Massima

In tema di Imposta sul Valore Aggiunto (IVA), l’adesione del contribuente al condono fiscale ai sensi dell’Art. 9 della L. n. 289 del 2002, per le annualità interessate, determina l’insorgenza della preclusione di ogni possibilità di ottenere il rimborso dell’IVA, anche se asseritamente dovuto per assenza del presupposto impositivo (nella specie, per effetto della ritenuta immediata applicabilità della 6^ direttiva CEE sul pro rata per le attività esenti). L’istanza di condono opera infatti come definizione “transattiva” della controversia, inclusa quella relativa all’esistenza del presupposto impositivo stesso, e comporta la conseguente cassazione senza rinvio della sentenza impugnata per cessazione della materia del contendere.

Supporto alla lettura

IVA

L’imposta sul valore aggiunto (IVA), è un’imposta indiretta applicata in fase di produzione e scambio di un bene o di un servizio. Il fornitore del prodotto o del servizio calcola e addebita l’aliquota al cliente e, successivamente, la versa all’erario utilizzando il modello F24.

Il riferimento normativo fondamentale risiede nel D.P.R. 633/1972 e, attualmente, in Italia, l’aliquota è pari al 22% ma esistono anche aliquote ridotte (4% e 10%) applicate a beni di prima necessità. Si tratta di un’imposta di rilevanza fondamentale per il bilancio dello Stato ma è anche una delle più evase nel panorama italiano ed europeo, motivo per cui è stato introdotto il meccanismo del reverse charge o inversione contabile in alcuni settori particolari dell’economia.

Esistono anche operazioni non imponibili IVA (comprendono le cessioni di beni e prestazioni di servizi nei rapporti con l’estero) e operazioni esenti dall’IVA (cessioni di beni e prestazioni di servizi individuate espressamente dalla legge, il cui elenco si trova nell’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972), ma in entrambi i casi valgono tutti gli obblighi IVA (fatturazione, registrazione, dichiarazione), ma non viene addebitata IVA al cliente.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

La controversia riguarda l’impugnazione del provvedimento con il quale l’amministrazione aveva rigettato l’istanza di rimborso dell’IVA versata negli anni dal 1997 al 2000 che la società contribuente riteneva le fosse dovuto in forza della 6^ direttiva CEE che, a suo avviso, avrebbe escluso le imprese esercenti attività esenti dall’applicazione del cd. “pro rata” nel calcolo dell’IVA detraibile assolta sugli acquisti.

La Commissione adita accoglieva il ricorso ritenendo deducibile l’IVA assolta sugli acquisti, anche in presenza di un pro rata uguale a zero, in quanto la società contribuente esercitava attività medica in regime di esenzione IVA, ai sensi della 6^ direttiva CE immediatamente applicabile anche in difetto di apposita norma interna esecutiva. La decisione era confermata in appello, con la sentenza in epigrafe, avverso la quale l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione con quattro motivi, tra i quali rinnova l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice tributario già sollevata nella fase di merito. La società contribuente non si è costituita.

Motivi della decisione

Assume valore assorbente – anche in quanto attinente a questione rilevabile ex officio (v. Cass. n. 25239 del 2007) – il terzo motivo con il quale l’Agenzia delle Entrate denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002art. 9: avrebbe errato il giudice di merito nel ritenere che la presentazione da parte del contribuente di una istanza di condono ai sensi della richiamata disposizione non precludesse al contribuente medesimo ogni possibilità di rimborso per le annualità di imposta definite mediante la predetta agevolazione.

Il motivo è fondato. Con riferimento ad altre normative di definizione agevolata dei carichi fiscali (ma la situazione non è diversa per il caso disciplinato dalla disposizione in esame) questa Corte ha avuto già modo di rilevare – e le Sezioni Unite intendono confermare questo orientamento, condividendolo – che il condono “pone il contribuente di fronte ad una libera scelta fra trattamenti distinti e che non si intersecano fra loro: o coltivare la controversia nei modi ordinali, conseguendo, ove del caso, i rimborsi di somme indebitamente pagate, oppure corrispondere quanto dovuto per la definizione agevolata ma senza possibilità di riflessi o interferenze con quanto eventualmente già corrisposto sulla linea del procedimento ordinario” (Cass. nn. 195 e 15635 del 2004; 3163 del 1997; 3273 del 1996). Queste conclusioni hanno poi trovato conforme applicazione anche con riferimento alla specifica fattispecie regolata dalla L. n. 289 del 2002art. 9, (v. Cass. nn. 3682 e 6504 del 2007 secondo le quali la presentazione della istanza di condono “preclude al contribuente ogni possibilità di rimborso per le annualità d’imposta definite in via agevolata, ivi compreso il rimborso di imposte asseritamente inapplicabili per assenza del relativo presupposto: il condono, infatti, in quanto volto a definire transattivamente la controversia in ordine all’esistenza di tale presupposto, pone il contribuente di fronte ad una libera scelta tra trattamenti distinti e che non si intersecano tra loro, ovverosia coltivare la controversia nei modi ordinari, conseguendo se del caso il rimborso delle somme indebitamente pagate, oppure corrispondere quanto dovuto per la definizione agevolata, ma senza possibilità di riflessi o interferenze con quanto eventualmente già corrisposto in via ordinaria”).

La motivazione della sentenza impugnata sul punto è incongrua, essendo errata l’affermazione secondo la quale sarebbe irrilevante l’utilizzo della sanatoria, in quanto, nella specie, il supposto contrasto della norma interna con la direttiva comunitaria determinerebbe l’assoluta carenza del presupposto impositivo, poichè il condono ha, tra l’altro, proprio lo scopo di definire “transattivamente” la controversia sulla esistenza (ritenuta dall’Agenzia e negata dal contribuente) di tale presupposto.

Nè rileva, per la evidente diversità della questione, la disposizione dell’ultimo periodo della L. n. 289 del 2002art 9, comma 9 il quale esclude che il condono abbia di per sè un effetto modificativo soltanto in ordine all’importo di eventuali rimborsi e crediti derivanti dalle (ossia indicati nelle) dichiarazioni presentate dal contribuente, nel senso che il condono non impone al contribuente la rinuncia al credito ivi esposto, nè preclude all’amministrazione di rimborsarlo, se lo ritiene fondato, o di accertarne la non rimborsabilità (v. Corte cost. ord. n. 340/2005).

Pertanto, deve essere accolto il terzo motivo di ricorso, con assorbimento di tutti gli altri. La sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio in quanto il giudizio non avrebbe potuto essere proseguito, stante la cessazione della materia del contendere per intervenuto condono L. n. 289 del 2002, ex art. 9.

La definizione della lite a mezzo condono costituisce giusto motivo per la compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, cassa senza rinvio la sentenza impugnata. Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 maggio 2008.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2008

Allegati

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