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Cassazione civile sez. trib., 29/07/2025, n. 21793

Massima

Nel contenzioso sulla rendita catastale, il giudicato esterno sulla rendita di un immobile mantiene la sua vincolatività a meno che l’Agenzia delle Entrate non dimostri in modo non apodittico la sopravvenienza di effettivi interventi edilizi straordinari (quali ampliamenti o cambi di destinazione d’uso), idonei a modificare le caratteristiche intrinseche dell’unità immobiliare, e non mere operazioni catastali di accorpamento.

Supporto alla lettura

CATASTO

Il catasto è un registro pubblico che contiene informazioni su tutti i beni immobili di un territorio. Si configura come un archivio dettagliato di tutte le proprietà immobiliari, siano esse pubbliche o private, che si trovano in un determinato Comune, o in una provincia.

E’ diviso in due categorie:

– catasto dei terreni: elenco dei terreni agricoli e dei terreni non edificati;

– catasto dei fabbricati (o catasto edilizio): elenco dei fabbricati siano essi ad uso industriale, commerciale o civile.

La funzione del catasto è effettuare il censimento dei beni immobili finalizzato all’accertamento delle caratteristiche tecnico-economiche degli stessi e alla registrazione di eventuali cambiamenti. A motivare il censimento e la raccolta di informazioni c’è uno scopo di duplice natura:

  1. lo scopo fiscale, in quanto il censimento al catasto permette di gettare le basi per l’imposizione fiscale e determinare il reddito potenziale imponibile dei fondi rustici e dei fabbricati urbani;
  2. lo scopo civile, in quanto le informazioni raccolte dettagliatamente sono messe a disposizione dei cittadini per diverse finalità.

Per ogni bene immobile vengono indicate le “informazioni catastali” come i dati anagrafici relativi ai proprietari del bene; le caratteristiche del bene (comprensive di materiale grafico come foto e mappa); l’indicazione della localizzione geografica; l’estensione della proprietà e la destinazione d’uso del bene. In particolare per ogni unità immobiliare vengono raccolte l’identificazione catastale (nome del Comune, codice Sezione, numeri di mappa, particella e subalterno); la classe di redditività (solo per alcune unità immobiliari); la consistenza (vani e superficie netta); la rendita catastale e la categoria catastale. Queste ultime sono delle informazioni codificate e correlate alla destinazione d’uso dell’immobile, che si suddividono in 6 gruppi riconducibili a 4 macro categorie:

 immobili a destinazione ordinaria: gruppo A (alloggi, uffici privati), gruppo B (scuole, ospedali, pubblici uffici), gruppo C (attività commerciali/artigianali private);

– immobili a destinazione speciale: gruppo D (industrie, alberghi, cinema, teatri);

– immobili a destinazione particolare: gruppo E (aeroporti, porti, stazoni, chiese, edicole);

– entità urbane: gruppo F (lastrici solari, fabbricati non abitabili/agibili).

Le informazioni contenute nelle banche dati del catasto sono pubbliche, perciò l’accesso è consentito a tutti i cittadini previo pagamento dei tributi speciali catastali, l’unica eccezione è fatta per i proprietari del bene immobile che possono richiedere informazioni sullo stesso gratuitamente.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTI DI CAUSA

1. La It.Ma. e figli Srl impugnava l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate – Territorio aveva attribuito la rendita di Euro 125.000,00, in luogo di quella proposta di Euro 76.012,96 con Docfa del 3.9.2018 in relazione alla struttura alberghiera della tipologia a 4 stelle, denominata “Elma Hotel” sita nel Comune di C.

2. La CTP di Napoli 27.04.2021, accoglieva parzialmente il ricorso sul presupposto di una “inerzia difensiva” dell”Ufficio e di una rimodulazione della richiesta della società, per cui fissava in Euro 84.500,00 la rendita in contestazione.

3. Sull’impugnazione dell’Agenzia, la CTR della Campania rigettava il gravame, affermando che non era stato contestato il passaggio in giudicato della sentenza n. 17780/40/2015 resa dalla (allora) C.T.P. di Napoli con cui era stata definita in Euro 93.700,00 la rendita attribuita all’immobile -di cui è controversia- in luogo di quella accertata -con l’atto prot. (Omissis)- dall’Agenzia delle Entrate–Territorio, che la contribuente, con Docfa (Omissis) del 2018, aveva denunciato una mera riduzione –per stralcio- delle aree di corte costituenti autonome aree urbane catastalmente singolarmente identificate (con la conseguenza che la consistenza immobiliare si era ridotta), che non era stato posto in evidenza alcun altro elemento da valutare come incrementativo in termini di superfici e/o di valore, aree o quant’altro che potesse avere tale valenza, sicché non si comprendeva il presupposto logico/giuridico su cui fondava la “rivalutazione” dell’intero complesso che l’Agenzia aveva operato con l’atto impugnato.

4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate sulla base di due motivi. La It.Ma. e figli Srl ha resistito con controricorso.

A fronte della proposta di definizione accelerata formulata dal consigliere all’uopo delegato, la ricorrente ha invocato la decisione della causa.

CONSIDERATO CHE

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), c.p.c., per non aver la CTR considerato le sopravvenienze attestate in causa, rappresentate dalla circostanza che l’hotel in esame era stato oggetto di un intervento edilizio straordinario nel 2013 che aveva comportato, oltre al cambio di destinazione, una fusione ed un ampliamento e che ” Inspiegabilmente il contribuente con la variazione del 2018, oggetto del presente contenzioso e relativa esclusivamente ad una “riduzione di area di corte” (quindi senza modifiche alla struttura alberghiera), propone nel DOCFA suddetto, per le medesime destinazioni d’uso, prima un valore unitario di Euro/mq 650,00 e poi, con il ricorso, un valore di Euro/mq 735,10, riducendo quindi, senza validi motivi, il valore unitario stabilito dalla sentenza sopra riportata” (la n. 17780/40/2015).

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del Decreto del Ministero delle Finanze 19.04.1994, n. 701, anche in combinato disposto con l’art. 2967 anzi, 2697) c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., per le medesime ragioni esposte con il primo motivo e, in particolare, per non aver la CTR considerato che la riduzione della corte non aveva portato alcuna modifica della struttura alberghiera.

In particolare, con il secondo motivo, l’Ufficio rappresenta che, utilizzando i costi di costruzione riportati nel prontuario relativi ad unità con medesima destinazione d’uso e tipologia costruttiva e considerando, a vantaggio del contribuente, un valore dell’area di Euro/mq 200,00 (inferiore sia al valore massimo riportato nel Prontuario che a quello utilizzato nella stima impugnata pari ad Euro/mq 309,87), era giunta a calcolare una rendita catastale di Euro 138.600,00.

3. I due motivi, da trattarsi congiuntamente, siccome strettamente connessi, sono infondati.

In primo luogo, il rilievo operato dalla ricorrente con il primo motivo, secondo cui la sentenza impugnata non avrebbe considerato “le sopravvenienze attestate in causa” (con la conseguenza che la CTR erroneamente avrebbe valorizzato il giudicato formatosi con la sentenza n. 17780/40/2015 resa dalla C.T.P. di Napoli con cui era stata definita in Euro 93.700,00 la rendita attribuita all’immobile per cui è controversia, in luogo di quella accertata -con l’atto prot. (Omissis) – dall’Agenzia delle Entrate–Territorio), è rimasto al rango di mera affermazione unilaterale di parte, essendosi l’Agenzia limitata apoditticamente a sostenere che “In ogni caso risulta innegabile che l’hotel è stato oggetto di un intervento edilizio straordinario nel 2013 che ha comportato, oltre al cambio di destinazione, una fusione ed un ampliamento”.

In particolare, l’Ufficio, a fronte della deduzione difensiva della contribuente, secondo cui l’operazione posta in essere nel 2013 era stata di natura meramente catastale (cioè finalizzata ad accorpare le diverse particelle catastali, con parziali cambi di destinazione, dando vita ad una nuova, unica particella), avrebbe dovuto dimostrare, come era suo preciso onere, che, in realtà, erano stati eseguiti nel 2013 interventi edilizi straordinari.

Pertanto, non potrebbe essere invocato, nella fattispecie in esame, il principio (ribadito di recente da Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 25805 del 01/09/2022) secondo cui, poiché la sopravvenienza di eventuali mutamenti dello stato di fatto che si siano tradotti in variazioni catastali, quali fusioni, frazionamenti, ampliamenti, ecc., non è coperta dalla vincolatività del giudicato esterno, le unità immobiliari soggette a variazione catastale possono ricevere l’attribuzione di una diversa categoria, conforme all’innovazione delle caratteristiche intrinseche.

Avuto riguardo al secondo motivo (il quale è parzialmente sovrapponibile al primo), premesso che non è qui in contestazione la ragione per la quale la CTR, a fronte di un valore Euro/mq 800,00 riconosciuto con la sentenza della CTP del 2015 sul precedente Docfa del 2013, abbia riconosciuto congruo un valore di Euro/mq 735,10 (ma il motivo per cui l’Ufficio, a fronte del valore unitario di 800,00 Euro/mq riconosciuto nel 2015 e nonostante successivamente la contribuente avesse denunciato esclusivamente una riduzione della consistenza immobiliare, abbia attribuito una rendita sensibilmente superiore), la considerazione dell’Agenzia, secondo cui lo stralcio della corte non avrebbe inciso sul valore dell’immobile, rappresenta una valutazione di merito inammissibile nella presente sede.

Del resto, pur costituendo il giudicato la regola del caso concreto e, conseguentemente, una questione di diritto da accertare direttamente, la sua interpretazione, da parte del giudice di legittimità, è possibile solo se la sentenza da esaminare venga messa a disposizione mediante trascrizione nel corpo del ricorso, derivandone in mancanza l’inammissibilità del motivo, con cui si denuncia la violazione dell’art. 2909 c.c., restando precluso ogni tipo di attività nomofilattica (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 1041 del 16/01/2025).

Da ultimo, nelle controversie relative all’attendibilità del provvedimento di classamento in rettifica rispetto a quello proposto dal contribuente a mezzo della procedura DOCFA, l’onere di provare gli elementi di fatto giustificativi della diversa valutazione, nel quadro del parametro prescelto, spetta alla amministrazione finanziaria, salva, comunque, la facoltà del contribuente di assumere su di sé l’onere di dimostrare l’infondatezza della pretesa di una maggiore rendita catastale, avvalendosi dei criteri astratti utilizzabili per l’accertamento del classamento o del concreto raffronto con le unità immobiliari presenti nella stessa zona censuaria in cui è collocato l’immobile, con la conseguenza che il giudice del merito, dovendo verificare l’adeguatezza della categoria e della classe attribuite all’immobile secondo i dati presenti nella motivazione dell’atto, non può trarre tale prova positiva dall’insuccesso dell’onere probatorio assunto dal contribuente, in difetto dell’assolvimento dell’onere della prova posto a carico dell’amministrazione finanziaria (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 16569 del 13/06/2024). Peraltro, pur non essendovi tenuta, la contribuente ha giustificato la minor rendita proposta sulla base del confronto operato con la rendita dell’unico albergo a 5 stelle di C (Hotel Manzi), ubicato nella stessa zona ed individuato nello stesso foglio di mappa. Ne consegue che sarebbe stato preciso onere dell’Ufficio dimostrare la correttezza della rettifica della rendita catastale operata, non potendosi, per l’effetto, configurare la denunciata violazione dell’art. 2697 c.c. Senza tralasciare che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c.

4. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso non merita di essere accolto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Considerato che la trattazione del ricorso è stata chiesta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. a seguito di proposta di inammissibilità a firma del Dott. P., la Corte, avendo definito il giudizio in conformità della proposta, deve applicare l’art. 96, commi 3 e 4, c.p.c., come previsto dal citato art. 380-bis c.p.c. La novità normativa introdotta dall’art. 3, comma 28, lett. g), D.Lgs. 149/2022 contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale, una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore, della sussistenza dei presupposti per la condanna ad una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96, terzo comma, c.p.c.) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad Euro 500,00 e non superiore ad Euro 5.000,00 a favore della Cassa delle ammende (art. 96, quarto comma, c.p.c.). In tal modo, risulta codificata una ipotesi di abuso del processo, peraltro da iscrivere nel generale istituto del divieto di lite temeraria nel sistema processuale.

Sulla scorta di quanto esposto, ed in assenza di indici che possano far propendere per una diversa applicazione della norma, la parte ricorrente va condannata al pagamento della somma equivalente alle spese liquidate in favore del controricorrente ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c. e al pagamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002, nr. 115 (Cass. Sez. 6 – Ordinanza nr. 1778 del 29/01/2016).

P.Q.M.

– rigetta il ricorso;

– condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.807,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, al 15% per spese generali e agli accessori di legge, con attribuzione in favore del difensore antistatario Avv. Antonio Iacono;

– condanna la ricorrente, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c., al pagamento in favore del Comune di Acerra dell’ulteriore somma di Euro 2.000,00;

–condanna la ricorrente, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, c.p.c., al pagamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi in data 11 luglio 2025.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2025.

Allegati

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