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Cassazione civile sez. trib., 29/08/2024, n. 23312

Massima

La variazione IVA conseguente a un accordo di ristrutturazione debiti omologato giudizialmente, pur basandosi su un accordo privatistico, non è equiparabile a un mero accordo tra le parti ai fini dell’applicazione del termine annuale previsto dall’art. 26, comma 3, D.P.R. n. 633/1972 per l’emissione della nota di variazione. Tale nota, nel caso di specie, trovava fondamento negli accordi originari del concordato preventivo omologato e non in un successivo accordo transattivo privatistico.

Supporto alla lettura

ACCORDO DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI

L’ accordo di ristrutturazione dei debiti è uno dei principali strumenti di risoluzione delle crisi aziendali flessibile e idonea al risanamento dell’impresa che vuole ridurre la propria esposizione debitoria. 

Possono essere proposti dall’imprenditore, anche non commerciale, e diverso dall’imprenditore minore, che si trovi in stato di crisi o insolvenza: così recita il primo comma dell’art. 57 d.lgs. 14/2019. Pertanto, tali accordi sono aperti all’imprenditore che eserciti, anche non a fini di lucro, un’attività commerciale, artigiana o agricola, operando quale persona fisica, persona giuridica o altro ente collettivo, gruppo di imprese o società pubblica, con esclusione dello Stato e degli enti pubblici, delle grandi imprese soggette all’amministrazione straordinaria e delle imprese assoggettate alla liquidazione coatta amministrativa. Gli accordi di ristrutturazione non si applicano all’impresa minore. È tale secondo l’art. 2 lett. d) d.lgs. 14/2019 «l’impresa che presenta congiuntamente i seguenti requisiti: 1) un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 2) ricavi, in qualunque modo essi risultino, per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 3) un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila; i predetti valori possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia adottato a norma dell’articolo 348».

Il Codice della Crisi d’Impresa prevede tre diverse tipologie di accordo di ristrutturazione dei debiti dell’imprenditore. Si tratta dei seguenti:

  1. Accordo ordinario (regolato dall’art. 57 D.Lgs. n. 14/19) legato al raggiungimento di almeno il 60% dei crediti;
  2. Accordo agevolato (regolato dall’art. 60 D.Lgs. n. 14/19), legato al raggiungimento di almeno il 30% dei crediti;
  3. Accordo ad efficacia estesa (regolato dall’art. 61 D.Lgs. n. 14/19) legato al raggiungimento di almeno il 75% dei crediti della stessa categoria.

Ambito oggettivo di applicazione

(omissis)

 

RILEVATO CHE

1. La società contribuente GIOIOSA SOCIETÀ’ CONSORTILE a r.l. in liquidazione, dichiarata fallita, ha separatamente impugnato un avviso di accertamento per IVA, relativo al periodo di imposta 2014, nonché un diniego di rimborso di un credito IVA. Il diniego di rimborso del credito IVA relativo al periodo di imposta 2014 derivava dalla contabilizzazione di una nota di variazione in data 31 dicembre 2014, emessa dopo l’anno dall’effettuazione di una operazione che si sarebbe dovuta stornare, in violazione dell’art. 26, comma 2, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e l’avviso di accertamento aveva a oggetto l’IVA di cui alla suddetta nota di variazione.

2. La CTP di Caserta con separate pronunce ha rigettato i ricorsi ritenendo, per quanto qui ancora rileva, che in caso di sopravvenuto accordo tra le parti la nota di variazione non può essere emessa oltre l’anno dall’operazione imponibile.

3. La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, con la sentenza qui impugnata, ha accolto gli appelli riuniti della società contribuente. Ha ritenuto il giudice di appello che la nota di variazione è stata ritualmente emessa all’esito di una scrittura transattiva redatta in data 3 luglio 2015 successivamente all’omologa della procedura di concordato preventivo dal Tribunale di Locri (omologa avvenuta con decreto in data 15 luglio 2014), nota emessa all’esito dello storno delle posizioni “creditorie e debitorie” nei confronti di Immobilgi Federici Stirling Spa e, in particolare, quale “credito iva da note di credito da emettere alle società in concordato all’atto dell’omologazione dell’accordo di ristrutturazione”. Ha, in particolare, ritenuto il giudice di appello che il termine “accordo transattivo” indicato nella nota di credito non si riferisce a un atto negoziale, bensì agli originari accordi posti a base della proposta oggetto della procedura concorsuale di ristrutturazione, che aveva alla base un accordo con il terzo Immobilgi Sterling Spa per il pagamento della somma di Euro 500.000,00 oltre IVA a titolo transattivo.

4. Propone ricorso per cassazione l’Ufficio, affidato a due motivi; resiste con controricorso la società contribuente intimata. Il ricorso è stato notificato anche al Fallimento della società contribuente, stante la dichiarazione di fallimento in data 27 luglio 2023 (pag. 2 controricorso); il fallimento intimato non si è costituito in giudizio.

 

CONSIDERATO CHE

1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., falsa applicazione dell’art. 26, comma 2, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e violazione dell’art. 26, comma 3, del medesimo D.P.R. Osserva parte ricorrente che la variazione dell’IVA corrispondente alla variazione dell’imponibile conseguente a un atto transattivo intercorso tra le parti può essere emessa non oltre un anno dall’effettuazione dell’operazione originaria. Osserva parte ricorrente che nel caso di specie si verterebbe in tema di accordo tra privati e non di pronuncia giudiziale, dovendosi assimilare a un accordo privato anche quello concluso nell’ambito di una procedura concorsuale. Deduce, in particolare, che l’emissione della nota di variazione non può essere ascritta al provvedimento giudiziale di autorizzazione alla emissione della fattura. Diversamente, prosegue parte ricorrente, la nota di variazione si sarebbe dovuta ascrivere agli originari accordi del 2013 e, in particolare, alle lettere di impegno del 20 aprile 2013 e del 12 giugno 2013, posti alla base della proposta successivamente omologata dal Tribunale e, in particolare, al mancato incasso della fattura 3/2012 del 14 settembre 2012, risultando pertanto tardiva la nota emessa in data 31 dicembre 2014. Deduce, pertanto, che la nota si sarebbe dovuta emettere solo per l’imponibile e non per l’IVA. Riproduce, in proposito, l’originario avviso di accertamento.

2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per difetto di motivazione o motivazione apparente in violazione dell’art. 132, secondo comma, n, 4, cod. proc. civ., non essendo stato chiarito in qual modo e in base a quali prove il giudice di appello ha ricollegato il contenuto dell’accordo transattivo a impegni presi nel concordato preventivo, nonché non essendo stato chiarito in quali termini la scrittura transattiva era meramente riproduttiva (una sorta di presa d’atto) di antecedenti accordi presi con la società Immobilgi Spa; non sarebbe stato, inoltre, chiarito se si trattava di nota di variazione che trovava origine in un atto privato, ovvero in un atto giudiziale.

3. Deve rilevarsi la tempestività del controricorso, depositato tempestivamente il 30 dicembre, a fronte della notifica del ricorso in data 23 novembre 2023.

4. Il secondo motivo, il quale va esaminato in via preliminare, è infondato, non essendo la sentenza impugnata irrispettosa del minimo costituzionale (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053). La sentenza impugnata ha accertato che, a seguito degli accordi presi dalla società contribuente con la società Immobilgi Spa all’origine della proposta di concordato, la proposta è stata omologata e la nota è stata emessa in data 31 dicembre 2014 sul presupposto dell’omologa della originaria proposta di concordato con decreto in data 15 luglio 2014, non ricollegandosi la nota al successivo accordo transattivo, bensì agli originari accordi divenuti efficaci per effetto dell’omologa. Il percorso argomentativo della sentenza impugnata appare logico e compiuto.

5. Il primo motivo è infondato. Dispone l’art. 26, secondo comma, D.P.R. n. 633/1972 che ” se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili… il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’art. 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’art. 25″. Nel qual caso “Le disposizioni del comma precedente non possono essere applicate dopo il decorso di un anno dalla effettuazione dell’operazione imponibile qualora gli eventi ivi indicati si verifichino in dipendenza di sopravvenuto accordo fra le parti” (art. 26, terzo comma, D.P.R. ult. cit.). Ove, pertanto, la causa di sopravvenuta inesigibilità del credito discenda da un accordo tra le parti, il termine per l’emissione della nota di rettifica è di un anno dall’operazione imponibile (Cass., Sez. V, 9 dicembre 2021, n. 39182).

6. Nel caso di specie, il giudice di appello, valutando discrezionalmente il compendio probatorio, ha ritenuto che la nota di credito, emessa in data 31 dicembre 2014, non ha fatto seguito a un accordo transattivo tra le parti, bensì a un accordo di ristrutturazione, accordo non rientrante tra gli accordi privatistici, in quanto soggetto a omologazione giudiziale ed effettivamente omologato dal Tribunale (“parte appellante riferisce che la nota di credito sarebbe stata emessa a seguito di una scrittura di transazione ex. art. 182 bis L.F. tra le due società, accordo che risulta sottoscritto con firma digitale in data successiva all’emissione della nota di credito… il termine accordo transattivo, indicato nella nota di credito n. 1 del 31.12.2014, non è da intendersi come sopravvenuto accordo tra le parti, ai sensi del comma 3 del D.P.R. 633/72, così come invece ravvisa tant’è che il Tribunale di Locri, in data 28.01.2014, autorizza, la sottoscrizione della scrittura privata transattiva… solo a condizione che la procedura di concordato preventivo richiesto dal ricorrente, si concluda con esito positivo… il termine accordo transattivo indicato nella nota di credito n 1 del 31.12.2014, non si riferiva alla scrittura transattiva formalizzata nel 2015, ma si riferiva agli impegni/atti riportati nel concordato preventivo, omologato nel 2014… la scrittura transattiva rappresentava solo una presa d’atto”). L’esclusione della riferibilità della nota di rettifica alla scrittura transattiva, di natura negoziale, esclude, pertanto, l’applicazione dell’art. 26, comma 3, D.P.R. n. 633/1972.

7. Trova, pertanto, fondamento quanto dedotto da parte controricorrente, ove osserva che l’accordo di ristrutturazione dei debiti, pur basato su un accordo privatistico, costituisce procedura concorsuale, non equiparabile a un accordo tra le parti tout court ai fini dell’emissione della nota di rettifica, ad esso collegata, ad opera della società che ha fatto ricorso allo strumento della risoluzione della crisi.

8. Inammissibile è, invece, il riferimento contenuto nel motivo di ricorso al fatto che la società nei confronti della quale era stata emessa l’originaria fattura (Immobilgi Federici Stirling Spa) non fosse soggetta a procedura concorsuale, posto che il presupposto per l’emissione della nota di credito non è legata alla infruttuosità del recupero del credito nei confronti di quest’ultima, cosa che avrebbe legittimato l’emissione della nota di variazione all’atto dell’omologa della (in tesi) procedura di concordato di quest’ultima (Cass., Sez. V, 11 settembre 2020, n. 18837), bensì a un piano di concordato preventivo, oggetto a omologazione e successivamente omologato.

9. Parimenti inammissibile è il primo motivo nella parte in cui ritiene che la fonte della emissione della nota sia un accordo delle parti e non un provvedimento giudiziale, in quanto contrario all’accertamento in fatto compiuto dal giudice di appello nella sentenza impugnata.

10. Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in complessivi Euro 18.000,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, 15% per rimborso forfetario, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, in data 28 giugno 2024.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2024.

Allegati

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