FATTI DI CAUSA
La CTP di Taranto accoglieva parzialmente il ricorso proposto dalla ILVA Spa in Amministrazione straordinaria avverso l’avviso di pagamento n. 2015/A – 5855, con il quale l’Agenzia delle dogane (ADM) aveva ingiunto alla predetta società il pagamento dell’accisa dovuta sul consumo dei prodotti energetici (cd. gas “siderurgici”, quali gas AFO, gas COKE e gas LDG), che si formavano quale processo secondario dal ciclo produttivo dello stabilimento siderurgico di Taranto e venivano impiegati per la produzione di energia elettrica, per gli anni d’imposta dal 2012 al 2015.
In considerazione dell’origine e delle caratteristiche di ciascun tipo di gas, gli stessi venivano classificati dall’ADM con il codice della Nomenclatura Combinata (NC) 2705 (“Gas di Carbon Fossile, Gas d’Acqua, Gas Povero e Gas simili, esclusi i gas di petrolio e gli altri idrocarburi gassosi”) e ritenuti, quindi, prodotti energetici di cui all’art. 21, comma 1, del TUA, con il riconoscimento dell’esenzione di cui al comma 13 del medesimo art. 21 solo per la parte utilizzata direttamente nel processo metallurgico realizzato nello stabilimento; la restante parte, impiegata nelle centrali elettriche CET2 e CET 3, gestite dalla controllata Taranto Energia Srl in Amministrazione straordinaria, destinate alla produzione combinata di energia elettrica e di calore, veniva sottoposta ad accisa per motivi di politica ambientale ai sensi dell’art. 21, comma 9, del TUA, quale prodotto equivalente al gas naturale, con l’applicazione delle aliquote stabilite al punto 11) della Tabella A del TUA per volume di gas impiegato.
Il primo giudice riteneva che i gas siderurgici andassero assoggettati ad accisa, in quanto qualificabili come gas energetici, essendo impiegati per la produzione di energia elettrica e vapore, da classificare con il codice 2705 della Tariffa doganale, ma la concreta misura del tributo doveva essere stabilita non sulla base del volume dei prodotti impiegati (come previsto al punto 11 della Tabella A del TUA), ma con riferimento alla quantità di calore che veniva utilizzata per le funzioni energetiche, avendo il gas siderurgico un potere calorifico inferiore al gas naturale perché misto ad altre sostanze, e, quindi, la base imponibile andava ricalcolata nella misura del 52% del volume; poiché riteneva condivisibili i criteri di calcolo elaborati dai consulenti tecnici della società contribuente, demandava all’Amministrazione finanziaria di ricalcolare, sulla base dei predetti criteri, l’imposta e i relativi interessi di mora, escludendo le sanzioni ai sensi dell’art. 8 del D.Lgs. n. 546 del 1992.
La Corte di Giustizia tributaria di secondo grado (CGT-2) della Puglia accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle dogane e rigettava quello incidentale della contribuente, rilevando, in sintesi, che
– la equiparazione dell’aliquota di accisa da applicare ai gas siderurgici (tassazione per equivalenza) non poteva comportare una modifica del criterio di determinazione della base imponibile, facendo riferimento al potere calorifico anziché ai volumi prodotti, essendo prive di rilievo le conclusioni rassegnate sul punto dai consulenti tecnici di parte, in quanto ciò non trovava riscontro né nella normativa comunitaria né in quella nazionale e la determinazione delle aliquote prescinde dal potere calorifero dei combustibili impiegati;
– il primo giudice aveva correttamente motivato sulla inclusione dei gas AFO e LDG nel codice 2705 del Sistema Armonizzato di designazione e di codificazione delle merci (SA), come voce residuale (“gas simili”), in considerazione dell’uso previsto di tali prodotti, che in base alla giurisprudenza unionale in tema di interpretazione della Nomenclatura combinata, rappresenta “un criterio obiettivo” per la classificazione delle merci (C-201/99 Deutsche Nichimen GmbH v Hauptzollant Dusseldorf; C-309/98 Holz Geenan Gmbh v Oberfinanzdirektion Munchen);
– alla luce di tali considerazioni andavano rigettate le ulteriori doglianze riproposte in sede di appello incidentale dalla contribuente, anche perché infondate.
La società contribuente impugnava la sentenza della CGT-2 con ricorso per cassazione, affidato ad otto motivi illustrati con memoria.
L’Agenzia delle dogane resisteva con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente va rigettata l’eccezione proposta dalla controricorrente di inammissibilità, per tardività, del ricorso per cassazione. Sul punto va rilevato, in primo luogo, che dalla ricevuta di consegna della PEC, depositata dalla ricorrente, si evince che la notifica di detto ricorso è stata effettuata in data 31.05.2024 e non in data 3.06.2024, come erroneamente sostenuto dalla controricorrente.
1.1 Occorre considerare, poi, che il termine semestrale per proporre impugnazione, decorrente nella specie dal 2.01.2023 (data di deposito della sentenza di appello), era stato sospeso per undici mesi, ai sensi dell’art. 1, comma 199, della L. n. 197 del 2022 e succ. modifiche (“Per le controversie definibili sono sospesi per undici mesi i termini di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione, nonché per la proposizione del controricorso in cassazione che scadono tra la data di entrata in vigore della presente legge (1 gennaio 2023) e il 31 ottobre 2023”), in quanto sarebbe scaduto il 2.07.2023 (e, quindi, tra la data di entrata in vigore della L. n. 197 del 2022 e il 31.10.2023).
1.2 Il periodo di undici mesi, infatti, deve essere aggiunto al termine computato secondo le ordinarie regole processuali (Cass. n. 7510 del 2024) e la sospensione straordinaria delle liti definibili non si cumula con quella dei termini processuali nel periodo feriale, nei casi di coincidenza o sovrapposizione dei relativi periodi (Cass. n. 3598 del 2023, con riguardo all’art. 6, comma 11, del D.L. n. 119 del 2018, e Cass. n. 19078 del 2025, con riguardo all’art. 1, comma 199, della L. n. 197 del 2022).
1.3 Poiché, come precisato, il termine semestrale per proporre impugnazione, sarebbe scaduto il 2.07.2023 e, quindi, tra la data di entrata in vigore della L. n. 197 del 2022 (1.01.2023) e il 31.10.2023, l’ulteriore termine di undici mesi, aggiunto ai sensi dell’art. 1, comma 199, della L. n. 197 del 2022 e succ. modifiche, andava a scadere solo in data 2.06.2024 (domenica) e, quindi, il 3.06.2024 (lunedì), trattandosi di sospensione prevista per tutte le controversie definibili, a prescindere dalla presentazione della domanda di definizione.
2. Ciò posto, con il primo motivo di ricorso la contribuente deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., l’omesso esame da parte della CGT-2 di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, costituito dalle risultanze della relazione tecnica Mapelli – Ludovico in ordine all’impossibilità di sussumere i gas siderurgici AFO e OG (o LDG) nel codice 2705 della Nomenclatura Combinata, istituita con il Regolamento CEE n. 2658 del 1987, a causa della pacifica e non contestata difformità chimico-fisica di tali gas rispetto ai prodotti energetici ricompresi nel citato codice 2705, sicchè secondo i predetti consulenti i gas di cui di discute, in relazione alle loro caratteristiche chimico – fisiche, avrebbero dovuto essere classificati, rispettivamente, nei codici 2804 e 2845 della citata Nomenclatura, non compresi tra i prodotti energetici assoggettabili ad accisa.
2.1 Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
2.2 Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, il giudice di appello ha valutato la consulenza tecnica di parte, ma se ne è discostato spiegando che “in tale opera gli autori della relazione si erano limitati a rispondere ai quesiti formulati dalla contribuente, nei quali si dava già per scontato che l’accisa contestata doveva essere liquidata sul volume equivalente di gas naturale in grado di sviluppare la stessa energia del volume dei gas siderurgici omettendo di indicare la normativa di riferimento che avallasse tale tesi”.
2.3 La relazione di consulenza, invero, si è fondava su un criterio incompatibile con la normativa applicabile.
2.4 Al riguardo occorre precisare che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la perizia stragiudiziale, ancorché asseverata con giuramento, costituisce pur sempre una mera allegazione difensiva, onde il giudice del merito non è tenuto a motivare il proprio dissenso in ordine alle osservazioni in essa contenute quando ponga a base del proprio convincimento considerazioni incompatibili con le stesse; ai fini della adeguatezza della motivazione, inoltre, il giudice non è tenuto a dare conto del fatto di aver valutato analiticamente tutte le risultanze processuali né a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti, essendo sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter logico seguito nella valutazione degli stessi, implicitamente disattendendo quelli morfologicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9415 del 2025).
3. Con il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 21, commi 1 e 9, del D.Lgs. n. 504/1995, anche in relazione al Regolamento CEE n. 2658 del 23 luglio 1987 e al punto 2, lettera b delle “Regole generali per l’interpretazione della nomenclatura”, allegate al Regolamento CEE n. 1214 del 20 settembre 2007, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per avere la CGT-2 erroneamente ritenuto che i gas siderurgici AFO e OG (o LDG) potessero essere classificati nel codice 2705 della Nomenclatura combinata; codice, quest’ultimo, che, essendo espressamente richiamato dall’art. 21, comma 1, lett. b) del D.Lgs. n. 504/1995, comprende al suo interno prodotti energetici assoggettati ad accisa, mentre tali gas, a causa delle loro pacifiche e non contestate caratteristiche chimico-fisiche e in applicazione del cosiddetto “principio della prevalenza”, dettato dal punto 2, lett. b delle “Regole Generali per l’interpretazione della Nomenclatura”, allegate al Regolamento CEE n. 1214/2007, non avrebbero potuto essere classificati nel citato codice 2705 (che comprende “gas di carbon fossile, gas d’acqua e gas simili, esclusi i gas di petrolio e gli altri idrocarburi”), bensì, nei codici 2804 e 2845, entrambi non compresi nell’elenco dei prodotti energetici assoggettabili ad accisa previsto dal comma 1 del citato art. 21; aggiunge che, nella specie, non è applicabile la regola di origine comunitaria della “tassazione per equivalenza”, recepita dall’art. 21, comma 9, del TUA, perché riguarda esclusivamente i prodotti energetici di cui al comma 1 del medesimo art. 21 ed è applicabile esclusivamente ai fini dell’individuazione dell’aliquota e non ai fini della prodromica qualificazione dei gas siderurgici, che va effettuata secondo un criterio di stretta tassatività.
3.1 Il motivo è innanzitutto inammissibile per quanto riguarda il profilo della non contestazione in relazione agli elementi indicati nella perizia stragiudiziale, posto che, in tema di prove civili, le conclusioni raggiunte in una perizia stragiudiziale, ritualmente depositata dalla parte nel processo, non possono formare oggetto di applicazione del principio di non contestazione ai sensi dell’art. 115 c.p.c., poiché esse non assurgono a fatto giuridico suscettibile di prova, ma costituiscono un mero elemento indiziario soggetto a doverosa valutazione da parte del giudice (ex plurimis, Cass. n. 5362 del 2025).
3.2 Il motivo è infondato con riferimento al preteso principio di prevalenza.
3.3 Occorre premettere che la materia è regolata a livello unionale dalla Direttiva 2003/96/CE del Consiglio del 27.10.2003, che ha ristrutturato il quadro europeo sull’imposizione dei prodotti energetici e dell’elettricità, nell’ambito di un percorso di armonizzazione delle imposte di fabbricazione e di consumo, con l’intento, come è stato evidenziato da autorevole dottrina, di assoggettare ad un livello minimo di tassazione uguale per tutti gli Stati membri l’elettricità ed i prodotti energetici diversi dagli oli minerali, quali il gas naturale ed il carbone, al fine di evitare, anche in relazione a questi prodotti, forme diversificate di imposizione sulla produzione o sui consumi e di introdurre un sistema di tassazione dei prodotti energetici più compatibile con la tutela dell’ambiente, anche alla luce della ratifica da parte della Comunità europea del Protocollo di Kyoto.
3.4 La predetta Direttiva è stata recepita dallo Stato italiano con il D.Lgs. 2 febbraio 2007, n. 26, che ha introdotto significative modifiche al D.Lgs. n. 504 del 1995 (TUA).
3.5 L’art. 21, comma 1, del TUA riporta l’elenco dei prodotti energetici sottoposti al regime fiscale delle accise e prevede, per quanto qui interessa, alla lett. b) che “Si intendono per prodotti energetici…. b) i prodotti di cui ai codici NC 2701, 2701 e da 2704 a 2715.”
3.6 Per stabilire se un prodotto è sottoposto ad accisa, occorre fare riferimento, come disposto dagli artt. 3, comma 1, e 67, comma 7, del TUA, alla classificazione stabilita dalla Tariffa doganale e, segnatamente, al Codice di Nomenclatura Combinata (NC) di cui al regolamento (CE) n. 2031/2001 della Commissione del 6 agosto 2001, che modifica l’allegato I del regolamento (CEE) n. 2658/87 del Consiglio, del 23 luglio 1987, relativo alla nomenclatura tariffaria e statistica ed alla tariffa doganale comune.
3.7 I prodotti sottoposti ad accisa sono, dunque, classificati secondo quanto indicato dalla TARIC ed identificati in base alla codifica dei settori merceologici fornita dalla NC, aggiornata annualmente.
4. Al riguardo occorre accennare brevemente ai criteri che devono essere seguiti dall’operatore, al fine di adottare la corretta classificazione della merce in sede doganale.
4.1 La nomenclatura combinata (NC), contenuta nell’allegato I del regolamento (CEE) n. 2658/87 del Consiglio, del 23 luglio 1987, relativo alla nomenclatura tariffaria e statistica ed alla tariffa doganale comune, come modificata dal regolamento di esecuzione (UE) n. 1001/2013 della Commissione, del 4 ottobre 2013, disciplina la classificazione tariffaria delle merci importate nell’Unione europea, basandosi sul sistema armonizzato di designazione e di codificazione delle merci, elaborato dal Consiglio di cooperazione doganale, divenuto Organizzazione mondiale delle dogane (OMD), e istituito con la convenzione internazionale sul sistema armonizzato di designazione e di codificazione delle merci, conclusa a Bruxelles il 14 giugno 1983 e approvata, con il suo protocollo di emendamento del 24 giugno 1986, a nome della Comunità economica europea, con la decisione 87/369/CEE del Consiglio, del 7 aprile 1987 (Corte di giustizia, C-362/20, Openbaar Ministerie Overheidsdienst Financién contro Profit Europe NV, Gosselin Forwarding Services NV, 15 luglio 2021, punti 5 e 6).
4.2 Il Regolamento CE n. 2658/1987 costituisce, dunque, il riferimento normativo fondamentale per la nomenclatura delle merci, denominata “nomenclatura combinata” (NC).
4.3 Conformemente all’art. 3, paragrafo 1, del Regolamento n. 2658/87, la NC riprende le voci e le sottovoci a sei cifre del Sistema armonizzato di designazione e di codificazione delle merci (SA), mentre solo la settima e l’ottava cifra costituiscono suddivisioni ad esso proprie.
4.4 Secondo le disposizioni preliminari del suddetto Regolamento, contenute nella Parte prima, Titolo 1, sotto la voce “Regole generali per l’interpretazione della nomenclatura combinata”, la classificazione delle merci deve essere eseguita secondo alcune regole, poste, tra loro, in rapporto gerarchico, la prima delle quali richiama “I titoli delle sezioni, dei capitoli o dei sottocapitoli”, ancorché da considerare puramente indicativi (Corte di giustizia, sentenza del 12 luglio 2018, C-397-398/17, Profit Europe contro Belgische Staat), essendo la classificazione delle merci determinata ex lege (regola 1) “dal testo delle voci, da quello delle note premesse alle sezioni o ai capitoli e, occorrendo, dalle norme che seguono, purché queste non contrastino col testo di dette voci e note”.
4.5 La seconda regola (sottordinata alla prima) chiarisce che la merce indicata in una determinata voce comprende anche l’oggetto incompleto o non finito, purché siano presenti le caratteristiche essenziali di quello completo o finito o da considerare tale per effetto delle disposizioni precedenti (regola 2a), mentre qualsiasi menzione, in una determinata voce, ad una materia si riferisce a questa materia sia allo stato puro, sia mescolata o associata ad altre materie, così come la menzione di lavori di una determinata materia, si riferisce a quelli costituiti interamente o parzialmente da questa materia, mentre la classificazione di questi oggetti mescolati o compositi, qualora siano classificabili in due o più voci, è effettuata seguendo i principi di cui alla successiva regola 3 (regola 2b); quest’ultima contempla, in particolare, tre diversi criteri, che, operando a cascata, ciascuno in caso di inapplicabilità di quello precedente, impongono di classificare la merce prioritariamente secondo la voce più specifica rispetto a quella più generale (regola 3a), altrimenti secondo la voce afferente alla materia o all’oggetto che conferisce il carattere essenziale ai prodotti misti, ai lavori composti di materie differenti o costituiti dall’assemblaggio di oggetti differenti e alle merci presentate in assortimenti condizionati per la vendita al minuto (regola 3b), e, infine, secondo la voce che, in ordine di numerazione, è posta per ultima tra quelle suscettibili di essere validamente prese in considerazione (regola 3c).
4.6 La giurisprudenza unionale ha più volte fornito utili indicazioni per la spiegazione della Regole generali per l’interpretazione della nomenclatura combinata, contenute nell’allegato I del Reg. n. 2658/87/CEE.
4.7 Utili indicazioni possono essere ricavate dalle note esplicative della NC, elaborate dalla Commissione europea, quando conformi alle disposizioni della NC e non modificative della relativa portata, le quali forniscono un rilevante contributo all’interpretazione della portata delle singole voci tariffarie, senza tuttavia essere giuridicamente vincolanti (Corte di giustizia, sentenza del 26 maggio 2016, Invamed Group e a., in causa C-198/15, punto 19; sentenza del 12 luglio 2018, in causa C-397-398/17, Profit Europe contro Belgische Staat, punto 26).
4.8 Altro importante criterio per l’individuazione della corretta classificazione è la destinazione del prodotto, valutabile in funzione delle caratteristiche e delle proprietà oggettive dello stesso, con la precisazione che, a tal fine, si devono valutare tanto l’uso cui il prodotto è destinato dal fabbricante, quanto le modalità e il luogo della sua utilizzazione (v. Corte di giustizia, 15 maggio 2019, Korado, cit. punto 37 e giurisprudenza ivi citata; Corte di giustizia, 2 maggio 2019, Onlineshop, C-268/18, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).
4.9 In presenza di oggetti che svolgono più di una funzione, occorre prendere in considerazione la destinazione essenziale del prodotto e l’inerenza va valutata in funzione delle caratteristiche e delle proprietà oggettive di quest’ultimo (Corte di giustizia 27/2/2020, in causa C-670/19, Gardinia Home Decor Gmbh contro Hauptzollamt Ulm, punto 37).
4.10 Anche questa Corte ha precisato che il criterio discretivo, ai fini della classificazione doganale delle merci, è dato, oltreché dalle caratteristiche e proprietà oggettive, dalla destinazione del prodotto, valutabile in funzione delle caratteristiche e delle proprietà oggettive dello stesso (Cass. 11/2/2020, n. 3242).
5. Per quanto riguarda la classificazione dei gas siderurgici, che non hanno una voce specifica nella Tariffa doganale, la CGT-2 ha condiviso quanto argomentato sul punto dal primo giudice circa la inclusione dei gas AFO e LDG nel codice 2705, precisando che “la inclusione nel codice 2705 dei “gas simili” rappresenta voce residuale nella quale includere i gas AFO e LDG nel Sistema Armonizzato di designazione e di codificazione delle merci (SA). Ciò in considerazione anche dell’uso previsto che in base alla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, in tema di interpretazione della Nomenclatura combinata, costituisce “un criterio obiettivo” per la classificazione dei prodotti (Caso C-201/99 Deutsche Nichimen GmbH v Hauptzollant Dusseldorf; Caso C-309/98 Holz Geenan Gmbh v Oberfinanzdirektion Munchen)”.
5.1 La decisione impugnata si è, quindi, attenuta alla regola 1 delle “Regole generali per l’interpretazione della nomenclatura combinata”, secondo la quale “I titoli delle sezioni, dei capitoli o dei sottocapitoli”, sono da considerare puramente indicativi, essendo la classificazione delle merci determinata legalmente “dal testo delle voci, da quello delle note premesse alle sezioni o ai capitoli e, occorrendo, dalle norme che seguono, purché queste non contrastino col testo di dette voci e note”.
5.2 Nei capitoli della Tariffa doganale sono spesso inserite voci residuali, mediante la dicitura “altri” o “simili”, in cui rientrano merci prive di una voce specifica, ma aventi caratteristiche similari. Così, anche nel codice NC 2705, dopo le voci “gas di carbon fossile, “gas d’acqua” e “gas povero” è inserita la dicitura “gas simili”, equiparati normativamente, quindi, a quelli specificatamente indicati, fra cui rientrano i gas cd. siderurgici, anche in considerazione del loro impiego come combustibili.
5.3 Tale classificazione è confermata dalle note esplicative della NC, che per il codice 2705 stabiliscono che “il gas di carbon fossile è ottenuto per distillazione del carbon fossile, al riparo dal contatto dell’aria, nelle officine del gas o nelle cokerie. È una miscela complessa di idrogeno, di metano, di ossido di carbonio, ecc., utilizzata per il riscaldamento o l’illuminazione. Rientrano ugualmente in questa voce, il gas ottenuto per carbonizzazione (gassificazione) degli stessi filoni carboniferi nel suolo, come anche il gas d’acqua, il gas povero e i gas simili, quale per esempio, il gas d’alto forno.”.
5.4 Le regole richiamate dalla ricorrente (regole 3a e 3b) delle “Regole generali per l’interpretazione della nomenclatura combinata”, oltre ad essere inconferenti con riferimento al caso di specie, risultano comunque residuali rispetto alla regola 1, che va applicata in via prioritaria.
6. Sul punto è utile richiamare quanto affermato dalla Corte di Giustizia europea (CGUE, cause C-43/13 e C-44/13 – Kronos Titan GmbH e Rhein-Ruhr Beschichtungs-Service GmbH), secondo la quale “La condizione, prevista dall’articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 2003/96/CE del Consiglio, del 27 ottobre 2003, che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità, secondo cui i prodotti energetici diversi da quelli per i quali la direttiva stessa precisi un livello di imposizione vengono tassati in funzione della loro utilizzazione, all’aliquota prevista per il combustibile per riscaldamento o carburante per motori equivalente, deve essere interpretata nel senso che occorre determinare, in un primo momento, se il prodotto di cui trattasi sia utilizzato come combustibile per riscaldamento o come carburante per motori, prima di individuare, in un secondo momento, a quale dei carburanti per motori o dei combustibili per riscaldamento, a seconda dei casi, indicati nella corrispondente tabella dell’allegato I della direttiva medesima, il prodotto di cui trattasi si sostituisca effettivamente nella sua utilizzazione ovvero, in difetto, quale di tali carburanti per motori o quale di tali combustibili per riscaldamento risulti il più prossimo, in considerazione della sua natura e della sua destinazione”.
6.1 Per la giurisprudenza della Corte di giustizia UE, quindi, tanto l’economia generale quanto la finalità della direttiva 2003/96 si basano sul principio secondo cui i prodotti energetici sono tassati in funzione del loro effettivo utilizzo tenendo conto, in particolare, della distinzione netta, enunciata nei considerando 17 e 18 di tale direttiva, tra i carburanti per motori e i combustibili, su cui essa si basa. Inoltre, la definizione del “livello di tassazione” dei prodotti energetici, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, di detta direttiva, secondo il loro utilizzo come carburante per motori o come combustibile per riscaldamento, contribuisce al buon funzionamento del mercato unico, obiettivo enunciato in particolare nel considerando 3 della medesima direttiva, consentendo di escludere eventuali distorsioni della concorrenza tra prodotti energetici utilizzati per gli stessi fini (sentenze del 2 giugno 2016, ROZ-SWIT, C-418/14, punti da 31 a 33, e del 7 novembre 2019, Petrotel-Lukoil, C-68/18, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).
6.2 Il margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri, quindi, non può rimettere in discussione il principio secondo cui i prodotti energetici sono tassati in funzione del loro utilizzo effettivo (C-68/18 cit., punti 52 e 53; sentenza del 25 aprile 2024, SC Bitulpetrolium Serv Srl, punti 23 e 24).
6.3 Anche la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato come, ai fini della assoggettabilità di un prodotto ad accisa, sia irrilevante la sua composizione chimica, in quanto ciò conta è la sua effettiva destinazione ed utilizzazione come combustibile o carburante (cfr. Cass. n. 17513 del 2019).
6.4 Va, pertanto, affermato il principio secondo il quale, in tema di tassazione dei prodotti energetici, al fine di stabilire se un prodotto energetico è assoggettato ad accisa, occorre accertare la sua effettiva utilizzazione e destinazione facendo riferimento al sistema di classificazione della merce in sede doganale.
7. Con il terzo motivo, deduce la nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., perché fornita di motivazione apparente, in violazione degli artt. 36, comma 2, n. 4 e 61 del D.Lgs. n. 546/1992, degli artt. 112,132, comma 2, n. 4, e 118 disp. att. c.p.c., in combinato disposto con l’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992 e dei principi generali sulla motivazione dei provvedimenti giurisdizionali sanciti dall’art. 111, commi 6 e 7, Cost., nella parte in cui la CGT-2 si è soffermata solo sulla questione della non assoggettabilità ad accisa dei gas AFO e OG e sulla domanda subordinata con la quale la contribuente aveva segnalato la necessità di convertire i volumi dei gas siderurgici in volumi equivalenti per potere calorifico a quello del gas naturale, rigettando tutte le “ulteriori doglianze” proposte dalla contribuente, che riguardavano questioni diverse da quelle affrontate in relazione all’appello principale, fra cui quella relativa al mancato riconoscimento della possibilità di applicare l’accisa “con aliquota zero” al gas Coke utilizzato per la produzione di energia elettrica, come consentito dall’art. 11, comma 3-bis, del D.L. n. 323 del 1996, in ordine alla quale non sono state spiegate le ragioni del rigetto.
8. Con il quarto motivo deduce la nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., perché fornita di motivazione apparente, in violazione degli artt. 36, comma 2, n. 4 e 61 del D.Lgs. n. 546/1992, degli artt. 112,132, comma 2, n. 4, e 118 disp. att. c.p.c., in combinato disposto con l’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992 e dei principi generali sulla motivazione dei provvedimenti giurisdizionali sanciti dall’art. 111, commi 6 e 7, Cost., nella parte in cui la CGT-2 si è limitata a rigettare tutte le “ulteriori doglianze” proposte dalla contribuente, che riguardavano questioni diverse da quelle affrontate in relazione all’appello principale, fra cui quella relativa al mancato riconoscimento della qualifica di “auto–produttore” di energia elettrica e la conseguente riduzione dell’aliquota delle accise prevista per gli auto – produttori di energia dal punto 11 della Tabella A allegata al D.Lgs. n. 504/1995, in ordine alla quale non sono state spiegate le ragioni del rigetto.
9. Con il quinto motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 14, paragrafo 1, lett. a) della Direttiva n. 2003/96/CE, nonché dell’allegato 1, tabella C, della medesima direttiva, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per avere la CGT-2 erroneamente statuito che, ai fini dell’applicazione ai gas siderurgici dell’aliquota dell’accisa prevista per il gas naturale (in forza del principio della “tassazione per equivalenza”) e della quantificazione dei volumi di tali gas che devono scontare il tributo, non si debba tener conto della differenza di potere calorifico esistente tra le due predette categorie di gas e non sia quindi necessario convertire i volumi di gas siderurgici utilizzati in volumi di gas naturale equivalenti per potere calorifico; precisa che l’Agenzia delle dogane avrebbe dovuto considerare tale differenza ed assoggettare ad accisa, con l’aliquota prevista per il gas naturale, non l’intero volume dei gas siderurgici impiegati dall’ILVA per produrre energia elettrica, ma soltanto volumi di tali gas pari a quello di gas naturale che sarebbe servito per generare la stessa quantità di energia elettrica.
10. Con il sesto motivo denuncia la nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., perché fornita di motivazione apparente, in violazione degli artt. 36, comma 2, n. 4 e 61 del D.Lgs. n. 546/1992, degli artt. 112,132, comma 2, n. 4, e 118 disp. att. c.p.c., in combinato disposto con l’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992 e dei principi generali sulla motivazione dei provvedimenti giurisdizionali sanciti dall’art. 111, commi 6 e 7, Cost., nella parte in cui la CGT-2 si è limitata a rigettare tutte le “ulteriori doglianze” proposte dalla contribuente, che riguardavano questioni diverse da quelle affrontate in relazione all’appello principale, fra cui quella, proposta in via subordinata, relativa alla violazione dell’art. 22 del TUA (che esclude da accisa “il consumo di prodotti energetici all’interno di uno stabilimento che produce prodotti energetici”), in ordine alla quale non sono state spiegate le ragioni del rigetto e che riguardava la non corretta individuazione da parte dell’Agenzia delle dogane degli impianti presenti nella centrale CET 2, utilizzati per la produzione di prodotti energetici, per i quali l’accisa andava esclusa in forza del citato art. 22.
11. Con il settimo motivo denuncia la nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., perché fornita di motivazione apparente, in violazione degli artt. 36, comma 2, n. 4 e 61 del D.Lgs. n. 546/1992, degli artt. 112,132, comma 2, n. 4, e 118 disp. att. c.p.c., in combinato disposto con l’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992 e dei principi generali sulla motivazione dei provvedimenti giurisdizionali sanciti dall’art. 111, commi 6 e 7, Cost., nella parte in cui la CGT-2 si è limitata a rigettare tutte le “ulteriori doglianze” proposte dalla contribuente, che riguardavano questioni diverse da quelle affrontate in relazione all’appello principale, fra cui quella, proposta in via subordinata, relativa alla violazione dell’art. 25, comma 5, della L. n. 388 del 2000, in ordine alla quale non sono state spiegate le ragioni del rigetto e che riguardava l’omessa riduzione da parte dell’Ufficio del 40% dell’aliquota dell’accisa applicata ai gas siderurgici impiegati per la produzione di calore, in relazione agli “utilizzatori industriali con consumi superiori a 1.200.000 metri cubi anno”.
12. Con l’ottavo motivo denuncia la nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., perché fornita di motivazione apparente, in violazione degli artt. 36, comma 2, n. 4 e 61 del D.Lgs. n. 546/1992, degli artt. 112,132, comma 2, n. 4, e 118 disp. att. c.p.c., in combinato disposto con l’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992 e dei principi generali sulla motivazione dei provvedimenti giurisdizionali sanciti dall’art. 111, commi 6 e 7, Cost., nella parte in cui la CGT-2 si è limitata a rigettare tutte le “ulteriori doglianze” proposte dalla contribuente, che riguardavano questioni diverse da quelle affrontate in relazione all’appello principale, fra cui quella relativa alla violazione dell’art. 21, comma 13, del TUA, in ordine alla quale non sono state spiegate le ragioni del rigetto e che riguardava l’illegittimo assoggettamento ad accisa anche del gas naturale utilizzato per generare energia elettrica e vapore impiegati nei “processi metallurgici”.
13. Il terzo e il quinto motivo, che vanno esaminati unitariamente per connessione, sono infondati.
13.1 Con riferimento al terzo motivo, occorre premettere che, benchè sia effettivamente carente la motivazione della CGT-2 in ordine alla censura sul mancato riconoscimento dell’applicazione dell’accisa “con aliquota zero” al gas Coke utilizzato per la produzione di energia elettrica, a differenza di quanto si dirà con riferimento al quarto, sesto, settimo ed ottavo motivo, in questo caso va applicato il principio più volte espresso da questa Corte, secondo cui il ricorso per cassazione che denunci il vizio di motivazione della sentenza, perché meramente apparente, in violazione dell’art. 132 c.p.c., non può essere accolto qualora la questione giuridica sottesa sia comunque da disattendere, non essendovi motivo per cui un tale principio, formulato rispetto al caso di omesso esame di un motivo di appello, e fondato sui principi di economia e ragionevole durata del processo, non debba trovare applicazione anche rispetto al caso, del tutto assimilabile, in cui la motivazione resa dal giudice dell’appello sia, rispetto ad un dato motivo, sostanzialmente apparente, ma suscettibile di essere corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c. (Cass. n. 6145 del 2019; n. 12983 del 2015).
13.2 Ciò posto, l’invocato art. 11, comma 3-bis, del D.L. n. 323 del 1996, convertito con modificazioni nella L. n. 425 del 1996, stabilisce che “3-bis. Le miscele idrocarburiche gassose che residuano dai processi di lavorazione degli stabilimenti industriali utilizzate come combustibili, assoggettate alla tassazione prevista dal comma 5 dell’articolo 21 del testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative approvato con decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, assolvono l’accisa con aliquota zero”.
13.3 La ricorrente sostiene che, poichè nel gas Coke – che si origina dal processo di distillazione del carbon fossile e dalla piroscissione (cracking) degli idrocarburi – sarebbe presente una rilevante frazione idrocarburica (pari al 30%), lo stesso dovrebbe essere assimilato ad una miscela idrocarburica gassosa (essendo gli idrocarburi presenti miscelati in una soluzione gassosa il cui solvente principale è l’idrogeno), che residua dai processi di lavorazione degli stabilimenti industriali, con conseguente applicazione del citato art. 11, comma 3-bis.
13.4 Sul punto va rilevato che la Direttiva n. 2003/96/CE prevede all’art. 14, par. 1, per quanto qui interessa, che “1. In aggiunta alle disposizioni generali di cui alla direttiva 92/12/CEE, relative alle esenzioni di cui godono i prodotti tassabili quando sono destinati a determinati usi, e fatte salve le altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esentano dalla tassazione i prodotti elencati in appresso, alle condizioni da essi stabilite al fine di garantire un’agevole e corretta applicazione delle esenzioni stesse e di evitare frodi, evasioni o abusi a) i prodotti energetici e l’elettricità utilizzati per produrre elettricità e l’elettricità utilizzata per mantenere la capacità di produrre l’elettricità stessa. Gli Stati membri hanno tuttavia la facoltà di tassare questi prodotti per motivi di politica ambientale, prescindendo dai livelli minimi di tassazione stabiliti nella presente direttiva. In tal caso l’imposta su detti prodotti non rientra nel calcolo del livello minimo di tassazione sull’elettricità stabilito all’articolo 10”.
13.5 L’intento del legislatore europeo è, appunto, quello di assoggettare ad un livello minimo di tassazione uguale per tutti gli Stati membri l’elettricità ed i prodotti energetici diversi dagli oli minerali, quali il gas naturale ed il carbone, al fine di evitare, anche in relazione a questi prodotti, forme diversificate di imposizione sulla produzione o sui consumi, ma soprattutto per introdurre un sistema di tassazione dei prodotti energetici più compatibile con la tutela dell’ambiente, anche alla luce della ratifica da parte dell’Unione europea del Protocollo di Kyoto, lasciando impregiudicato il diritto degli Stati membri a tassare con aliquote più pesanti prodotti energetici considerati inquinanti (Cass. n. 25589 del 2023).
13.6 Secondo la giurisprudenza unionale la Direttiva 2003/96/CE ha come obiettivo, come risulta dai suoi considerando da 3 a 5 e dal suo articolo 1, la fissazione di un regime di tassazione armonizzato dei prodotti energetici e dell’elettricità, nell’ambito del quale la tassazione è la regola, secondo le modalità stabilite dalla stessa direttiva (sentenza del 9 marzo 2023, RWE Power, C-571/21, punto 24 e giurisprudenza ivi citata).
13.7 Per quanto riguarda la produzione di elettricità, poi, il legislatore dell’Unione ha operato la scelta – rilevabile a pagina 5 del preambolo della proposta di direttiva del Consiglio che ristruttura il quadro comunitario per l’imposizione dei prodotti energetici (GU 1997, C 139, pag. 14) – di imporre agli Stati membri, conformemente all’articolo 1 della Direttiva 2003/96/CE, la tassazione dell’elettricità prodotta, prevedendo, correlativamente, la necessità di esentare dalla tassazione i prodotti energetici utilizzati per la produzione di tale elettricità, e ciò al fine di evitare la doppia tassazione dell’elettricità (sentenza del 9 marzo 2023, RWE Power, C-571/21, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).
13.8 L’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), seconda frase, della Direttiva cit., tuttavia, prevede che lo Stato membro può tassare i prodotti energetici utilizzati per produrre elettricità per motivi di politica ambientale (sentenza del 4 giugno 2015, Kernkraftwerke Lippe-Ems, C-5/14, punto 51). Con tale disposizione, il legislatore dell’Unione ha quindi esplicitamente inteso consentire agli Stati membri di derogare al regime di esenzione obbligatoria introdotto dalla direttiva 2003/96 (sentenza del 16 ottobre 2019, UPM France, C-270/18, punto 52 e giurisprudenza ivi citata), al fine di incoraggiare obiettivi di politica ambientale (sentenza del 30 gennaio 2020, Autoservizi Giordano, C-513/18, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).
13.9 La facoltà di tassare i prodotti energetici utilizzati per produrre elettricità per motivi di politica ambientale costituisce, quindi, una deroga al principio della tassazione unica dell’energia elettrica (sentenza del 22 giugno 2023, Endesa Generaciòn SAU, C-833/21, punto 35).
14. Il D.Lgs. 2 febbraio 2007, n. 26, con il quale la predetta Direttiva è stata recepita nell’ordinamento italiano, ha riformulato anche l’art. 21 del D.Lgs. n. 504 del 1995 (TUA).
14.1 Il comma 9 dell’art. 21 TUA, introdotto proprio dal D.Lgs. n. 26 del 2007, prevede che “I prodotti energetici di cui al comma 1, qualora siano utilizzati per la produzione di energia elettrica, sono sottoposti ad accisa per motivi di politica ambientale, con l’applicazione delle aliquote stabilite dalla Tabella A”.
14.2 Con tale previsione lo Stato italiano si è avvalso, appunto, della facoltà prevista dall’art. 14, n. 1, lett. a) della Direttiva 2003/96/CE, di tassare i prodotti per motivi di politica ambientale, prescindendo dai livelli minimi di tassazione stabiliti nella stessa direttiva.
14.3 La ratio di tale tassazione è quella di disincentivare l’impiego di combustibili inquinanti per la produzione di energia elettrica e di incentivare quella da fonti alternative, come eolico, fotovoltaico, ecc.
14.4 L’art. 11, comma 3-bis, cit. non può, pertanto, trovare applicazione con riferimento al gas Coke, in quanto si tratta di un prodotto energetico, classificato con il codice NC 2705, rientrante fra quelli indicati dal comma 1 lett. b) dell’art. 21 del TUA, per cui, se utilizzato per la produzione di energia elettrica, è assoggettato ad accisa con l’aliquota del carburante equivalente, ai sensi del comma 9 dell’art. 21 del TUA, la cui tassazione è del tutto autonoma rispetto a quella prevista dal comma 5 del medesimo art. 21 (a cui fa riferimento l’art. 11, comma 3-bis, cit.), che riguarda il diverso impiego di idrocarburi come combustibile per riscaldamento.
14.5 Occorre considerare, peraltro, che le aliquote in materia di accise sui prodotti energetici sono stabilite ex lege in misura fissa (v. Allegato I del TUA), essendo definite in misura percentuale ovvero direttamente in un certo importo monetario, in relazione all’unità di misura del prodotto utilizzato, rendendo ciò determinabile ex art. 1346 cod civ. il contenuto dell’oggetto dell’obbligazione tributaria attraverso la indicazione nell’atto impositivo della sola base imponibile costituita dalla quantità del prodotto consumato (Cass. n. 31769/19).
15. Il principio delle aliquote stabilite dalla legge in misura fissa rende infondato anche il quinto motivo di ricorso, posto che l’applicazione dell’accisa prescinde del tutto dalla capacità calorifera del prodotto energetico utilizzato, essendo riferibile solo all’unità di misura dello stesso.
15.1 Con riferimento al quinto motivo va altresì condiviso quanto stabilito da questa Corte con riferimento alla previgente imposta sugli oli minerali impiegati per la produzione di energia elettrica di cui all’art. 8, comma 7, della L. n. 448 del 1998 (cd. carbon tax), secondo il quale le relative aliquote hanno natura forfetaria e prescindono dal potere calorifero dei combustibili impiegati, sicchè non è possibile rideterminare le modalità di calcolo dell’imposta ed il quantitativo di prodotto su cui applicare l’imposta, laddove dal testo normativo non emerga “l’intenzione del legislatore di consentire la rideterminazione della aliquote sulla base delle caratteristiche dei combustibili impiegati piuttosto che del peso effettivo” (Cass. n. 3469 del 2014 e n. 3471 del 2014).
15.2 Anche in materia di accisa sui prodotti energetici va, pertanto, affermato il principio secondo il quale la previsione di aliquote in misura fissa, riferibili solo all’unità di misura del prodotto utilizzato, esclude la possibilità di rideterminare le modalità di calcolo dell’imposta ed il quantitativo di prodotto su cui applicare l’imposta sulla base del potere calorifero del combustibile impiegato.
15.3 La CGT-2 si è attenuta a detti principi affermando che “la pretesa della società contribuente di rideterminare le modalità di calcolo dell’imposta ed il quantitativo di prodotto su cui applicare l’imposta secondo formule matematiche e criteri al di fuori di ogni previsione normativa non appare condivisibile”, non trovando la stessa alcun riscontro normativo.
16. I restanti motivi, che possono essere esaminati unitariamente, riguardando tutti la censura della motivazione mancante o apparente su ulteriori questioni sollevate dalla contribuente, sono invece fondati.
16.1 Con riferimento alla motivazione apparente va ribadito che la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, in quanto, benchè graficamente esistente, non rende percepibile il fondamento della decisione, contenendo argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. S.U. n. 22232 del 2016).
16.2 Orbene, con riferimento al quarto, sesto, settimo ed ottavo motivo, la CGT-2 si è limitata ad affermare che “Quanto alle ulteriori doglianze riproposte in sede di appello incidentale proposto dalla contribuente, questo Collegio ritiene che le stesse debbano essere interamente rigettate in considerazione delle motivazioni fin ora esposte ed in quanto destituite di fondamento”. Le scarne argomentazioni contenute sul punto nella sentenza impugnata non permettono, neppure alla luce delle deduzioni sviluppate dalle parti, di comprendere il percorso argomentativo (e le sottese questioni giuridiche) svolto dal giudice di appello nel rigettare le censure mosse in via subordinata.
16.3 Poiché tali carenze non possono essere integrate dall’interprete in via congetturale, con le più varie, ipotetiche argomentazioni, l’impossibilità di individuare l’effettiva ratio decidendi rende meramente apparente la motivazione della sentenza impugnata limitatamente alle doglianze indicate al terzo, quarto, sesto, settimo ed ottavo motivo di ricorso.
17. Al riguardo, tuttavia, occorre fornire al giudice del rinvio alcune utili indicazioni.
17.1 Con riferimento alla tassazione dell’energia, in generale, va ribadito che, secondo la giurisprudenza unionale, “In via preliminare, occorre ricordare che la direttiva 2003/96 ha come obiettivo, come risulta dai suoi considerando da 3 a 5 e dal suo articolo 1, la fissazione di un regime di tassazione armonizzato dei prodotti energetici e dell’elettricità, nell’ambito del quale la tassazione è la regola, secondo le modalità stabilite da questa stessa direttiva (sentenza del 3 dicembre 2020, Repsol Petróleo, C-44/19, EU C 2020 982, punto 21)”; “Inoltre, secondo una consolidata giurisprudenza, le disposizioni riguardanti le esenzioni previste dalla direttiva 2003/96 devono essere oggetto di un’interpretazione autonoma, fondata sul loro tenore letterale nonché sull’economia sistematica di tale direttiva e sulle finalità perseguite da quest’ultima (sentenza del 7 marzo 2018, Cristal Union, C-31/17, EU C 2018 168, punto 21 e la giurisprudenza ivi citata)” (Così, CGUE, 9 marzo 2023, RWE Power Aktiengesellschaft, C-571/21, punti 24 e 25; v., analogamente, sempre in tema di accise su prodotti energetici ed elettricità, anche CGUE, 5 marzo 2015, Statoil Fuel E Retail, C-553/13, ove si osserva che “una disposizione derogatoria….deve essere oggetto di interpretazione restrittiva”, punto 39).
17.2 È stato, pertanto, osservato che, “poiché l’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2003/96 enuncia in maniera tassativa le esenzioni obbligatorie che si impongono agli Stati membri nell’ambito della tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità, le sue disposizioni non possono essere interpretate in maniera estensiva, a pena di privare di qualsiasi effetto utile la tassazione armonizzata istituita da tale direttiva (sentenze del 7 marzo 2018, Cristal Union, C-31/17, EU C 2018 168, punti 24 e 25, nonché del 7 novembre 2019, Petrotel-Lukoil, C-68/18, EU C 2019 933, punto 40)”; “Pertanto, pur potendosi pensare che qualsiasi consumo di elettricità, quale che sia la fase della produzione di elettricità in cui esso interviene, non è privo di collegamento con l’elettricità alla fine prodotta, ciò non toglie che, al fine di preservare l’effetto utile del carattere eccezionale dell’esenzione dalla tassazione, occorre considerare che soltanto un’utilizzazione che concorra direttamente al processo tecnologico della produzione di elettricità rientra nell’esenzione dalla tassazione ai sensi della disposizione suddetta, ad esclusione, in particolare, di qualsiasi produzione di elettricità che intervenga in una fase anteriore ai fini della fabbricazione di un prodotto energetico intermedio a sua volta utilizzato per produrre, in un secondo momento, elettricità” (CGUE, RWE Power Aktiengesellschaft, C-571/21, cit., punti 30 e 31).
17.3 Da ciò si ricava che non tutti gli usi di energia elettrica sono esentati, atteso che l’esenzione riguarda l’energia elettrica utilizzata per la produzione di altra energia elettrica e non di altri prodotti energetici, né, a maggior ragione, di prodotti considerati non energetici dalla direttiva (art. 2, par. 4 lett. a), come il calore (Cass. n. 14259 del 2025).
17.4 In altri termini, ai sensi dell’art. 14, par. 1, della direttiva 2003/96/CE sono esentati dalla tassazione (che è la regola) i prodotti energetici e l’elettricità utilizzati per produrre elettricità e l’elettricità utilizzata per mantenere la capacità di produrre l’elettricità stessa, anche se gli Stati membri, come si è già precisato, possono decidere di tassarla per motivi di politica ambientale (art. 21, comma 9, TUA).
17.5 Va precisato, inoltre, che la previsione della tassazione dei prodotti energetici utilizzati per produrre elettricità per motivi di politica ambientale è compatibile con la direttiva europea, qualora esista un nesso diretto tra l’impiego del gettito della tassazione in questione e la sua finalità o qualora tale imposta, senza perseguire una finalità puramente di bilancio, sia concepita, per quanto riguarda la sua struttura, in particolare la materia imponibile o l’aliquota d’imposta, in modo tale da influenzare il comportamento dei contribuenti in un senso che consenta di garantire una migliore tutela dell’ambiente (C-833/21 cit., punto 57).
17.6 Con specifico riferimento alla finalità ambientale anche questa Corte ha chiarito che “Una imposta, sia pure in relazione ad una diversa direttiva, persegue finalità ambientale soltanto qualora sia concepita con riguardo alla materia imponibile o all’aliquota in modo da scoraggiare i contribuenti dall’utilizzare prodotti nocivi per l’ambiente” (Cass. n. 15135 del 2020).
18. Con riferimento al quarto motivo di ricorso, poi, si deve considerare che, ai sensi dell’art. 52, comma 3, lett. b), TUA, è esentata da accise l’energia elettrica “prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza disponibile superiore a 20 kW, consumata dalle imprese di autoproduzione in locali e luoghi diversi dalle abitazioni”.
18.1 L’art. 2, comma 2, del D.Lgs. n. 79 del 1999 (cd. decreto Bersani), attuativo della direttiva n. 96/92/CE del 19 dicembre 1996, concernente norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, stabilisce che, agli effetti del menzionato decreto, “Autoproduttore è la persona fisica o giuridica che produce energia elettrica e la utilizza in misura non inferiore al 70% annuo per uso proprio ovvero per uso delle società controllate, della società controllante e delle società controllate dalla medesima controllante, nonché per uso dei soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica di cui all’articolo 4, numero 8, della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, degli appartenenti ai consorzi o società consortili costituiti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili e per gli usi di fornitura autorizzati nei siti industriali anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto”.
18.2 Dal combinato disposto di tali disposizioni si evince che sono esentati dal pagamento delle accise unicamente le officine di produzione che producono energia elettrica per uso proprio, a condizione che a) la produzione avvenga con impianti azionati da fonti rinnovabili; b) detti impianti abbiano una potenza disponibile superiore a 20 kw; c) l’energia autoprodotta venga anche autoconsumata per usi differenti da quello abitativo.
18.3 Come ha avuto modo di affermare questa Corte (Cass. n. 28344 del 2019), la nozione di autoproduzione di cui al D.Lgs. n. 79 del 1999 non è idonea ad individuare i soggetti esentati dal pagamento delle accise ai sensi dell’art. 52, comma 3, lett. b), TUA, i quali non rientrano nella menzionata definizione, sia perché l’art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 79 del 1999 stabilisce che le definizioni di cui ai successivi commi valgono ai soli fini del decreto e, pertanto, la definizione di autoproduzione di cui al comma 2 trova un limite applicativo testuale, sia perché le finalità del D.Lgs. n. 79 del 1999, in linea con la direttiva n. 96/92/CE, sono quelle di perseguire un mercato concorrenziale dell’energia elettrica, a differenza di quelle del TUA, come modificato dal D.Lgs. n. 26 del 2007, in attuazione della direttiva n. 2003/96/CE, che ha come obiettivo l’armonizzazione della tassazione degli Stati membri della UE in materia di accise sui prodotti energetici. L’esenzione prevista dall’art. 52, comma 3, lett. b), TUA con riferimento all’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili è, quindi, limitata all’utilizzazione che fa dell’energia medesima il soggetto autoproduttore ed è di stretta interpretazione, tanto che l’esenzione è stata riconosciuta, ad esempio, unicamente alla società consortile che produce l’energia, nei limiti del consumo dalla stessa praticato, e non già per l’ipotesi in cui la società consortile ceda l’energia elettrica a distinti soggetti giuridici quali sono i consorziati (Cass. n. 28344/2019 cit.; Cass. n. 8293/2014; Cass. n. 23529/2008).
18.4 Con la recente sentenza del 3 dicembre 2020 (C-44/19 – Repsol Petroleo SA) la Corte di Giustizia europea ha ricordato che l’art. 21, par. 3, prima fase della direttiva 2003/96, nel disporre che il consumo di prodotti energetici all’interno dello stabilimento in cui sono stati fabbricati non è considerato, a determinate condizioni, un fatto generatore di tassazione, costituisce una disposizione derogatoria al regime di tassazione, la quale dev’essere oggetto di interpretazione restrittiva (v., in tal senso, anche sentenza del 7 novembre 2019, Petrotel-Lukoil, C-68/18, punto 37), ma soltanto laddove tale consumo venga effettuato ai fini della fabbricazione di prodotti energetici che siano a loro volta sottoposti al regime di tassazione armonizzato istituito dalla direttiva 2003/96, per il fatto di essere utilizzati come carburante o combustibile (v., in tal senso, sentenza del 6 giugno 2018, Koppers Denmark, C-49/17, punti 32 e 37).
18.5 Inoltre, qualora vengano fabbricati diversi prodotti nell’ambito dello stesso stabilimento, al fine di valutare se il consumo di prodotti energetici possa rientrare nell’ambito di applicazione dell’eccezione di cui all’articolo 21, par. 3, prima frase, della direttiva 2003/96, occorre fare riferimento alle diverse finalità di un siffatto consumo (v., in tal senso, sentenza del 7 novembre 2019, Petrotel-Lukoil, C-68/18, punto 25), per cui solo il consumo della parte di prodotti energetici che mira a produrre prodotti energetici destinati ad essere utilizzati come carburante o combustibile rientra nell’eccezione al fatto generatore d’imposta, prevista all’articolo 21, paragrafo 3, prima frase, di detta direttiva (v., in tal senso, sentenza del 7 novembre 2019, Petrotel-Lukoil, C-68/18, punti 26 e 27), non potendone beneficiare, invece, “il consumo delle parti dei prodotti energetici che si effettua ai fini della fabbricazione di prodotti non energetici o di prodotti energetici che non sono destinati ad essere utilizzati come carburante o combustibile”, essendo irrilevante che l’ottenimento di prodotti non energetici fosse residuale o inevitabile, nel senso che costituiva la conseguenza necessaria del processo di fabbricazione o era imposto da una normativa volta a proteggere l’ambiente. La Corte ha precisato sul punto che “non rientrano in tale eccezione la parte dei prodotti energetici consumati al fine di produrre calore utilizzato per il riscaldamento dei locali di uno stabilimento, o quella necessaria per la generazione di elettricità” (sentenza C-44/19 cit., punto 29; sentenza del 7 novembre 2019, Petrotel-Lukoil, C-68/18, punti 26 e 33).
18.6 Secondo la Corte di giustizia europea, quindi, “quando, nel corso di un processo di produzione, si ottengano sia, da un lato, prodotti energetici destinati ad essere utilizzati come carburante o come combustibile, sia, dall’altro, prodotti non energetici, si deve ritenere, in linea di principio, che la parte dei prodotti energetici consumati nell’ambito di tale processo per produrre altri prodotti energetici destinati ad essere utilizzati come carburante o combustibile rientri nell’eccezione prevista all’articolo 21, paragrafo 3, prima frase, della direttiva 2003/96, mentre il consumo dell’altra parte, ai fini della produzione di prodotti non energetici, dev’essere considerato come fatto generatore dell’imposta sui prodotti energetici. Ciò premesso, occorre esaminare se ciò valga anche quando, come nel caso di specie, l’ottenimento di prodotti non energetici costituisca non già l’obiettivo del processo di produzione, bensì una conseguenza residuale e inevitabile di tale processo o quando sia imposto da una normativa volta a proteggere l’ambiente e tali prodotti non energetici siano economicamente recuperati.” (C-44/19 cit. punti 30 e 31).
18.7 La Corte ha, quindi, concluso che “L’articolo 21, paragrafo 3, prima frase, della direttiva 2003/96/CE del Consiglio, del 27 ottobre 2003, che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità, deve essere interpretato nel senso che, qualora uno stabilimento che produce prodotti energetici destinati ad essere utilizzati come combustibile o carburante consumi prodotti energetici che ha esso stesso prodotto e, con tale processo, ottenga altresì, inevitabilmente, prodotti non energetici da cui è tratto un valore economico, la parte del consumo dalla quale si ottengono tali prodotti non energetici non rientra nell’eccezione al fatto generatore d’imposta sui prodotti energetici, prevista da tale disposizione”.
18.8 Secondo la giurisprudenza unionale, dunque, qualora uno stabilimento che produce prodotti energetici destinati ad essere utilizzati come combustibile o carburante consumi prodotti energetici che ha esso stesso prodotto e, con tale processo, ottenga altresì, inevitabilmente, prodotti non energetici da cui è tratto un valore economico, la parte del consumo dalla quale si ottengono tali prodotti non energetici non rientra nell’eccezione al fatto generatore d’imposta sui prodotti energetici, prevista dall’art. 21, paragrafo 3, prima frase, della Direttiva 2003/96.
19. In conclusione, in accoglimento del quarto, sesto, settimo ed ottavo motivo, rigettati i restanti, la sentenza impugnata va cassata con riferimento ai motivi accolti, con rinvio, per nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Puglia in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto, sesto, settimo ed ottavo motivo di ricorso, rigetta i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma il 10 giugno 2025
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2025.
