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Cassazione civile sez. trib., 31/07/2024, n. 21533

Massima

Competenza territoriale e motivazione illogica del giudice di appello possono condurre alla cassazione della sentenza, con rinvio per un nuovo esame che offra una motivazione congrua e si uniformi ai principi di diritto. In particolare, la competenza ad emettere un avviso di accertamento è determinata dal domicilio fiscale del contribuente al momento della presentazione della dichiarazione, e una motivazione carente o illogica che non si confronta con le deduzioni delle parti e non chiarisce le ragioni del rigetto dell’appello viola il “minimo costituzionale”.

Supporto alla lettura

Competenza territoriale

Il codice di procedura civile civile individua tre criteri di ripartizione della competenza civile: materia trattata, valore della causa e territorio. Quanto a quest’ultimo, l’ufficio giudiziario territorialmente competente è individuato in base alle disposizioni contenute dagli artt. da 18 a 30 del codice di procedura civile. In particolare, l’art. 18 c.p.c. individua come foro generale delle persone fisiche quello del luogo in cui il convenuto ha la sua residenza o domicilio, mentre il foro generale delle persone giuridiche è quello del luogo ove ha sede la società (art. 19 c.p.c.). I successivi articoli, invece, individuano alcuni fori speciali, in considerazione dei diritti oggetto di controversia. All’interno di questo quadro normativo, particolare importanza assume l’art. 28 c.p.c.

Capovolgendo l’assunto generale dell’art. 6 c.p.c., sopra esaminato, l’art. 28 specifica che la competenza per territorio può essere derogata per accordo delle parti, salvo determinate eccezioni. Se il convenuto ritenga che la causa sia stata incardinata presso un giudice privo di competenza territoriale (sia essa derogabile o inderogabile), può sollevare la relativa eccezione nella comparsa di risposta tempestivamente depositata, a pena di decadenza (art. 38 c.p.c.). Tale eccezione deve contenere anche l’indicazione del giudice che la parte ritiene competente. L’incompetenza territoriale, con riferimento ai soli casi di inderogabilità, può essere rilevata anche d’ufficio. A tal fine, il rilievo dev’essere compiuto dal giudice non oltre l’udienza di prima comparizione e trattazione di cui all’art. 183 c.p.c.

Ambito oggettivo di applicazione

(omissis)

 

FATTI DI CAUSA

La Direzione Provinciale di Barletta-Andria-Trani dell’Agenzia delle Entrate notificava a (omissis), esercente l’attività di imprenditore edile, un avviso di accertamento relativo all’anno 2008, con il quale: (a)rettificava il reddito d’impresa, il valore della produzione netta e il volume d’affari dichiarati dal contribuente, rispettivamente, ai fini dell’IRPEF, dell’IRAP e dell’IVA, previo disconoscimento di indebite deduzioni e detrazioni dallo stesso effettuate con riferimento a operazioni ritenute dall’Ufficio oggettivamente inesistenti; (b)irrogava nei suoi confronti le sanzioni di legge.

Il (omissis) impugnava l’atto impositivo dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Bari, che accoglieva in parte le sue ragioni, rideterminando il “maggior reddito” da recuperare a tassazione in 47.754 Euro e annullando le sanzioni applicate dall’Ufficio.

La decisione veniva appellata da ambo le parti davanti alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, la quale, con sentenza n. 945/2016 del 14 aprile 2016, respingeva il gravame principale dell’Erario e accoglieva quello incidentale del contribuente, annullando l’avviso di accertamento impugnato.

A sostegno della pronuncia adottata il giudice di secondo grado rilevava che: – l’atto impositivo era stato emesso da un ufficio territorialmente incompetente, in quanto diverso da quello che, in base al processo verbale di constatazione redatto dalla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate il 23 dicembre 2009, risultava investito del potere di accertamento (Ufficio di Bari 2, poi assorbito dalla Direzione Provinciale di Bari); – l’Amministrazione non aveva offerto idonea prova degli errori asseritamente commessi dal primo giudice nella determinazione del maggior reddito imponibile.

Avverso tale sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Il (omissis) è rimasto intimato.

La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., è lamentata la violazione dell’art. 53 del D.Lgs. n. 546 del 1992.

1.1 Si contesta l’impugnata sentenza per aver ritenuto inammissibile l’appello dell’Agenzia delle Entrate, sull’erroneo presupposto che i motivi di gravame da essa articolati risultassero privi di specificità.

2. Con il secondo motivo, proposto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., è denunciata la nullità della sentenza per violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4) del D.Lgs. n. 546 del 1992.

2.1 Si assume che l’impugnata pronuncia risulterebbe corredata di una motivazione palesemente illogica laddove afferma che l’Ufficio non avrebbe offerto alcuna prova degli errori asseritamente commessi dal primo giudice.

3. Con il terzo mezzo, ricondotto al paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono dedotte la violazione dell’art. 31, comma 2, del D.P.R. n 600 del 1973 e la falsa applicazione dell’art. 10 della L. n. 212 del 2000.

3.1 Si rimprovera alla CTR di aver erroneamente statuito:

(a)che competente ad emettere l’impugnato avviso di accertamento era la Direzione Provinciale di Bari dell’Agenzia delle Entrate, indicata come ufficio di riferimento nel processo verbale di constatazione del 23 dicembre 2009;

(b)che l’Amministrazione aveva violato i principi di legale collaborazione e di buona fede ai quali devono essere improntati i suoi rapporti con il contribuente.

3.2 Viene, in proposito, obiettato che: – ai sensi dell’art. 31, comma 2, del D.P.R. n. 600 del 1973, la competenza in materia di accertamenti e controlli tributari spetta “all’ufficio distrettuale nella cui circoscrizione è il domicilio fiscale del soggetto obbligato alla dichiarazione alla data in cui questa è stata o avrebbe dovuto essere presentata”; – la dichiarazione oggetto di causa andava presentata nel 2009; – poiché, all’epoca, il domicilio fiscale del Pa.Vi. era posto nel Comune di Bisceglie, la cennata competenza apparteneva all’Ufficio delle Entrate di Trani, poi soppresso con l’entrata in funzione della Direzione delle Entrate della neo istituita Provincia di Barletta-Andria-Trani; – l’Amministrazione non era affatto venuta meno al principio di leale collaborazione sancito dall’art. 10, comma 2, della L. n. 212 del 2000, in quanto la sola circostanza che nel processo verbale di constatazione redatto dalla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate fosse stato affidato all’Ufficio di Bari 2 il compito di “valutare l’opportunità di avviare la procedura disciplinata dall’art. 22 del D.Lgs. N. 472/97” non aveva spiegato alcuna conseguenza invalidante sul successivo avviso di accertamento, legittimamente emesso dalla Direzione Provinciale di Barletta-Andria-Trani.

4. Prioritario, nell’ordine logico, si appalesa lo scrutinio del terzo motivo, il cui eventuale rigetto, determinando il passaggio in giudicato della pronuncia di annullamento dell’atto impositivo per incompetenza territoriale dell’ufficio emittente, travolgerebbe per assorbimento cd. improprio le ulteriori censure formulate dalla ricorrente.

4.1 Una simile evenienza, tuttavia, non ha modo di concretizzarsi, risultando il motivo in rassegna meritevole di accoglimento.

4.2 In base all’art. 31, comma 2, del D.P.R. n. 600 del 1973, la competenza ad effettuare accertamenti e controlli tributari in materia di imposte dirette “spetta all’ufficio distrettuale nella cui circoscrizione è il domicilio fiscale del soggetto obbligato alla dichiarazione alla data in cui questa è stata o avrebbe dovuto essere presentata”.

4.3 Analogo è il tenore della disposizione recata dall’art. 40, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972, in tema di IVA, in virtù della quale “competente a ricevere le dichiarazioni e i versamenti…, e ad ogni altro effetto di cui al presente decreto, è l’ufficio provinciale dell’imposta sul valore aggiunto nella cui circoscrizione si trova il domicilio fiscale del contribuente ai sensi degli articoli 58 e 59 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.”.

4.4 Ciò posto, va osservato che la dichiarazione fiscale di cui trattasi afferiva all’anno d’imposta 2008 e doveva, pertanto, essere presentata nel 2009.

4.5 A quel tempo, stando a quanto accertato in fatto dalla stessa CTR (pag. 5 della sentenza, terzo periodo), il domicilio fiscale del contribuente si trovava nel Comune di Bisceglie, rientrante nella circoscrizione territoriale dell’Ufficio delle Entrate di Trani, soppresso e assorbito a partire dal 22 febbraio 2010 dalla Direzione Provinciale di Barletta-Andria-Trani dell’Agenzia delle Entrate, istituita con provvedimento del Direttore dell’Agenzia n. 2010/23592 del 19 febbraio 2010, emanato ai sensi dell’art. 68, comma 1, del D.Lgs. n. 300 del 1999.

4.6 Ne discende che, contrariamente a quanto sostenuto dal collegio d’appello, la competenza ad emettere l’avviso di accertamento spettava alla Direzione Provinciale di Barletta-Andria-Trani, e non a quella di Bari.

4.7 Né poteva indurre a diversa conclusione la circostanza che nel prodromico processo verbale di constatazione del 23 dicembre 2009 la Direzione Regionale della Puglia avesse rimesso all’Ufficio di Bari 2, poi assorbito dalla Direzione Provinciale di Bari, la valutazione circa “l’opportunità di avviare la procedura disciplinata dall’articolo 22 del D.Lgs. N. 472/97” (ovvero quella per l’autorizzazione all’iscrizione di ipoteca o all’esecuzione del sequestro conservativo sui beni del trasgressore), non essendo attribuibile a un mero atto organizzativo interno all’Amministrazione l’attitudine a modificare i criteri di competenza stabiliti da precise disposizioni normative.

4.8 Quanto, poi, al principio di leale collaborazione sancito dall’art. 10, comma 2, della L. n. 212 del 2000, esso è stato evocato a sproposito dalla Commissione di secondo grado, giacché l’indicazione di un determinato ufficio (quello di Bari 2) contenuta nel menzionato processo verbale di constatazione, oltre ad essere stata effettuata per altre finalità -e precisamente in vista dell’eventuale avvio della procedura di cui all’art. 22 del D.Lgs. n. 472 del 1997-, non poteva in alcun modo incidere sulla competenza all’emissione dell’avviso di accertamento.

5. Riprendendo la disamina secondo l’ordine del ricorso, va ora scrutinato il primo motivo.

5.1 Esso è inammissibile perché non coglie la “ratio decidendi” della sentenza impugnata.

5.2 Invero, la CTR non ha dichiarato inammissibili, per difetto di specificità, i motivi di gravame articolati dall’Agenzia delle Entrate, bensì ha respinto nel merito la proposta impugnazione, ritenendo che l’appellante non avesse fornito adeguata dimostrazione degli errori asseritamente commessi dal primo giudice nella rideterminazione del maggior reddito del contribuente da riprendere a tassazione.

6. Il secondo mezzo è fondato.

6.1 Come anticipato in sede di disamina del motivo precedente, la Commissione regionale ha rigettato l’appello dell’Agenzia delle Entrate in base al rilievo che l’impugnante non avrebbe “affatto… provato, con riferimento all’articolo 2697 -Onere della prova- c.c., la molteplicità degli errori di cui, a suo dire, è affetta la sentenza gravata”.

6.2 La surriportata motivazione si appalesa anapodittica e nel contempo manifestamente illogica, in quanto, per un verso, non si confronta minimamente con le articolate deduzioni svolte dall’Amministrazione Finanziaria a sostegno dell’esperito gravame, per altro verso, non chiarisce affatto quale altra prova avrebbe dovuto fornire la parte erariale, una volta che dalla stessa erano stati offerti tutti i dati numerici occorrenti per verificare la sussistenza dell’errore di calcolo imputato al giudice di prime cure.

6.3 Al riguardo, va notato che nell’atto di appello -trascritto nel corpo del ricorso, per la parte che interessa, in ossequio al principio di autosufficienza- l’Agenzia delle Entrate aveva posto in evidenza quanto appresso:

-i risultati dell’accertamento fiscale compiuto erano sintetizzabili nel seguente prospetto:

“A.Ricavi dichiarati Euro 322.350

B. Maggiori ricavi accertati Euro 545.630

C. Maggior reddito da ricavi accertati Euro 136.407

(B * 25%)

  1. Costi dichiarati Euro 175.233
  2. Costi indeducibili Euro 18.700

(recte: Euro 138.700, come si ricava dal totale di cui alla lettera G, derivante dalla somma delle voci C, E e F, nonchè dalla corretta quantificazione dei predetti costi contenuta nell’altro schema di cui infra -n.d.r.)

F.Reddito d’impresa dichiarato Euro 88.653

G.Reddito d’impresa totale accertato Euro 363.760

(C + E + F)

  1. Maggior reddito accertato Euro 275.107

(G – F)

I.Maggior reddito deciso dalla CTP Euro 47.754

(C – F)”;

-“il reddito d’impresa complessivo accertato”, pari a 363.760 euro, era costituito dalla “sommatoria del reddito dichiarato (F) maggiorato da quello induttivamente determinato attraverso l’applicazione del coefficiente di redditività ai maggiori ricavi relativi alle fatture emesse per operazioni inesistenti (C) e dai minori costi deducibili riconosciuti (E)”;

-“nell’esame dei termini della controversia la Commissione” provinciale era incorsa “in un grave errore di valutazione, considerando il maggior reddito accertato dall’Ufficio per le fatture attive oggettivamente inesistenti mediante l’applicazione del coefficiente di redditività del 25% (C) come il reddito complessivo accertato, da cui poi sottrarre il reddito già dichiarato dal contribuente, senza considerare quella parte di maggio reddito d’impresa derivante dalla indeducibilità dei costi” ; -“ai gravi errori di valutazione degli elementi posti alla base della rettifica operata dall’Ufficio si aggiunge(va) quello relativo alla deduzione in sentenza del reddito già dichiarato dal contribuente, reddito di cui l’Ufficio aveva già tenuto debitamente conto nella redazione dell’avviso d’accertamento impugnato (vedasi pagina n. 10 dell’avviso d’accertamento)”;

-“in sintesi, con la sentenza di primo grado, i giudici, pur non pronunciandosi affatto sui costi indeducibili rivenienti da operazioni fittizie, per altro non contestate dal ricorrente, di fatto, ne (avevano) riconosc(iuto) la deducibilità nella loro quantificazione finale del reddito d’impresa. Ricavi dichiarati Euro 322.350 Ricavi accertati Euro 867.980

Costi dichiarati Euro 175.233

Costi accertati Euro 33.668 *

*Al netto dei costi indeducibili di Euro 138.700,00 per operazioni inesistenti

Reddito impresa dichiarato Euro 88.653 Reddito impresa accertato Euro 363.760 Reddito impresa determinato da sentenza I grado

Euro 47.754”.

6.4 Da quanto precede si evince come la motivazione dell’impugnata sentenza sia, in effetti, gravemente deficitaria, collocandosi, quindi, al di sotto del cd. “minimo costituzionale” prescritto dall’art. 111, comma 6, Cost. (sull’argomento cfr., ex permultis, Cass. n. 20598/2023, Cass. n. 20329/2023, Cass. n. 3799/2023, Cass. Sez. Un. n. 37406/2022, Cass. Sez. Un. n. 32000/2022, Cass. n. 8699/2022, Cass. n. 7090/2022, Cass. n. 24395/2020, Cass. Sez. Un. n. 23746/2020, Cass. n. 12241/2020, Cass. Sez. Un. n. 17564/2019, Cass. Sez. Un. 198881/2014 Cass. Sez. Un. 8053/2014).

7. Per le ragioni illustrate, va disposta, ai sensi dell’art. 384, comma 2, prima parte, c.p.c., la cassazione dell’impugnata sentenza, in relazione alle censure accolte, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, la quale procederà a un nuovo esame della controversia offrendo congrua motivazione e uniformandosi a quanto statuito con la presente decisione.

7.1 Al giudice del rinvio viene rimessa anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità, ai sensi dell’art. 385, comma 3, seconda parte, c.p.c.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso e dichiara inammissibile il primo; cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte, e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria della Corte Suprema di Cassazione, in data 8 maggio 2024.

Depositata in Cancelleria il 31 luglio 2024.

Allegati

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