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Cassazione civile sez. un., 15/11/2024, n. 29546

Massima

L’azione disciplinare nei confronti dell’avvocato si prescrive nel termine di sette anni e mezzo, decorrente dal giorno della commissione dell’ultima condotta illecita, ai sensi dell’art. 56 della legge n. 247 del 2012. La prescrizione è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, anche in sede di legittimità, e la sua dichiarazione determina la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, con conseguente assorbimento di ogni altra questione.

Supporto alla lettura

PROCEDIMENTO DISCIPLINARE A CARICO DEGLI AVVOCATI

Introdotto dalla l. n. 247/2012 di riforma dell’ordinamento della professione forense, ha previsto diverse novità rispetto al vecchio impianto normativo risalente alla legge professionale del 1933.

In attuazione della riforma, il nuovo Codice Deontologico Forense, emanato il 31 gennaio 2014 ed entrato in vigore il 15 dicembre 2014, ha provveduto alla tipizzazione degli illeciti disciplinari e delle relative sanzioni, mentre i successivi regolamenti di attuazione, n. 1 e 2/2014 entrambi pubblicati il 31 marzo 2014, hanno dettato le norme in materia di “Elezione dei componenti dei Consigli distrettuali di disciplina”, nuovi organi competenti a gestire il procedimento disciplinare, e le fasi dello stesso dinanzi ai Cdd.

Il procedimento disciplinare consta di tre fasi:

  1. la prima, preliminare: in cui viene acquisita la notizia dell’illecito e viene svolta l’istruttoria pre-procedimentale entro sei mesi dall’iscrizione della notizia stessa nell’apposito registro;
  2. la seconda, in cui avviene la formulazione del capo di incolpazione e la citazione a giudizio, ovvero la deliberazione dell’archiviazione;
  3. la terza, infine, del dibattimento e della decisione, che può concludersi con il proscioglimento (con formula “non esservi luogo a provvedimento disciplinare”) ovvero con un richiamo verbale nel caso di infrazioni lievi o, infine, con l’irrogazione della sanzione.

Il Cdd competente è quello del distretto in cui l’avvocato (o il praticante) è iscritto oppure quello nel cui territorio è stato compiuto il fatto oggetto di indagine o di giudizio disciplinare.

Una volta ultimata la fase decisoria, copia del provvedimento deve essere notificata, da parte della segreteria del Cdd, sia all’incolpato che al Consiglio dell’Ordine presso cui lo stesso è iscritto, nonché al pubblico ministero e al procuratore generale presso la corte d’Appello del distretto in cui ha sede il Cdd.

Contro la decisione, è possibile proporre ricorso, entro trenta giorni dalla notifica. Soggetti legittimati a ricorrere sono: l’incolpato; il Consiglio dell’ordine presso cui l’incolpato è iscritto e il procuratore generale presso la corte d’appello.

Ove decorrano i termini per l’impugnazione, la decisione diviene esecutiva e il Consiglio dell’ordine presso il cui albo è iscritto l’incolpato deve provvedere all’esecuzione delle sanzioni disciplinari inflitte.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTI DI CAUSA
1. Con la sentenza impugnata il Consiglio Nazionale Forense (di seguito anche CNF) ha rigettato il ricorso dell’Avvocata (omissis) avverso la decisione del Consiglio distrettuale di disciplina (di seguito anche CDD) di (omissis), depositata in data 20 febbraio 2020, che, accertata la sussistenza di quattro dei cinque addebiti ad essa ascritti (capi 1, 3, 4 e 5), aveva irrogato la sanzione disciplinare della sospensione dall’attività professionale per la durata di anni quattro.

Le contestazioni traevano origine da separato procedimento penale per i delitti p. e p. dagli artt. 110 c.p. e 12, comma 5, D.Lgs. n. 286 del 1998 (T.U. Immigrazione) e dagli artt. 81 cpv. c.p. e 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 (T.U. Stupefacenti) – di cui ad oggi è noto solo che è stato definito con sentenza di condanna alla pena, sospesa, di anni 1 e mesi 3 di reclusione ed € 3.000,00 di multa, confermata in appello – ed erano formulati nei seguenti capi di incolpazione:

“1) avere, in violazione dei doveri di probità, dignità e decoro di cui all’art. 9 CDF e dell’art. 4 comma 2 CDF, commettendo altresì il reato di cui agli artt. 81 c.p. e 73 comma 5 D.P.R. 309/90, fornito ripetutamente sostanza stupefacente (del tipo cocaina) alle proprie praticanti (omissis), (omissis) e (omissis), consumandola insieme a queste ed altri all’interno ed all’esterno dello studio professionale. In (omissis) ed altrove dall’ottobre 2014 all’ottobre 2016;”

“3) avere, in violazione dei doveri di probità, dignità e decoro di cui all’art. 9 CDF e dell’art. 40 II comma CDF, omesso di riconoscere alle proprie praticanti (omissis), (omissis) e (omissis) alcun compenso e comunque un compenso adeguato. In (omissis) ed altrove dall’ottobre 2014 all’ottobre 2016;”

“4) avere, in violazione dei doveri di probità, dignità e decoro di cui all’art. 9 CDF e dell’art. 23 III comma CDF, intrattenuto con propri clienti non identificati (tra i quali (omissis)) rapporti consistenti nell’acquisizione di stupefacenti dai clienti medesimi, idonei a influire sul rapporto professionale con questi. In (omissis) ed altrove dall’ottobre 2014 all’ottobre 2016;”

“5) avere, in violazione dei doveri di probità, dignità e decoro di cui all’art. 9 CDF e dell’art. 4 comma 2 CDF, commettendo altresì il reato di cui agli artt. 110 c.p. e art. 12 comma V D.Lgs. 286/98, svolto la funzione di testimone alla celebrazione del matrimonio civile tra (omissis) e (omissis), matrimonio simulato e contratto al solo fine di consentire al suddetto (omissis) di ottenere il permesso di soggiorno ed evitare l’espulsione dal territorio italiano. In (omissis) il 27/09/2016″.

2. Avverso tale decisione l’Avv. (omissis) propone ricorso per cassazione davanti a queste Sezioni Unite, articolando tre motivi.

Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di (omissis) è rimasto intimato.

3. Il Procuratore Generale ha depositato memoria concludendo per il rigetto del ricorso.

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia “in via pregiudiziale, con riferimento al capo di incolpazione n. 4, violazione e falsa applicazione dell’art. 56 della L. n. 247 del 2012”.

Rileva che da una più attenta analisi dei verbali relativi alle informazioni acquisite nell’ambito delle indagini penali, emergono dei dati che smentiscono la circostanza (solamente presunta nel capo predetto d’incolpazione) che i fatti oggetto del ridetto capo di incolpazione n. 4 si siano protratti fino al mese di ottobre 2016, dal momento che le deposizioni testimoniali poste a fondamento consentono di ritenere che la cessione di stupefacente all’interno dello studio può essere avvenuta al più tardi fino al mese di marzo 2016, avendo la teste (omissis) riferito di non aver mai assistito ai fatti addebitati all’Avv. (omissis) e la teste (omissis) riferito che la cessione di sostanza stupefacente nei suoi confronti era durata dal mese di Aprile 2014 sino al mese di marzo 2016, mentre l’altra praticante ((omissis)) – l’ammissione della cui deposizione, resa nel dibattimento penale, è peraltro contestata ad altri fini con il secondo motivo – ha riferito a sua volta di aver lasciato lo studio nel mese di marzo 2016.

Sostiene pertanto che, computando il termine prescrizionale massimo di sette anni e sei mesi ex art. 56 L. n. 247 del 2012, l’azione disciplinare riferita al detto capo d’incolpazione avrebbe dovuto essere dichiarata prescritta.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 23, lett. C), del Regolamento del CNF n. 2/2014 (a mente del quale “gli esposti e le segnalazioni inerenti alla notizia di illecito disciplinare e i verbali di dichiarazioni testimoniali redatti nel corso dell’istruttoria, che non sono stati confermati per qualsiasi motivo in dibattimento, sono utilizzabili per la decisione solo nel caso in cui la persona dalla quale provengono sia stata citata come teste per il dibattimento”) per avere il C.F.N. confermato la decisione del C.D.D. anche quanto alla ritenuta fondatezza dell’addebito di cui al capo n. 3 sebbene quel giudice avesse tratto convincimento anche dalla deposizione resa dalla teste (omissis) nel processo penale a domanda del P.M., ma non confermata nel giudizio disciplinare, non essendo stata la predetta indicata dal CDD di B nell’elenco dei testimoni che la Sezione giudicante intendeva ascoltare e ciò sebbene tale violazione del regolamento fosse stata denunciata con il quarto motivo di gravame.

3. Con il terzo motivo – rubricato “violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 59, lett. m.), della L. n. 247 del 2012 (obbligo di motivazione), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.” la ricorrente svolge tre censure.

3.1. Con la prima (ptt. III.1 – III. 15 del ricorso, pagg. 15 – 18) lamenta, con riferimento agli addebiti di cui ai capi nn. 1 e 4 d’incolpazione, che il CNF abbia confermato la sanzione inflitta basandosi soltanto sulle testimonianze fornite dalle praticanti dello studio e senza tenere in alcuna considerazione le deposizioni rese dai testi chiamati dalla difesa, Avv. (omissis) e Avv. (omissis), le quali avevano entrambe confermato di non aver mai visto nessuno fare uso di stupefacenti all’interno dello Studio.

Rileva al riguardo che:

– il C.D.D. aveva affermato che “le dichiarazioni dell’Avv. (omissis) non hanno neppure scalfito la fondatezza degli addebiti relativi ai capi di incolpazione nn. 1) e 4), perché da ciò che è emerso la stessa era completamente all’oscuro sia dell’uso di cocaina da parte dell’Avv. (omissis) che da parte delle Dott. sse (omissis) e (omissis) (uso, invece, ammesso e descritto nei particolari dalle due praticanti);

– tale valutazione è irragionevole dal momento che se l’Avv. (omissis) ha dichiarato “di non avere mai visto nessuno fare uso di droga all’interno dell’ufficio”, ciò significa non che la stessa fosse “all’oscuro” dei fatti addebitati all’Avv. (omissis), ma semplicemente che la medesima teste ha reso una dichiarazione in contrasto con quanto testimoniato dalle dott.sse (omissis) e (omissis);

– su tale punto, sebbene “rilevato dal secondo motivo di ricorso”, il CNF ha omesso di prendere posizione, in violazione dell’obbligo di motivazione sancito dall’art. 111 Cost. e dall’art. 59, lett. m.), della L. n. 247 del 2012.

3.2. Con la seconda censura (ptt. III. 16 – III. 17 del ricorso, pagg. 18 – 19) rileva che, pur tenendo conto dei fatti testimoniati dalle sole due praticanti (omissis) e (omissis), la prescrizione dell’azione disciplinare sarebbe maturata anche in relazione ai capi di incolpazione nn. 1 e 4 già nel mese di settembre 2023, prima ancora della camera di consiglio del 19/10/2023 in cui il CNF ha deciso sul ricorso con l’impugnata sentenza, depositata in data 27/12/2023.

3.3. Con la terza censura (ptt. III. 18 – III. 21 del ricorso, pagg. 19 – 20) la ricorrente denuncia infine carenza di motivazione in relazione alla confermata sussistenza dell’illecito contestato con il capo 5) d’incolpazione, senza motivare sulla circostanza che, come dedotto con l’atto di gravame, essa aveva agito in totale buona fede, essendosi invece limitato a statuire che “l’avv. (omissis) non contesta la sua presenza ed il suo ruolo” in quella vicenda e che, pertanto, la sua responsabilità disciplinare dovesse essere affermata sulla base del solo rapporto professionale tra la stessa incolpata ed il nubendo.

4. Con la memoria depositata in data 11 ottobre 2024 la ricorrente rileva che, nelle more del giudizio, è comunque maturata la prescrizione in relazione a tutti gli addebiti posto ad oggetto della sentenza impugnata, e ciò anche assumendo quale termine di decorrenza del relativo termine quello indicato nei rispettivi capi d’incolpazione, per tutti fissato al più tardi nel mese di ottobre del 2016.

4. L’eccezione di intervenuta prescrizione dell’azione disciplinare, sollevata in questa sede, è ammissibile, in quanto la prescrizione dell’azione disciplinare è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio e la sua soluzione non comporta indagini fattuali (che sarebbero precluse in questa sede), essendo pacifici i dati assunti (v. Cass. Sez. U. 04/11/2022, n. 32634).

5. L’eccezione è, altresì, fondata, nei termini di seguito precisati.

6. Il regime di prescrizione applicabile è, ratione temporis, quello introdotto dall’art. 56 della legge n. 247 del 2012, essendo stati tutti gli illeciti contestati commessi successivamente al 2 febbraio 2013, data di entrata in vigore della disposizione.

Nel nuovo ordinamento professionale forense, la prescrizione, al di là degli effetti della sospensione e dell’interruzione, non può comunque essere prolungata di oltre un quarto rispetto ai sei anni indicati nel comma 1 dell’art. 56; pertanto, il termine complessivo di prescrizione dell’azione disciplinare deve intendersi fissato in sette anni e mezzo.

Si tratta di una novità della nuova legge professionale, la quale segue, sotto questo profilo, criteri di natura penalistica, laddove secondo la disciplina previgente, ispirata a un criterio di natura civilistica, la prescrizione, una volta interrotta, riprendeva a decorrere nuovamente per altri cinque anni.

7. Quanto al termine di decorrenza della prescrizione, occorre considerare che nella specie, mentre l’illecito contestato al capo 5 ha riguardato un’unica condotta posta in essere il 27 settembre 2016, gli illeciti contestati ai capi 1, 3 e 4 si sono sostanziati in una pluralità di condotte.

Poiché il termine di prescrizione è stato interrotto con la comunicazione all’iscritto della notizia dell’illecito (il 21 novembre 2019), nonché dalla notifica della decisione del Consiglio distrettuale di disciplina e della sentenza pronunciata dal CNF (rispettivamente avvenuta il 21 maggio 2020 e il 9 gennaio 2024), opera il termine massimo di prescrizione dell’azione disciplinare di sette anni e mezzo.

Anche individuando il dies a quo del termine di prescrizione, quanto ai capi 1, 3 e 4, nel compimento dell’ultima condotta contestata, e quindi in una data prossima ma non successiva al 31 ottobre 2016, tale termine, quantunque operante nel massimo (sette anni e mezzo), è da intendere spirato nel corso del processo.

8. L’intervenuta prescrizione dell’azione disciplinare determina la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, restando assorbito l’esame nel merito delle censure.

9. La sopravvenuta maturazione della prescrizione durante la pendenza del giudizio di cassazione giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
Pronunciando sul ricorso, cassa senza rinvio la sentenza impugnata per intervenuta prescrizione dell’azione disciplinare.Dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 ottobre 2024.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2024.

Allegati

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