FATTI DI CAUSA
1. – Con sentenza n.616 del 2020, la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Lazio condannava il signor (omissis), in qualità di commissario straordinario della (omissis), per aver affidato alla (omissis) s.r.l. la gestione di un asilo nido, sito nel compendio immobiliare di proprietà dell’ente, a fronte di un corrispettivo incongruo e, comunque, difforme rispetto alle risultanze delle stime peritali eseguite per la determinazione del canone di locazione.
La Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio della Corte dei conti accertava che il canone era stato fissato in difetto di qualunque atto o procedura diretto a stabilirne la congruità e, comunque, in difformità rispetto a quanto indicato nella relazione di consulenza tecnica dell’arch. (omissis) del 15 marzo 2013 – commissionata dall’allora direttore generale dell’ente –, la cui stima era stata corroborata da ulteriori accertamenti peritali, poi disposti dal Pubblico Ministero contabile per il tramite dell’Agenzia delle entrate.
La Sezione territoriale ravvisava il danno erariale subito dalla (omissis) nella differenza tra il canone di locazione effettivamente percepito dall’azienda speciale, pari ad euro 3.050 mensili, e il valore di mercato in astratto delineato dalle perizie in atti, pari ad euro 8.400. E poiché la corresponsione di tali minori somme si era protratta per quarantadue mesi, dall’agosto 2015 al gennaio 2019, il giudice
contabile condannava l’Alvaro a rifondere all’azienda speciale l’importo di euro 226.800.
2. – Con sentenza resa pubblica mediante deposito in segreteria il 5 agosto 2022, la Corte dei conti, Sezione prima giurisdizionale centrale d’appello, ha rigettato il gravame interposto dall’(omissis).
La Corte dei conti, in particolare, ha disatteso l’eccezione di difetto di giurisdizione per insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali della pubblica amministrazione, osservando, in senso contrario,
che la (omissis), quale azienda speciale comunale, era tenuta al rispetto – sindacabile dal giudice contabile – dei criteri di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa, e che il petitum sostanziale dell’azione promossa dalla Procura contabile riguardava la verifica del mancato rispetto di quei criteri a causa dell’esiguità del canone ritratto dall’utilizzo, da parte del gestore, di un bene appartenente all’azienda speciale.
3. – Per la cassazione della sentenza della Sezione prima giurisdizionale centrale d’appello della Corte dei conti, (omissis) ha proposto ricorso, con atto notificato il 27 febbraio 2023, sulla base di tre motivi.
Ha resistito, con controricorso, il Procuratore Generale, rappresentante il pubblico ministero presso la Corte dei conti.
4. – Proposta dalla Prima Presidente, essendo stata ravvisata l’inammissibilità dell’impugnazione per cassazione, la definizione accelerata del ricorso, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., la causa
è stata fissata, per la decisione, in camera di consiglio, su istanza del ricorrente.
5. – In prossimità della camera di consiglio, il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte.
L’Ufficio del Procuratore Generale presso la Corte di cassazione ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso per non avere quest’ultimo offerto argomenti sufficienti per una rimeditazione dell’indirizzo giurisprudenziale relativo all’estensione del sindacato del giudice contabile sulle modalità di attuazione dell’azione amministrativa.
Il Pubblico Ministero ha chiesto la condanna del ricorrente per responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Viene in decisione il ricorso per cassazione proposto dal signor (omissis) avverso la sentenza della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale centrale di appello, di rigetto del suo gravame avverso la pronuncia che lo aveva condannato, nella qualità di commissario straordinario della (omissis), al risarcimento del danno erariale cagionato all’azienda speciale comunale, per avere concesso a terzi un immobile, da adibire ad asilo nido, ad un canone locativo notevolmente inferiore a quello ritraibile.
2. – Il passaggio in decisione avviene a seguito di richiesta pre-sentata dal ricorrente ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., dopo che era stata formulata una proposta di definizione anticipata della Prima Presidente con cui si ravvisava l’inammissibilità del ricorso.
3. – Il ricorso per cassazione è articolato su tre motivi.
4. – Con il primo motivo di ricorso viene denunciato il difetto di giurisdizione del giudice contabile ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera a), del decreto-legge n. 543 del 1996, convertito in legge n. 639 del 1996, il quale, prevedendo l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali della pubblica amministrazione, escluderebbe, ad avviso del ricorrente, che la Corte dei conti possa estendere il suo sindacato all’articolazione concreta e minuta dell’iniziativa intrapresa dal pubblico amministratore. Nel caso di specie, secondo il ricorrente, con l’azione promossa dalla Procura contabile, non sarebbe stata conte-stata la compatibilità del contratto di locazione con i fini pubblici della (omissis), né sarebbe stata lamentata l’estraneità dei mezzi prescelti rispetto ai fini di interesse pubblico perseguiti. Sarebbero stati erroneamente “criticati e confutati” esclusivamente i contenuti del contratto di locazione stipulato relativamente al canone di locazione pattuito, sicché la Corte dei conti si sarebbe indebitamente sostituita alle valutazioni discrezionali che la legge riserva alla pubblica amministrazione, violando i limiti esterni della propria giurisdizione.
Con il secondo motivo, il ricorrente eccepisce l’insussistenza di un rapporto di servizio intercorrente con la (omissis): la non ascrivibilità dell’azienda alla categoria delle società in house non consentirebbe di ravvisare l’instaurazione di un siffatto rapporto in capo al soggetto investito della carica di commissario straordinario.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta il difetto assoluto di giurisdizione sotto il profilo dell’eccesso di potere giurisdizionale. La Sezione giurisdizionale d’appello – si sostiene – avrebbe indebitamente fatto uso del proprio potere, istituzionalmente indirizzato al sindacato sulla legittimità dell’azione amministrativa, per ingerirsi nelle scelte discrezionali della pubblica amministrazione: considerando non congruo il canone di locazione e censurando la scelta della (omissis) di fissare un prezzo ridotto per sanare i debiti gravanti sull’azienda, il giudice contabile avrebbe finito per operare un giudizio di merito e di opportunità, peraltro basato su mere valutazioni prive di motivazione.
5. – Il primo e il terzo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, stante la loro stretta connessione.
5.1. – Essi sono, entrambi, inammissibili.
5.2. – L’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali compiute da soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti non comporta che esse siano sottratte ad ogni possibilità di controllo, e segnatamente a quello della conformità alla legge che regola l’attività amministrativa, potendo e dovendo la Corte dei conti verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini pubblici dell’ente, che devono essere ispirati ai criteri di economicità ed efficacia, ex art. 1 della legge n. 241 del 1990, rilevanti sul piano non della mera opportunità bensì della legittimità dell’azione amministrativa (Cass., Sez. Un., 22 novembre 2019, n. 30527; Cass., Sez. Un., 16 gennaio 2023, n. 1157).
La discrezionalità dell’amministratore nell’individuare la soluzione più idonea a realizzare nel caso concreto l’interesse pubblico può dirsi legittimamente esercitata solo in quanto risultino osservati i criteri informatori dell’agere della pubblica amministrazione, come dettati in via generale dall’art. 97 Cost. e codificati dalla legge n. 241 del 1990.
La verifica della rispondenza in concreto delle scelte degli ammini-stratori a questi criteri ricade nella giurisdizione della Corte dei conti, in quanto si tratta di criteri che, travalicando la riserva di amministrazione (intesa come preferenza tra alternative, nell’ambito della ragionevolezza, per il soddisfacimento dell’interesse pubblico), rientrano nella legittimità e non nella mera opportunità dell’azione amministrativa.
Tale controllo in sede giurisdizionale consente di evitare la deviazione di tali scelte dai fini istituzionali dell’ente e permette la verifica della completezza dell’istruttoria, della non arbitrarietà e proporzionalità nella ponderazione e scelta degli interessi nonché della logicità ed adeguatezza della decisione finale rispetto allo scopo da raggiungere.
5.3. – La sentenza impugnata non ha affermato la responsabilità del commissario straordinario dell’azienda speciale di Roma Capitale sulla base di un sindacato nel merito della discrezionalità amministrativa, ossia della scelta in sé di dare in locazione l’immobile ad un privato per lo svolgimento del servizio di asilo nido.
Il vaglio del giudice contabile non ha investito la discrezionalità amministrativa, bensì le modalità attraverso le quali questa discrezionalità è stata concretamente esercitata.
Tale vaglio ha riguardato la verifica della necessaria osservanza dei criteri di legalità ed economicità nella attuazione della scelta.
La responsabilità per danno erariale dichiarata dalla Corte dei conti è dipesa dall’accertamento che il corrispettivo della concessione in locazione dell’immobile era manifestamente esiguo e si discostava significativamente dai valori di stima acquisiti al procedimento amministrativo.
Il che ha indotto il giudice contabile alla conclusione del mancato rispetto dei criteri di efficienza, economicità e buona amministrazione, intesi quali parametri di legittimità, costituzionalmente rilevanti, dell’azione pubblica.
5.4. – L’inammissibilità del primo e del terzo motivo discende dal fatto che la censura con essi veicolata inerisce ad una valutazione che il giudice contabile ha effettuato sull’azione del commissario straordinario della (omissis) capitolina secondo i criteri di efficacia ed economicità di cui all’art. 1 della legge n. 241 del 1990 e, dunque, secondo parametri di legittimità che la collocano all’interno della giurisdizione contabile e non esprimono un sindacato del merito delle scelte discrezionali dell’amministrazione.
Invero, il giudice contabile non viola i limiti esterni della propria giurisdizione qualora censuri, non già la scelta amministrativa adottata, bensì il modo con il quale quest’ultima è stata attuata, profilo che esula dalla discrezionalità amministrativa, dovendo l’agire ammini-strativo comunque ispirarsi a criteri di economicità ed efficacia (Cass., Sez. Un., 5 aprile 2019, n. 9680; Cass., Sez. Un., 6 marzo 2020, n. 6462).
6. – Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
6.1. – Ciò in quanto le censure svolte nel motivo – relative alla non configurabilità, in ragione della carica di commissario straordinario, di un rapporto di servizio con la (omissis), e alla natura non in house di quest’ultima – ineriscono a questioni di difetto relativo di giurisdizione non proposte in appello.
Su tali questioni, pertanto, si è formato il giudicato interno.
Infatti, la sentenza della Sezione giurisdizionale per il Lazio, essendo di condanna per responsabilità erariale, già conteneva un capo implicito sulla giurisdizione della Corte dei conti, e quindi sulla sussistenza di un rapporto di servizio tra il commissario straordinario e l’ente azienda speciale comunale (omissis).
Pertanto, sulla base della costante giurisprudenza in argomento (cfr., tra le tante, Cass., Sez. Un., 31 ottobre 2022, n. 32140), la decisione di merito adottata in primo grado dal giudice contabile ha determinato, in difetto di espressa contestazione dell’odierno ricorrente in sede di appello, il perfezionarsi del giudicato interno sulla giurisdizione.
Al riguardo, preme osservare che dal testo sia della sentenza qui impugnata sia del ricorso per cassazione risulta che l’appello dell’(omissis) era affidato ai seguenti motivi: (a) difetto di giurisdizione del giudice contabile per insindacabilità della scelta gestionale di concludere la contestata operazione gestionale; (b) nullità della sentenza per tardività dell’atto di citazione; (c) nullità della citazione per indeterminatezza dell’oggetto; (d) assenza di condotta antigiuridica; (e) difetto di prova del danno erariale; (f) assenza di dolo o colpa grave nella condotta contestata.
Con l’atto di appello, pertanto, non è stato sollevato un motivo di impugnazione specificamente inerente al difetto di giurisdizione per mancanza del rapporto di servizio, che rappresenta l’elemento di collegamento ai fini della configurabilità di un danno erariale.
7. – Il ricorso è dichiarato inammissibile.
8. – Non vi è luogo a pronuncia sulle spese in favore del Procuratore generale della Corte dei conti, stante la sua posizione di parte solo in senso formale. Il Procuratore generale, infatti, così come non può sostenere l’onere delle spese processuali nel caso di sua soccombenza, al pari di ogni altro ufficio del pubblico ministero, non può essere destinatario di una pronuncia attributiva della rifusione delle spese quando, come nella specie, soccombente risulti il suo contraddittore.
9. – Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gen-naio 2013 ed è dichiarato inammissibile, ricorrono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
10. – La decisione da parte del Collegio è conforme alla proposta di definizione accelerata formulata ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.
La conformità è integrale: riguarda non solo l’esito del ricorso, inteso come dispositivo o formula terminativa della deliberazione, ma anche le ragioni che tale esito sostengono.
Anche nella proposta di definizione accelerata della Prima Presidente, infatti, l’inammissibilità del ricorso è prefigurata sul rilievo che il primo e il terzo motivo non investono i limiti esterni della giurisdizione, mentre il secondo motivo inerisce a questioni su cui si è formato il giudicato interno.
11. – Avendo la Corte definito il giudizio in conformità alla proposta ex art. 380-bis cod. proc. civ., trova applicazione la previsione di cui all’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ., sulla condanna della parte al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro 5.000.
L’art. 380-bis cod. proc. civ. configura uno strumento di agevola-zione della definizione delle pendenze in sede di legittimità, anche tramite l’individuazione di strumenti dissuasivi di condotte rivelatesi ex post prive di giustificazione, e quindi idonee a concretare, secondo una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore delegato (d.lgs. n. 149 del 2022), un’ipotesi di abuso del diritto di difesa.
Richiamando, per i casi di conformità tra proposta e decisione finale, l’art. 96, terzo e quarto comma, cod. proc. civ., l’art. 380-bis cod. proc. civ. codifica, attraverso una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore delegato, una ipotesi di abuso del processo, già immanente nel sistema processuale, giacché non attenersi alla delibazione del Presidente che trovi poi conferma nella decisione finale, lascia presumere una responsabilità aggravata (v. Cass., Sez. Un., 22 settembre 2023, n. 27195, anche per quanto riguarda la disciplina intertemporale).
Per l’effetto, ritiene la Corte di dover disporre la condanna del ricorrente anche al pagamento della somma di euro 2.500 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara il ricorso inammissibile.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Condanna il ricorrente al pagamento della somma di euro 2.500 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 10 ottobre 2023.
