2002.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 1 APR. 2003

Allegati

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