Massima

L’art. 96 c.p.c. comprende ed esaurisce tutte le ipotesi di responsabilità processuale aggravata, e la competenza a decidere in materia spetta, in via esclusiva, sia per l’an che per il quantum debeatur, al giudice del merito della causa principale (nella specie, in controversia decisa nel merito dal Consiglio di Stato, è stato ritenuto incompetente il tribunale ordinario adito con autonomo e successivo giudizio).

Supporto alla lettura

RESPONSABILITA’ AGGRAVATA

L’art. 96 c.p.c sanziona quel comportamento illecito della parte, poi risultata soccombente nel giudizio, che dia luogo alla c.d. “lite temeraria“, cioè quel comportamento della parte che nonostante sia consapevole dell’infondatezza della sua domanda o eccezione (mala fede), la propone ugualmente, costringendo la controparte a partecipare ad un processo immotivato.

Inoltre, viene sanzionata la mancanza di quel minimo di diligenza richiesta per l’acquisizione di tale consapevolezza (colpa grave).

La legge configura in tale comportamento una responsabilità aggravata, ossia una responsabilità che si aggrava in quanto, essendo fondata su un illecito, comporta l’obbligo di risarcire tutti i danni che conseguono all’aver dovuto partecipare ad un processo privo di fondamento alcuno.

Si tratta di un istituto posto a tutela dell’interesse di una delle parti a non subire pregiudizi a seguito dell’azione o resistenza dolosa o colposa dell’altra parte.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 3 agosto 1970 (omissis) convenne, davanti al Tribunale di S. Maria Capua Vetere, (omissis) in (omissis) e, premesso che la convenuta aveva proposto ricorso al Consiglio di Stato avverso la licenza edilizia concesisa ad esso (omissis) dal sindaco di Caserta, chiedendo e ottenendo dall’autorità giudiziaria adita la sospensione del provvedimento; che  successivamente il Consiglio di Stato aveva rigettato il ricorso della (omissis); che dalla sospensione dei lavori, iniziati a seguito del rilascio della licenza, erano derivati ad esso (omissis) danni per oltre diciannove milioni di lire; tanto premesso, l’attore chiese ila condanna della (omissis) al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. e, comunque, ai sensi dell’art. 2043 c.c.

La convenuta si oppose alla domanda, che il tribunale rigettò.

Su appello proposto dal soccombente nei confronti degli eredi della (omissis), nelle more deceduta, la Corte d’appello di Napoli confermava la decisione di primo grado.

I giudici del gravame osservavano che la fattispecie integrava una ipotesi di responsabilità processuale, la quale è disciplinata dall’art. 96 c.p.c. in via esclusiva, senza che possa, in concorrenza o in alternativa, applicarsi l’art. 2043 c.c.; che, per giurisprudenza costante, la cognizione della responsabilità processuale spettava, in via funzionale ed esclusiva, sia per l’an che per il quantum, al giudice della causa in cui si sarebbe verificata una delle ipotesi previste dall’art. 96 c.p.c.; che il giudice amministrativo non poteva pronunciare condanna per lite temeraria perché era fuori delle sue attribuzioni istituzionali emanare condanne che non fossero quelle al pagamento delle spese processuali; che, d’altro canto, se si ammetteva la possibilità per il giudice ordinario di provvedere sulle istanze di condanna ai danni per lite temeraria svoltasi dinanzi al Consiglio di Stato, si sarebbe finito col violare il principio della divisione tra giurisdizione civile e amministrativa perché il giudice civile avrebbe dovuto indagare sulla fondatezza del ricorso amministrativo; che, pertanto, si doveva concludere per la mancanza di una norma che tuteli la parte in proposito.

Avverso questa sentenza il (omissis) ha proposto ricorso per cassazione, fondato su quattro mezzi. (omissis), (omissis), (omissis), (omissis) e (omissis) resistono con controricorso.

Motivi della decisione

1. – Il ricorso viene deciso dalle sezioni unite perché coinvolge un problema sul quale le sezioni semplici, in diverse occasioni, non si sono espresse univocamente.

Si tratta della questione posta dal ricorrente (omissis) con il primo motivo del ricorso; il quale, peraltro, va esaminato congiuntamente al secondo perché entrambi svolgano argomentazioni logicamente connesse.

Con il primo mezzo il ricorrente sostiene che l’art. 96 c.p.c. non comprende né esaurisce tutte le ipotesi di responsabilità processuale — contrariamente a quanto ritenuto dalla corte di Napoli — perché la detta norma regola solo le ipotesi ivi testualmente previste, mentre in ogni -altro caso di responsabilità processuale andrebbe applicato l’art. 2043 ex.

Con il secondo motivo, poi, viene negata la correttezza dell’altro principio, cui si è attenuta la corte d’appello, in forza del quale la cognizione della responsabilità processuale spetta tassati vamente ed esclusivamente ai giudice del procedimento in cui si le sue possibili ipotesi, sotto la disciplina contenuta nell’art. 96 c.p.c..

2. – Le tesi del ricorrente non possono essere condivise.

Per quanto riguarda il problema se tutti i casi idi responsabilità per danni da attività processuale di parte ricadano sotto la disciplina contenuta nei due comma dall’art. 96 c.p.c., ovvero se queste norme contemplino soltanto alcune ipotesi di detta responsabilità mentre in ogni altro caso, trovi applicazione la norma contenuta nell’art. 2043 c.c., le sezioni unite ritengono opportuno prendere le mosse, nel considerare lo stato della giurisprudenza, dalla sentenza n. 1838 del 26 giugno 1973 (Foro.it, 1973, I, 3019), la quale, facendosi carico del contrasto di giurisprudenza sul punto, già allora esistente, ha accolto il principio che: «la responsabilità processuale per danni ricade interamente, in tutte le sue possibili ipotesi, sotto la disciplina contenuta nell’art. 96 c.p.c.».

A giustificazione della sua conclusione tale sentenza ha precisato che l’agire o il resistere in giudizio è un diritto fondamentale, che deve essere esercitato liberamente e che, perciò, non tollera remore eccessive; e remora eccessiva all’esercizio di tale diritto sarebbe, per la parte, la prospettiva di andare incontro alla comune responsabilità per fatti illeciti sanzionata dalla norma dell’art. 2043 c.c., e quindi anche per colpa lieve, qualora la sua attività processuale risultasse ex post esercitata infondatamente o irritualmente; di qui la necessità di una normativa a sé stante della responsabilità processuale per danni, diversificata e separata dalla normativa della comune responsabilità per fatti illeciti e improntata a criteri diversi e più adeguati a quelli che informano la valutazione normativa della responsabilità per fatti illeciti; sicché l’art. 96 c.p.c., che rappresenta la realizzazione legislativa della evidenziata esigenza, costituisce integrale e completa disciplina normativa ideila responsabilità processuale, di cui esaurisce tutte ile ipotesi.

Invece, le decisioni che accolgono il principio opposto distinguono tra procedure ingiuste e procedure illegittime e ritengono che solamente le prime trovino sanzione nell’art. 96 c.p.c., mentre le altre siano disciplinate dalle regole sulla responsabilità per fatto illecito poste dall’art. 2043 c.c.

Delle due diverse opinioni, le sezioni unite reputano accettabile la prima, la quale ha il pregio di fornire una razionale e convincente giustificazione della natura tipica attribuita alla normativa dell’art. 96 c.p.c. e, nel contempo, evita l’ostacolo della evidente apoditticità della opposta tesi che, sottoponendo le sole procedure ingiuste (in contrapposizione a quelle illegittime) alla disciplina dell’art. 96 c.p.c., non spiega come sia possibile, nonostante l’ampia e indifferenziata previsione del 1° comma di questo articolo, sottrarre alla disciplina di questa norma le procedure illegittime.

3. – La seconda questione agitata dal ricorrente riguarda la competenza a decidere sulla responsabilità processuale aggravata, che la Corte d’appello di Napoli ha ritenuto vada attribuita in via esclusiva al giudice avanti al quale si è svolta l’attività processuale che ha, in tesi, cagionato i danni di cui viene chiesto il ristoro.

Contrariamente a quanto si è verificato in ordine al problema trattato in precedenza, la giurisprudenza di questa corte è costante nell’affermare che competente è il giudice al quale spetta conoscere il merito della causa principale e inesattamente il (omissis) cita nella sua memoria alcune sentenze che avvalorerebbero l’opinione opposta a quella accolta dalla corte del merito.

Infatti, le sentenze n. 1251/74 (id., 1975, I, 655) e n. 806/70 (id., Rep. 1970, voce Spese giudiziali, n. 86) si riferiscono — come queste sezioni unite hanno puntualizzato nella recente sentenza n. 2432 del 1983 (id., Rep. 1983, voce dit., n. 49) — ad ipotesi in cui il comportamento scorretto si era verificato in una flase del procedimento antecedente al momento in cui il giudice viene investito della causa e priva, in concreto, di ulteriore sviluppo; sicché la ragione che giustificava, nella prospettiva di quelle decisioni, l’eccezione al principio della coincidenza del giudice della responsabilità aggravata con il giudice del merito consiste nella mancanza di quest’ultimo; situazione che non si ripete nella fattispecie oggi in esame perché la controversia è stata decisa nel merito dal Consiglio idi Stato.

Peraltro, anche la sentenza n. 1838/73 di questa corte è male invocata dal ricorrente in quanto il passo riportato in memoria manca di significato univoco e va letto nel contesto della motivazione, la quale chiarisce che, anche in questo caso, la Corte di cassazione ammetteva la proposizione di una domanda di risarcimento ex art. 96 cp.c. in separato giudizio presupponendo un procedimento che si era svolto ed esaurito prima dell’intervento del giudice.

La conformità dell’indirizzo giurisprudenziale di questa corte (da ultimo sent. n. 2432 del 6 aprile 1983) e la mancanza di argomentazioni tali da indurre ad un ripensamento escludono una diversa conclusione e, pertanto, anche il secondo motivo del ricorso deve essere rigettato.

4. – Accertata, per le ragioni esposte, la correttezza della decisione della Corte d’appello di Napoli nel risolvere il giudizio in base al principio che l’art. 96 c.p.c. comprende ed esaurisce tutte le ipotesi di responsabilità processuale ed a quello che la competenza a decidere in materia spetta, in via esclusiva, al giudice della causa in cui si verifica il comportamento sanzionato dall’art. 96 predetto, diviene superfluo l’esame degli altri motivi
del ricorso.

Invero, con essi il Careno censura (3° motivo) l’affermazione della corte d’appello circa la impossibilità per il giudice ordinario, qualora dovesse decidere sulla responsabilità per attività processuale svoltasi davanti al giudice amministrativo, di indagare sul merito del giudizio amministrativo; e denuncia (4° motivo) la violazione dell’art. 12 preleggi per avere la stessa corte napoletana dichiarato che «in alcune ipotesi di colpa processuale» può mancare la norma astratta sulla quale basarsi per ottenere la tutela della propria pretesa.

Ma, con questi mezzi, il ricorrente appunta le sue critiche contro argomentazioni svolte ad abundantiam dai giudici del merito, la cui sentenza è sufficientemente motivata, sotto il profilo logico e giuridico, con il riferimento ai principi più sopra indicati; sicché le censure stesse finiscono con l’essere irrilevanti ed è, perciò, superfluo indagare sulla loro fondatezza (omissis).

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