Svolgimento del processo
Il Ministro della Giustizia promuoveva azione disciplinare nei confronti di (omissis), addebitandogli di aver violato, nella qualità di Direttore generale della Direzione generale magistrati del Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, i doveri di correttezza e di riserbo, nonchè di aver indebitamente interferito, nell’attività di altri magistrati avendo in più occasioni (segnatamente in sei episodi), sollecitato da conoscenti privati, richiesto informazioni e previsioni sullo stato e l’esito di procedimenti giudiziari, così segnalando implicitamente al magistrato procedente l’interessamento per le sorti processuali dell’una o dell’altra parte.
La Sezione disciplinare del CSM, con decisione in data 9.2/10.3.2009, dichiarava la colpevolezza del magistrato in ordine all’imputazione ascrittagli (violazione del R.D. n. 511 del 1946, art. 18 e del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1 e art. 2, lett. e), per aver violato – nell’esercizio delle funzioni di direttore generale presso il Ministero della Giustizia – il dovere di correttezza e di riserbo, ponendo in atto le condotte di cui al capo di incolpazione e cagionando così nocumento al prestigio dell’ordine giudiziario) e gli infliggeva la sanzione della censura.
Per la cassazione di tale decisione ricorre il Dr. (omissis) sulla base di cinque motivi, illustrati anche con memoria, mentre gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si lamenta violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione al D.Lgs. n. 109 del 2006, artt. 1 e 2; si conviene sul fatto che le incolpazioni ascritte al magistrato rientrano nella normativa di cui si assume la violazione, ma si adduce che te stesse non rientrerebbero in alcuna delle norme contestate o comunque nella normativa de qua, in ragione del fatto che il (omissis) non avrebbe posto in atto le condotte ascrittegli nell’esercizio di finzioni giudiziarie, bensì quando era stato collocato fuori dal Ruolo organico della Magistratura quale Direttore generale dei magistrati presso il Ministero della Giustizia.
Non concorrerebbe neppure nella specie, l’ingiusto danno o l’indebito vantaggio ad una delle parti, situazione non contestata in alcuno dei capi di incolpazione, mentre le condotte addebitate non rientrerebbero neppure nelle ipotesi di cui all’elencazione tassativa delle fattispecie sanzionate fuori dall’esercizio delle funzioni giudiziarie, contenuta nell’art. 3 del D.Lgs. richiamato.
La tesi secondo cui la dizione “nell’esercizio delle funzioni”, che costituisce la rubrica dell’art. 2 più volte citato, non consentirebbe di applicare al Dott. (omissis) la norma suddetta, non può essere condivisa, in primo luogo in quanto sistematicamente la stessa va letta in correlazione con la rubrica del successivo art. 3, che contiene l’elencazione delle fattispecie punibili ai sensi di tale ultimo articolo e basta leggere le ipotesi sanzionale ivi previste per rendersi conto che le due norme non hanno se non in modo molto limitato la funzione di distinguere, a fini disciplinari, i magistrati a seconda dell’esercizio o meno delle funzioni giudiziarie, ma il diverso senso di prevedere ipotesi di responsabilità disciplinare che possono rilevare a prescindere dal fatto che il magistrato che le ponga in atto eserciti o meno le funzioni stesse, senza peraltro escludere che chi in atto non eserciti funzioni giudiziarie non possa essere per ciò solo chiamato a rispondere delle ipotesi di cui agli artt. 1 e 2 del D.Lgs. ricordato.
Premesso che solo in quanto magistrato il Dott. (omissis) ha potuto essere nominato Direttore generale presso il Ministero della Giustizia, ciò che rileva, ai fini della responsabilità disciplinare, è lo status dell’appartenenza all’Ordine giudiziario, che non viene meno per il fatto che al magistrato siano state conferite funzioni amministrative, segnatamente in ragione del fatto che, nel caso che ne occupa, come si rilevava dianzi, solo la qualifica di magistrato ha consentito il conferimento di tali funzioni.
La stessa Corte costituzionale (v. sentenza n. 224 del 2009), come del resto le Sezioni unite penali di questa Corte (v. sentenza n. 7992 del 2005), hanno chiaramente ribadito, sotto profili diversi ma in definitiva convergenti, il concetto secondo cui il magistrato collocato fuori ruolo mantiene tutte le connotazioni tipiche del suo status e pertanto non può essere considerato, nel suo operare, come non esercitante le funzioni caratterizzanti l’appartenenza in atto all’Ordine giudiziario.
In ragione delle considerazioni svolte, il primo motivo deve essere respinto.
Il secondo ed il terzo motivo, riferiti entrambi alla utilizzazione, nel caso che ne occupa, delle intercettazioni telefoniche, sia pure sotto profili diversi, possono essere trattati congiuntamente, pur nel rispetto delle diversità delle doglianze espresse al riguardo.
In particolare, con il secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 15 Cost., e del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, artt. 16 e 18, in relazione all’art. 270 c.p.p.: si contesta infatti l’utilizzazione delle risultanze delle intercettazioni telefoniche disposte in un procedimento penale, in quanto l’art. 270 c.p.p., comma 1, precluderebbe l’utilizzazione delle stesse in una sede diversa dal procedimento penale.
Con il terzo motivo (violazione dell’art. 24 Cost., comma 2 e art. 111 Cost., comma 2, e del D.Lgs. n. 109 del 2006, artt. 16 e 18, in relazione alla ritenuta legittimità delle intercettazioni telefoniche utilizzate come fonte di prova in sede disciplinare in quanto, pur avendo la Sezione disciplinare statuito che l’impiego delle stesse doveva ritenersi consentito solo nel rispetto dei diritti fondamentali, non sarebbero stati acquisiti gli atti del procedimento penale sulla cui base condurre la relativa verifica.
Inoltre, le modalità di utilizzazione seguite nella specie dal giudice disciplinare costituirebbero una lesione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, non essendo stata effettuata in sede penale la perizia sul contenuto delle intercettazioni riferibili all’incolpato e non essendo state acquisite le relative trascrizioni per verificare l’effettiva consistenza delle dichiarazioni riportate dalla nota dell’Ispettorato.
In ogni caso, anche a non voler prevedere per il rito disciplinare l’osservanza di tutte le garanzie previste in sede penale, dovrebbe dovuto essere assicurato all’incolpato un minimo di garanzie al fine di poter verificare l’effettiva corrispondenza delle dichiarazioni registrate con quelle sommariamente indicate nei verbali depositati.
La materia della utilizzazione delle intercettazioni telefoniche, disposte in un procedimento penale, nel procedimento disciplinare instaurato, secondo il nuovo rito, nei confronti di un magistrato è stato affrontato da ultimo con la pronuncia di queste Sezioni unite (n 12717 del 29.5.2009), con cui il problema e stato analizzato nei suoi diversi profili.
Per quanto attiene all’inutilizzabilità, è stato ritenuto che le intercettazioni in questione possono essere utilizzate al fine di riscontrare il presupposto dei “gravi elementi di fondatezza dell’azione disciplinare” per l’adozione della misura cautelate del trasferimento di ufficio, se le intercettazioni stesse siano state legittimamente disposte ed effettuate nel corso di un procedimento penale.
E’ stata in particolare rilevato il cambiamento di giurisprudenza avutosi al riguardo in sede di procedimento disciplinare dalla prima Sezione del CSM (v. decisione n 52 dell’11.5.2007) per poi richiamare la giurisprudenza di legittimità che ha stabilito l’inoperatività della restrizione posta dall’art. 270 c.p.p., comma 1, nel giudizio di prevenzione, che pure ha una connotazione “penalistica” e ciò a differenza del procedimento disciplinare per i magistrati.
Secondo il condiviso avviso di questa Corte, il citato art. 270, comma 1, riguarda specificamente il processo penale, deputato all’accertamento delle responsabilità appunto penali che pongono a rischio la libertà personale dell’imputato (o dell’indagato), cosa questa che giustifica l’adozione di limitazioni più stringenti in ordine all’acquisizione della prova, in deroga al principio fondamentale della ricerca della verità materiale.
In ragione di tanto, è solo con riferimento ai procedimenti penali che una ipotetica, piena utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni nell’ambito di procedimenti penali diversi da quello per cui le stesse intercettazioni erano state validamente autorizzate contrasterebbe con le garanzie poste dall’art. 15 Cost. a tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni.
In relazione poi al profilo della utilizzabilità in concreto, è stato precisato che presupposto per l’utilizzo esterno delle intercettazioni è la legittimità delle stesse nell’ambito del procedimento in cui sono state disposte.
Peraltro, le Sezioni unite penali (v. sentenza n 45819 del 7.11.2004) hanno ritenuto che quando si eccepisce la inutilizzabilità dei risultati di intercettazioni telefoniche disposte in altri procedimenti ed acquisite a procedimento in corso è onere della parte produrre al giudice gli elementi da cui desumere l’eccepita inutilizzabilità sulla base degli atti rilevanti nel procedimento originario che la parte ha diritto di ottenere a tal fine, in applicazione dell’art. 116 c.p.p. (nello stesso senso, da ultimo, Cass, Sez. sesta penale n 6875 del 15.1.2009).
Le considerazioni sin qui svolte conducono, in primo luogo a far ritenere la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale riferita al parametro costituito dall’art. 15 Cost., in quanto l’interpretazione surriferita e le ulteriori ragioni esposte al riguardo nella sentenza impugnata, che devono intendersi qui richiamate, consentono di escludere qualunque vulnus a dettato costituzionale de quo ed altresì di ritenere l’inconsistenza delle doglianze comunque riferite all’utilizzazione delle intercettazioni telefoniche nel procedimento disciplinare, attesa la valenza da attribuirsi nella presente sede agli artt. 270 e 271 c.p.p..
Per ciò che attiene poi alla censura riferita alla mancata effettuazione di perizia sulle intercettazioni telefoniche ed alla mancata produzione in atti delle trascrizioni integrali delle stesse, deve rilevarsi che non può assumere valenza una siffatta doglianza se non si contesta al contempo l’esistenza ed il contenuto dei colloqui avutisi, atteso che spetta al prudente apprezzamento del giudice valutare se sia necessario approfondire o meno la valenza a fini disciplinari delle telefonate; in altre parole, non può dirsi violato (e neppure compromesso) il diritto di difesa in un procedimento disciplinare in ragione di una carenza non significativa in relazione agli addebiti mossi, atteso che non si contesta nè la sussistenza nè il senso testuale delle conversazioni su cui l’incolpazione si basa in ragione anche del fatto che stralci delle conversazioni telefoniche utilizzate erano riportate testualmente, nella nota dell’Ispettorato (cons. Cass. Sez. seconda penale, n. 2519 del 28.5.2008).
Le considerazioni così svolte consentono per un verso di dichiarare la conseguente manifesta infondatezza delle questione di legittimità costituzionale prospettata con riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., e di escludere la violazione delle norme richiamate: tanto comporta conseguentemente la reiezione del secondo e del terzo motivo di ricorso.
Con il quarto ed il quinto motivo, si prospettano vizi di motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio in relazione ai singoli episodi contestati: ricordato che per vizio di motivazione si intendono le carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato fuori dal senso comune o ancora mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi, mentre il ricorrente non può far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento della parte e, in particolare, proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti (v. Cass. SS.UU. N. 27689 del 16.12.2005) e che il vizio di contraddittoria motivazione presuppone inoltre che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in modo tale da elidersi a vicenda, e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi e cioè l’identificazione del processo logico- giuridico posto a base della decisione adottata (v. Cass. SS.UU. n. 2732 del 5.2.2009, i due motivi possono essere trattati congiuntamente e con riguardo a Ciascuno degli episodi contestati.
Per ciò che attiene alla vicenda di mons. (omissis), è indiscusso che i contatti telefonici ci furono e non soltanto con riferimento ad un addotto profilo di onorabilità del soggetto, atteso che in una conversazione questi allude sia pure sotto neppure velata metafora a tal (omissis), che era uno dei soggetti incriminati per una vicenda di criminalità locale. La decisione impugnata riporta testualmente uno stralcio della richiesta di archiviazione del P.M., da cui emergono chiaramente tutte le motivazioni che sorreggono l’ipotesi di illecito disciplinare ascritta al Dott. (omissis) ed in particolare la nulla valenza della tesi sostenuta dal teste (omissis), che, nell’ammettere i contatti con il (omissis), ha addotto che gli stessi avrebbero riguardato solo le notizie di stampa riferite alla vicenda an cui, oltre al (omissis), erano implicati il (omissis) ed altri soggetti, atteso che appare del tutto inverosimile che il Dott. (omissis) si fosse rivolto ad un ufficiale dei Carabinieri, già in servizio quale Comandante provinciale dei Carabinieri di (omissis) solo per conoscere notizie riportate dalla stampa. Chiarito il motivo della conseguente inattendibilità del teste (omissis), va anche detto che Mons. (omissis) aveva, sempre telefonicamente, informato il Dott. (omissis) di essere stato convocato dalla P.G. per essere sentito al riguardo.
Quanto infine al rilievo secondo cui all’epoca il (omissis), era ufficiale dei Carabinieri e non magistrato, all’epoca nemmeno svolgente funzioni di P.G., è agevole replicare come risulti evidente dal contesto della vicenda che l’ufficiale era persona adatta ad ottenere informazioni riservate, rivolgendosi ai giudici impegnati nell’inchiesta e che quindi, almeno indirettamente, questo fosse lo scopo del Dott. (omissis).
Quanto all’episodio (omissis), la vicenda è molto chiara: il Dott. (omissis), sollecitato dall’illustre professore, si rivolse alla titolare dell’inchiesta, che gli comunicò notizie attinenti al procedimento, e le chiese di affrettare i tempi per l’interrogatorio degli indagati, circostanze queste inequivoche.
Non può essere revocato in dubbio che sia la carica allora ricoperta dal Dott. (omissis), sia la insistenza da quest’ultimo manifestata, siano stati elementi che hanno indotto la collega a fornire clementi che non avrebbe certo fornito all’interessato al di lui legale. Nella motivazione adottata, anch’essa supportata dalla richiesta di archiviazione del P.M., non si scorgono contraddittorietà o carenze.
Ancor meno si presta a censure l’episodio del (omissis), che chiese al (omissis) di interessarsi di una causa di divorzio che lo interessava per cui pendeva giudizio di fronte alla Corte di appello di Roma: il magistrato si è messo in contatto con due colleghi per conoscere il numero telefonico di uno del componenti del collegio, e, a seguito dell’esito negativo dell’impugnazione, ha egli stesso detto al suo interlocutore che un voto a favore c’era stato, ma che era arrivato tardi. Senza voler affermare che il consigliere che si era dissociato dai colleghi fosso effettivamente stato raggiunto e convinto dal (omissis), atteso che il contenuto della telefonata poteva essere il frutto di millanteria, è evidente l’intento di interferire in una decisione giudiziaria, cosa questa che risulta dalla motivazione adottata che non e contraddittoria e che anzi, risponde a canoni di intima coerenza e non presenta lacune.
(omissis) è il fratello di un operaio edile che lavorava al rifacimento della casa di (omissis) del Dott. (omissis), ed aveva in corso una controversia relativa ad un autoveicolo; il Dott. (omissis), già Presidente del tribunale di Lagonegro, ha contattato un suo ex cancelliere per ottenere tutte le notizie risultanti dal fascicolo e il numero telefonico del magistrato incaricato; non può essere revocato in dubbio che una interferenza nell’attività giudiziaria ci sia stata e che la sentenza impugnata abbaia fornito ampia e conferente motivazione sulla sussistenza dell’illecito disciplinare.
L’episodio D.M. poi è assolutamente inequivoco: il Direttore generale dei magistrati si rivolge al Procuratore della Repubblica di Paola, perchè riceva un suo conoscente, interessato ad una vicenda in corso, con ciò manifestando chiaramente il suo interessamento a favore di questi ed ottiene che vengano ricevute due persone, e chi al colloquio sia presente anche il magistrato titolare dell’inchiesta: deve osservarsi che anche in questo contesto, i fatti parlano da soli e che pertanto la motivazione è assolutamente completa, convincente ed immune da vizi.
La vicenda del (omissis) infine appare anch’essa dai contorni ben definiti; questo giovane, arrestato perchè in possesso di oltre mezzo chilo di sostanza stupefacente, è figlio di un magistrato deceduto, già Presidente del tribunale di Lecco, ove il Dott. (omissis) aveva prestato servizio. La mamma in lacrime aveva chiesto conforto al Dott. (omissis), che si era messo in contatto con il P.M. incaricato dell’inchiesta, facendole presente la situazione personale del ragazzo e chiedendole quale procedura avrebbe seguito.
Significativamente, il P.M., Dott.ssa (omissis), ha deposto nel senso secondo cui, per come rammentava la telefonata, la raccomandazione era implicita.
Considerato come, anche per tale episodio la motivazione sia esaustiva ed immune da contraddittorietà, i due motivi in esame si appalesano privi di pregio e vanno pertanto respinti.
Va infine considerato che la stessa reiterazione degli episodi e le diversità intrinseche delle condizioni dei soggetti per i quali il Dott. (omissis) ha posto in atto i comportamenti ricordati, manifestano una condotta anche nel suo complesso lesiva dei bene giuridico tutelato, frutto probabile di leggerezza, ma non per questo immune da responsabilità disciplinari.
Il ricorso deve dunque essere respinto.
Non v’ha luogo a provvedere sulle spese.
Ricorrono i presupposti di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52, comma 2 (Codice in materia di protezione dei dati personali), e pertanto, come espressamente richiesto in ricorso deve essere disposta, a tutela dei diritti e della dignità delle persone coinvolte, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, l’omissione delle indicazioni delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati nella sentenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2009
