Massima

In sede di ricorso per cassazione proposto dall’Amministrazione finanziaria contro una sentenza della Commissione tributaria regionale favorevole al contribuente, l’eccezione di violazione e/o falsa applicazione degli artt. 83, 88 e 109 del D.P.R. n. 917/1986 (TUIR), sollevata al fine di includere i corrispettivi delle prestazioni sanitarie “extra-budget” nell’esercizio di competenza, deve essere rigettata in quanto infondata.

Supporto alla lettura

RICORSO PER CASSAZIONE

Il ricorso per cassazione (artt. 360 e ss. c.p.c.) è un mezzo di impugnazione ordinario che consente di impugnare le sentenze pronunciate in unico grado o in grado d’appello, ma solo per errori di diritto, non essendo possibile dinanzi alla Suprema Corte valutare nuovamente il merito della controversia come in appello. Di solito è ammessa solo la fase rescindente in quanto il giudizio verte sull’accertamento del vizio e sulla sua eventuale cassazione, il giudizio rescissorio spetta al giudice di rinvio. Solo nel caso in cui non dovessero risultare necessari ulteriori accertamenti in cassazione, avvengono entrambi i giudizi.

La sua proposizione avviene nel termine (perentorio) di 60 giorni (c.d. termine breve), è previsto un ulteriore termine (c.d. lungo) che scade 6 mesi dopo la pubblicazione della sentenza.

Per quanto riguarda i motivi di ricorso l’art. 360 c.p.c dispone che le sentenze possono essere impugnate:

  • per motivi attinenti alla giurisdizione,
  • per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza;
  • per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro;
  • per nullità della sentenza o del procedimento;
  • per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Inoltre può essere impugnata con ricorso per cassazione una sentenza appellabile del tribunale se le parti sono d’accordo per omettere l’appello (art. 360, c. 1, n. 3, c.p.c.), mentre non sono immediatamente impugnabili per cassazione le sentenze che decidono di questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio, in questo caso il ricorso può essere proposto senza necessità di riserva quando sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente il giudizio.

Il ricorso per cassazione è inammissibile (art. 360 bis c.p.c) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa, oppure quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo.

A pena di inammissibilità sono previsiti determinati requisiti di forma:

  • la sottoscrizione da parte di un avvocato iscritto in apposito albo e munito di procura speciale;
  • l’indicazione delle parti;
  • l’illustrazione sommaria dei fatti di causa;
  • l’indicazione della procura se conferita con atto separato e dell’eventuale decreto di ammissione al gratuito patrocinio;
  • l’indicazione degli atti processuali, dei contratti o accordi collettivi o dei documenti sui quali si fonda il ricorso;
  • i motivi del ricorso con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano.

Il ricorso va depositato, a pena di improcedibilità, entro 20 giorni dall’ultima notifica fatta alle parti contro le quali è proposto.

Chi intende resistere al ricorso per cassazione può depositare controricorso e deve essere fatto entro 40 giorni dalla notificazione del ricorso, insieme agli atti e ai documenti, e con la procura speciale se conferita con atto separato.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale della Sicilia ha accolto l’appello proposto dalla Immobiliare WOLF Srl, già Casa di Cura Sant’Anna Srl, avverso la sentenza della CTP di Palermo n. 176/2016, con la quale il giudice di prime cure aveva respinto il ricorso della contribuente avverso l’avviso di accertamento per l’anno 2010 per IRES ed IRAP, oltre sanzioni ed interessi.

2. Il provvedimento dell’Amministrazione finanziaria traeva origine dal processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza, che aveva rettificato il reddito imponibile rispetto a quanto dichiarato dalla società, esercente casa di cura in convenzione con la Regione Sicilia, sul presupposto che dovessero essere computati in ciascun anno di riferimento, secondo il principio di competenza, i corrispettivi delle prestazioni sanitarie rese per ogni anno d’imposta, sebbene oltre il limite entro il quale l’ASP di Palermo ne avrebbe assicurato il pagamento (c.d. prestazioni extra budget).

3. Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad unico motivo, cui ha resistito la società contribuente con controricorso, illustrato da memoria difensiva ex art. 380-bis.1 c.p.c.

4. In prossimità dell’adunanza, il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale dott. M.D.M., ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso erariale.

 

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso l’Amministrazione finanziaria deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. la Violazione e/o falsa applicazione di legge degli artt. 83, 88 e 109 del D.P.R. n. 917/1986, art. 2423-bis c.c., ribadendo la tesi, non condivisa dai giudici di appello, secondo cui dovevano essere computati in ciascun anno di riferimento, secondo il principio di competenza, i corrispettivi delle prestazioni sanitarie rese per ogni anno d’imposta, sebbene oltre il tetto di spesa assegnato dalla Regione Sicilia.

1.1. In particolare, l’Agenzia delle entrate fonda la propria doglianza sulla prospettazione che la remunerazione delle prestazioni extra-budget fosse comunque collegata al contratto stipulato con l’ASP di Palermo, vero e proprio titolo giuridico produttivo di effetti giuridici.

Da questo l’Amministrazione ricorrente induce che, nella fattispecie in esame, si deve escludere che i ricavi ricollegabili alle prestazioni erogate extra-budget fossero privi, nell’esercizio di competenza, dei necessari requisiti di certezza e di oggettiva determinabilità, e che, quindi, fosse consentito il rinvio della loro rilevanza fiscale ad altro e successivo periodo di imposta e che, anche da un punto di vista civilistico in relazione alle prestazioni extra-budget dovevano ritenersi realizzati ricavi nell’esercizio in cui esse erano state rese.

2. Il motivo, rigettata l’eccezione di inammissibilità per difetto di specificità sollevata dalla società contribuente siccome insussistente, è comunque infondato.

Invero questa Corte (cfr. Cass. n. 2602/2019; conf. Cass. n. 10302/2021; Cass. n. 18419/2021) ha avuto occasione, in controversia similare riguardante casa di cura in convenzione con il SSN, di affermare che “(i)n tema di determinazione del reddito d’impresa, il generale principio di competenza non trova applicazione rispetto ai ricavi delle strutture convenzionate con il Servizio sanitario nazionale per prestazioni “extra-budget” ossia eseguite in aggiunta a quelle suscettibili di essere compensate in base ad una convenzione, essendo gli stessi privi dei requisiti di certezza della loro esistenza e determinabilità dell’ammontare finché non ne siano effettuati il riconoscimento e la quantificazione secondo le modalità stabilite dalla convenzione medesima”.

2.1. Ciò, d’altronde, è in linea con la giurisprudenza della Corte in ambito civile, che, in tema di diritto delle obbligazioni, ha chiarito che “(i)in tema di pretese creditorie della struttura sanitaria accreditata per le prestazioni erogate nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, fa capo alla struttura medesima l’onere della prova dell’esistenza di risorse disponibili per la remunerazione delle prestazioni eseguite “extra budget”, essendo per la P.A. l’osservanza del tetto di spesa in materia sanitaria un vincolo ineludibile” (cfr. Cass. n. 13884/2020; Cass. n. 25514/2024).

3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.

Rilevato che risulta soccombente l’Agenzia delle Entrate, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. n. 30 maggio n. 115, art. 13 comma 1-quater (Cass. n. 1778/2016).

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 23 settembre 2025.

Depositata in Cancelleria il 29 settembre 2025.

Allegati

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