RILEVATO CHE
1. L’Agenzia emetteva, nei confronti della Società controricorrente, avviso di accertamento in riferimento all’anno d’imposta 2007 per IRES, IRAP e IVA a fronte di ritenute operazioni inesistenti effettuate e fatturate dall’impresa individuale Gr.Ma., i cui costi venivano quindi disconosciuti. Il ricorso venne accolto in primo grado ritenendosi che dagli atti neppure emergeva se si fossero contestate operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, né emergevano gli elementi indiziari che avrebbero giustificato la ripresa ed in particolare la prova della partecipazione del ricorrente alla fraudolenta evasione.
La sentenza veniva appellata dall’Agenzia delle entrate e la Commissione di secondo grado respingeva il gravame.
Ricorre in cassazione l’Agenzia delle entrate con due motivi e la contribuente resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1. Con il primo motivo, rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 109 t.u.i.r., dell’art. 2697 c.c. e della Legge n. 537/93 (art. 360, n. 3, c.p.c.)”, l’Agenzia deduce che erroneamente la CTR abbia ritenuto come le operazioni soggettivamente inesistenti siano legittime ai sensi della l. n. 537/1993. Invero in base all’art. 109 TUIR la deduzione dei costi sarebbe ammessa solo quando gli stessi risultino sulla base di elementi certi e precisi. 1.1. Il motivo è fondato per quanto di ragione. In proposito l’Agenzia basa le proprie difese sulla ritenuta incongruità della documentazione prodotta a sostegno dell’effettività delle operazioni, documentazione che sarebbe costituita da “rappresentazioni grafiche di eterogenea qualità” che non permetterebbe neppure di operare un collegamento con l’esecutore delle opere, cioè Gr.Ma. Va intanto osservato come le difese dell’Agenzia non sono esplicite nell’indicare che quelle contestate siano operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, a fronte peraltro di un’indicazione da parte del giudice d’appello secondo cui sarebbe “pacifico in causa che le fatture in questione riguardano operazioni soggettivamente inesistenti”, e di un avviso di accertamento che sul punto non è più chiaro delle difese dell’Agenzia.
Ciò detto, e tenendo conto della qualificazione operata dalla stessa Agenzia in vari punti del ricorso (pag. 14 primo periodo, pag. 15 penultimo periodo) secondo cui si versava in ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti, quindi interpretando le stesse conformemente agli esiti del giudizio d’appello, deve ritenersi che la difesa erariale ritenga la fattispecie attenga a ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti.
Orbene in tal caso, cioè di operazioni in sé esistenti, ma le cui fatture risultano emesse “da un soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione in essa rappresentata (e della quale il cessionario o il committente è stato realmente destinatario)” (Cass. 28 febbraio 2017, n. 5173), viene in rilievo l’art. 14. L. 24 dicembre 1993, n. 537, onde grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare la suddetta dissociazione soggettiva, mentre spetta al contribuente fornire la prova contraria.
In proposito si è affermato che sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti, per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell’ipotesi in cui l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che detti costi siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità ovvero relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo (Cass. 6 luglio 2018, n. 17788; Cass. 15 marzo 2022, n. 8480; Cass. 25 gennaio 2023, n. 2373). Come si ricava dalle superiori pronunce, tali costi devono altresì risultare certi, inerenti e determinabili o determinati, anche nel loro ammontare, con onere della prova a carico del contribuente. Sotto tale profilo in effetti il motivo – laddove rivendica la necessità dei requisiti di deducibilità di cui all’art. 109 TUIR – appare fondato, perché nulla osserva in proposito la CTR, limitandosi appunto ad asserire la “legittimità” della deduzione dei costi in caso di operazioni soggettivamente inesistenti.
2. Con il secondo motivo, rubricato “violazione e falsa applicazione dell’art. 19 D.P.R. n. 633/1972 e dell’art. 2697, cod. civ.“, contesta l’Agenzia la correttezza della decisione che annulla il recupero dell’i.v.a. indetraibile in quanto non vi sarebbe prova della malafede del contribuente.
2.1. Il motivo è infondato.
A fronte di operazioni soggettivamente inesistenti l’i.v.a. non è, in linea di principio, detraibile perché versata ad un soggetto non legittimato alla rivalsa né assoggettato all’obbligo di pagamento dell’imposta. In altri termini non entrano nel conteggio del dare ed avere ai fini i.v.a. le fatture emesse da chi non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, in quanto tali fatture concernono operazioni, per quanto lo riguarda, inesistenti, senza che rilevi che le stesse fatture costituiscano copertura di prestazioni acquisite da altri soggetti.
Tuttavia, in tali casi all’amministrazione incombe l’onere della prova sia della natura di “cartiera” in capo al cedente, sia della connivenza del cessionario, indicando gli elementi oggettivi che, tenuto conto delle concrete circostanze, avrebbero dovuto indurre un normale operatore a sospettare dell’irregolarità delle operazioni (Cass. 12258/18; 17818/16).
Un orientamento ancor più rigoroso ritiene anzi che in tal caso l’amministrazione debba provare non solo l’alterità soggettiva dell’imputazione delle operazioni, ma altresì che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in un’evasione i.v.a. (Cass. 9851/18).
A fronte di ciò non solo la distribuzione dell’onere della prova prospettato dall’Agenzia non appare conforme alla disciplina vigente, ma l’amministrazione pur avendo portato alcuni elementi tesi a ricondurre l’impresa individuale Gr.Ma. alla nozione di cartiera, gli stessi (tutti basati su adempimenti di natura fiscale) non paiono sorreggere la prova della relativa consapevolezza da parte del cessionario odierno controricorrente.
5. Il ricorso deve dunque essere accolto limitatamente al primo motivo, con rinvio al giudice di secondo grado che dovrà provvedere a valutare la decisione in punto di deducibilità dei costi dalle imposte dirette verificando la relativa effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità alla luce degli elementi presenti in giudizio e tenendo conto che il relativo onere incombe sul contribuente. Lo stesso provvederà altresì alla liquidazione delle spese relative al presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso limitatamente al primo motivo cassando sul punto la sentenza impugnata e, respinto il secondo, rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, sez. staccata di Brescia, che, in diversa composizione, si adeguerà ai principi qui espressi e provvederà altresì alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2024.
Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2024.
