(omissis)
FATTI DI CAUSA.
La contribuente impugnava dinanzi alla CTP di Napoli l’atto di diniego dell’istanza di autotutela con la quale aveva chiesto l’annullamento di un processo verbale di constatazione del 6 luglio 2012. La CTR aveva dichiarato inammissibile il ricorso. La CTR della Campania ha rigettato il successivo appello della contribuente, che ora affida a un solo motivo il proprio ricorso per cassazione.
L’Agenzia resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE.
Con l’unico motivo di ricorso si lamenta l’illegittimità della sentenza d’appello per violazione ed errata applicazione degli artt. 5-bis D.Lgs. n. 218 del 1997 (vigente ratione temporis), “2-quater D.Lgs. n. 564 del 1994” e 97 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la CTR erroneamente ritenuto che in virtù della presentazione dell’istanza di adesione da parte della contribuente e della sua adesione da parte dell’Ufficio, con il susseguente pagamento e, in sostanza, col perfezionamento della procedura di adesione, la pretesa tributaria sarebbe divenuta definitiva e non più suscettibile d’essere rimessa in discussione.
Il controricorso è inammissibile.
L’atto è stato, invero, notificato in prima battuta ad un indirizzo errato, con susseguente rinnovo della notifica ad altro account ma quando era scaduto il termine di cui all’art. 370 c.p.c.; nella pec si dà atto testualmente della “rinotifica, per errore nell’indirizzo”. Ne è derivata l’inammissibilità per tardività del controricorso, attesa l’ascrivibilità dell’errore alla parte ricorrente. Deve, infatti, ribadirsi il principio già espresso dal questa Corte, a tenore del quale ai fini della valutazione della tempestività della rinnovazione della notificazione, inizialmente non andata a buon fine, rispetto al termine per impugnare, occorre distinguere a seconda che l’errore originario sia imputabile al notificante oppure no: nel primo caso, l’impugnazione può ritenersi tempestivamente proposta solo se la rinnovata notifica interviene entro il termine per impugnare, non potendosi far retroagire i suoi effetti fino al momento della prima notificazione; nel secondo caso, invece, la ripresa del procedimento notificatorio – che la parte deve provare di aver avviato nell’immediatezza dell’appresa notizia circa l’esito negativo della notificazione, non occorrendo una preventiva autorizzazione al giudice – ha effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, essendo irrilevante l’intervenuto spirare del termine per impugnare” (Cass. n. 34272 del 2023).
L’unico motivo di ricorso è infondato.
In punto di inammissibilità del diniego di autotutela va ribadito in premessa l’orientamento consolidato di questa Corte, a tenore del quale “Il contribuente che richiede all’Amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo o un provvedimento sanzionatorio, già divenuti definitivi, non può limitarsi alla deduzione, ormai preclusa, di eventuali vizi dell’atto, ma è tenuto a prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dello stesso; ne consegue che, contro il diniego opposto dall’Amministrazione all’esercizio del potere di autotutela, può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria” (Cass. n. 161 del 2024; Cass. n. 25659 del 2023).
Mette poi in conto richiamare, condividendone l’impostazione, il rettilineo orientamento espresso da questa Corte, alla luce della quale “In materia tributaria, una volta che sia stato definito l’accertamento con adesione, ai sensi del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, con fissazione anche del “quantum debeatur”, al contribuente non resta che eseguire l’accordo, mediante il versamento di quanto da esso previsto, risultando normativamente esclusa la possibilità di impugnare simile accordo e, a maggior ragione, l’atto impositivo oggetto della transazione, il quale conserva efficacia, ma solo a garanzia del Fisco, sino a quando non sia stata interamente eseguita l’obbligazione scaturente dal concordato. È, quindi, inammissibile il ricorso contro l’avviso di accertamento proposto dopo la firma del concordato fiscale” (Cass. n. 10086 del 2009; Cass. n. 4566 del 2020). In buona sostanza, quando, come nel caso concreto, l’istanza abbia avuto buon esito, nel senso che il concordato si sia concluso, l’accertamento definito con adesione diventa intoccabile, tanto da parte del contribuente, che non può più impugnarlo, quanto da parte dell’ufficio, che non può integrarlo o modificarlo, come prescrive l’art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 218 del 1997. Pertanto, una volta definito l’accertamento con adesione, mediante la fissazione anche del quantum debeatur, al contribuente non resta che eseguire l’accordo, versando quanto da esso risulta, essendo normativamente esclusa la possibilità d’impugnare simile accordo e, a maggior ragione, quella d’impugnare il successivo (e coerente) atto impositivo.
La declaratoria di inammissibilità del controricorso esclude debbano liquidarsi le spese giudiziali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 31 maggio 2024.
Depositata in Cancelleria il 28 agosto 2024.
