Massima

È inammissibile il regolamento di giurisdizione proposto in pendenza di un processo di esecuzione forzata o di giudizi di opposizione che in esso si inseriscano, dovendo l’ambito di applicazione di tale rimedio processuale ritenersi circoscritto ai confini del processo di cognizione.

Supporto alla lettura

REGOLAMENTO DI GIURISDIZIONE

L’art. 41 c.p.c. stabilisce che finché la causa non è decisa nel merito in primo grado, ciascuna parte (sia l’attore sia il convenuto) può chiedere alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione la risoluzione espressa delle questioni di giurisdizione derivanti dall’art. 37 c.p.c.

La Corte di Cassazione adita emetterà apposita ordinanza in camera di consiglio mediante la quale fisserà definitivamente l’estinzione del procedimento a quo, sarà poi il Giudice legittimato a decidere la controversia e dinanzi al quale le parti potranno scegliere di riassumere il processo con conservazione degli effetti processuali precedentemente prodottisi.

Il regolamento preventivo di giurisdizione ha una tipica funzione di economia processuale in quanto fa sì che la causa venga instaurata dinanzi al Giudice “competente” onde evitare che sorgano, in pendenza di giudizio, questioni relative alla corretta individuazione della giurisdizione e che la macchina giudiziaria subisca un consistente rallentamento.

Ambito oggettivo di applicazione

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La società Eco House s.r.l. propone regolamento di giurisdizione ex art. 41 c.p.c., sulla base di unico motivo illustrato da memoria, avverso il decreto Trib. Roma d.d. 20/10/2014 di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, costituito dalla sentenza Cons. Stato 28/12/2012 n. 699, oggetto di opposizione a precetto ex art. 615 c.p.c. proposta dalla Regione Lazio, con domanda riconvenzionale di declaratoria di insussistenza del diritto della precettante a procedere ad esecuzione forzata nei suoi confronti.

Resiste con controricorso la Regione Lazio.

Con requisitoria scritta del 22/6/2015 il P.G. presso la Corte Suprema di Cassazione ha chiesto dichiararsi inammissibile il regolamento “proposto in pendenza di un processo di esecuzione”.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con unico motivo la ricorrente denunzia violazione del D.Lgs. n. 104 del 2010, artt. 134 e 111 Cost., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1.Si duole che la “domanda riconvenzionale” spiegata da controparte depone per la instaurazione di “un vero e proprio giudizio di cognizione sulla sentenza del giudice amministrativo”, che “esula dalla giurisdizione del giudice ordinario poichè la decisione dovè scaturire esclusivamente dall’interpretazione del provvedimento del giudice amministrativo e solo tale giudice ha il potere di interpretare il proprio operato”.

Lamenta che “il giudice ordinario, investito da opposizione all’esecuzione, deve limitarsi all’applicazione del dispositivo della sentenza amministrativa e non può, mediante un’attività ermeneutica stravolgere tale dispositivo, trasformandolo in qualcosa di diverso e, addirittura, peggiorativo per la parte che la sentenza amministrativa ha ritenuto vittoriosa”, laddove “nel caso in esame il giudice ordinario si è spinto all’interpretazione della motivazione con cui la sentenza amministrativa ha accolto il ricorso in appello della società ricorrente”, mentre “spetta solo al G.A. il potere di determinare il significato da attribuire alla propria decisione”.

Si duole che l’opposizione di controparte sia “mirata ad ottenere in via esecutiva quanto negato dalla sentenza del Cds e, soprattutto, tentando una irrituale rimessione in termini per esperire i rimedi posti dall’ordinamento a tutela di simili situazioni (presunto contrasto tra motivazione e dispositivo)”, sicchè “il Tribunale di Roma… ha sconfinato dal potere giurisdizionale procedendo al controllo sul contenuto intrinseco del titolo; tale controllo, già normalmente vietato al giudice dell’esecuzione, diventa eccesso di potere giurisdizionale quando il titolo esecutivo posto a base dell’esecuzione è un provvedimento giurisdizionale del giudice amministrativo che…ha l’esclusivo potere di interpretare le proprie sentenze ed è vietato al giudice appartenente ad un ordine diverso il potere cognitivo sul contenuto della sentenza posta a base dell’esecuzione”.

Il ricorso è inammissibile.

In presenza di atto di citazione della Regione Lazio in opposizione a precetto notificatole dalla società odierna ricorrente sulla base di titolo esecutivo costituito dalla sentenza Cons. Stato 18/12/2012, con istanza dell’opponente di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo nonchè “domanda riconvenzionale” di declaratoria di insussistenza del diritto della società Eco House s.r.l. a procedere all’esecuzione forzata per avere nelle more dell’appello già corrisposto, stante l’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, somma superiore a quella determinata in via definitiva nella suindicata pronunzia di secondo grado, con decreto emesso inaudita altera parte l’adito tribunale ha sospeso l’efficacia esecutiva del titolo e ha fissato udienza “per la conferma, modifica o revoca in contraddittorio del presente decreto, nonchè per l’esame del merito dell’opposizione”, in ragione della ravvisata “verosimile fondatezza” delle “allegazioni dell’opponente”, in base all'”esame coordinato del dispositivo e della parte motiva della sentenza” del Consiglio di Stato oggetto dell’opposizione.

Come (dopo la pronunzia Cass., 26/10/2000, n. 1139) queste Sezioni Unite hanno già avuto modo di affermare, a seguito della formulazione dell’art. 367 c.p.c., come introdotta dalla L. n. 353 del 1990, art. 61 il disposto dell’art. 41 c.p.c. deve essere interpretato nel senso dell’inammissibilità del regolamento di giurisdizione proposto in pendenza di un processo di esecuzione, dovendo l’ambito di applicazione del detto rimedio processuale ritenersi circoscritto entro i confini del processo di cognizione, rispetto al quale soltanto è possibile riconoscere resistenza di un giudice istruttore e di un collegio, mentre nel processo esecutivo esiste solo un giudice dell’esecuzione. Con la conseguenza che neppure nei giudizi di opposizione che si inseriscono nel corso dell’esecuzione risulta ammissibile il suddetto regolamento giacchè la decisione che pub essere chiesta con l’istanza atterrebbe, in astratto, solo alla giurisdizione a conoscere dell’opposizione, che, peraltro, non può che spettare al giudice ordinario una volta che il processo esecutivo sia iniziato dinanzi al medesimo (v. Cass., Sez. Un., 7/7/2009, n. 15855; Cass., Sez. Un., 27/5/2008, n. 13633; Cass., Sez. Un., 13/12/2007, n. 26109).

Ne consegue, quale corollario, che tutte le questioni concernenti il problema se esista o meno un titolo esecutivo, o se il credito sia o meno liquido ed esigibile, può riguardare soltanto la legittimità dell’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., ma non la giurisdizione, la quale è attribuita sempre al giudice ordinario nell’esecuzione forzata per crediti di somme di denaro, qualunque sia l’origine di questi e senza che a siffatto principio si sottragga la P.A. debitrice (v. già Cass. Sez. Un. n. 7631 del 1993, Cass. Sez. Un. n. 12060 del 1993).

Orbene, siffatto principio trova anche nel caso applicazione, essendosi dalla Regione Lazio spiegata opposizione ex art. 615 c.p.c. all’intimato precetto deducendo, come indicato nel provvedimento del giudice del merito de quo nonchè dal P.G. nella sua requisitoria scritta, l'”insussistenza del diritto” dell’intimante società Eco House s.r.l. “a procedere all’esecuzione preannunciata con il precetto opposto”.

Emerge evidente come nella specie si tratti di questione attinente alla tutela esecutiva del suindicato titolo costituito dalla sentenza Cons. Stato n. 6699 del 2012, risultando introdotta, pur se relativamente a sentenza emessa da giudice diverso da quello ordinario, controversia concernente la legittimità dell’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. in virtù di diritto soggettivo fatto valere dalla parte originaria intimante ed odierna opposta, la cui cognizione spetta pertanto all’A.G.O., chiamata al controllo dei limiti interni del potere giurisdizionale (cfr. Cass., Sez. Un., 31/3/2006, n. 7578).

Le spese di regolamento, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di regolamento, che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre a spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.Così deciso in Roma, il 8 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2016

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