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Cassazione civile sez. trib., 28/04/2025, n. 11117

Massima

In tema di contenzioso tributario, è inammissibile il ricorso per cassazione che denunzi la nullità della sentenza per omessa trattazione in pubblica udienza in presenza di istanza di parte, non solo per palese carenza di autosufficienza se il ricorrente non riporta o allega gli atti del giudizio di merito per consentire la verifica dei fatti, ma soprattutto per difetto di interesse, non configurando tale nullità (una volta dedotta e rilevata in appello) una causa di retrocessione del processo al primo grado, dovendo il giudice di appello decidere nel merito e pronunciare sulla controversia, e qualora l’abbia fatto non vi è pregiudizio al diritto di difesa se il ricorrente non ha dimostrato quali specifici aspetti sarebbero emersi dalla discussione.

Supporto alla lettura

PROCESSO TRIBUTARIO

Il Processo Tributario è un procedimento giurisdizionale che ha ad oggetto le controversie di natura tributaria tra il contribuente e l’amministrazione finanziaria, è disciplinato nel d.lgs. 546/1992 e non è incluso in nessuna delle giurisdizioni indicate dalla Costituzione, rappresenta quindi un’eccezione giustificata dal grande tecnicismo della materia.

Il 03 gennaio 2024 è stato pubblicato in G.U. il d.lgs. 220/2023 recante disposizioni in materia di contenzioso tributario, le quali vanno a modificare il d.lgs. 546/1992, e sono da collocare in attuazione della L. 111/2023, con la quale è stata conferita delega al Governo per la riforma fiscale.

Ambito oggettivo di applicazione

RILEVATO CHE:

1. Gr.Sa. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per il Lazio il 24 settembre 2019, n. 5257/13/2019, che, in controversia su impugnazione di cartella di pagamento n. (Omissis) per contributi relativi all’anno 2015 con riguardo ad immobile ubicato nel comprensorio del “Consorzio di Colle Romito”, per l’importo di euro 520,88, ha rigettato l’appello proposto dal medesimo nei confronti del “Consorzio di Colle Romito” avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Roma col n. 28671/38/2016, con compensazione delle spese giudiziali.

2. La Commissione tributaria regionale ha confermato la decisione di primo grado – che aveva rigettato il ricorso originario del contribuente – sul presupposto che i vizi degli atti prodromici non potevano essere fatti valere in sede di impugnazione della successiva cartella di pagamento.

3. Il “Consorzio di Colle Romito” ha resistito con controricorso.

 

CONSIDERATO CHE:

1. Il ricorso è affidato a tre motivi.

2. Con il primo motivo, si denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 33 e 34 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essere stato respinto dal giudice di secondo grado il motivo di appello circa il rigetto dell’istanza di trattazione in pubblica udienza che egli aveva formulato nel ricorso originario con l’erronea motivazione che il giudice di prime cure aveva trattato la controversia – insieme ad altra connessa – in pubblica udienza.

2.1 Il predetto motivo è inammissibile sotto un duplice profilo.

2.2 In primo luogo, il mezzo contiene soltanto la trascrizione di un brevissimo stralcio del ricorso originario che si risolve nell’incorporata richiesta di discussione in pubblica udienza (“Chiede che codesta Onorevole Commissione, previa discussione in pubblica udienza, voglia così provvedere”), senza riportare né allegare né menzionare il verbale d’udienza del giudizio di prime cure per consentire al collegio di verificare se il ricorso fosse stato trattato in camera di consiglio e non in pubblica udienza, secondo l’attestazione fattane nella sentenza impugnata (ove si legge che: “Ritiene, in primo luogo, infondata la censura di illegittimità della sentenza per omessa discussione in pubblica udienza della vertenza n. 1852/15, poiché i primi giudici hanno trattato entrambe le controversie con l’unica pubblica udienza, dal momento che si tratta della medesima questione per entrambe e corrente tra le stesse parti”). Per cui, il motivo è palesemente carente di autosufficienza.

Per giurisprudenza pacifica di questa Corte, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio di autosufficienza del ricorso, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa; i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio (tra le tante: Cass., Sez. 2, 9 agosto 2018, n. 20694; Cass., Sez. 2, 18 settembre 2020, n. 19560; Cass., Sez. 5, 9 dicembre 2020, n. 28036; Cass., Sez. 6-5, 23 marzo 2021, n. 8125; Cass., Sez. 5, 5 maggio 2021, n. 11708; Cass., Sez. 6-5, 18 ottobre 2021, n. 28714; Cass., Sez. 5, 29 ottobre 2021, n. 30863; Cass., Sez. 5, 24 novembre 2021, n. 36393; Cass., Sez. 2, 21 dicembre 2021, n. 40984; Cass., Sez. 5, 15 marzo 2022, n. 8362; Cass., Sez. Trib., 6 dicembre 2022, n. 35885; Cass., Sez. Trib., 17 luglio 2023, n. 20585; Cass., Sez. Trib., 10 aprile 2024, n. 9709).

2.3 In secondo luogo, il mezzo non denuncia alcun vulnus al diritto di difesa.

Come è noto, l’art. 33 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, stabilisce che “La controversia è trattata in camera di consiglio salvo che almeno una delle parti non abbia chiesto la discussione in pubblica udienza, con apposita istanza da depositare nella segreteria e notificare alle altre parti costituite entro il termine di cui all’art. 32, comma 2”. Nessuna norma stabilisce che la parte che abbia presentato l’apposita istanza nel ricorso originario abbia l’onere di insistervi, pena l’impossibilità di lamentarsene in appello. Nessuna norma dà modo alla parte di impugnare l’avviso di trattazione della causa in camera di consiglio.

Ora, se è vero che, secondo questa Corte, in tema di contenzioso tributario, per il principio della libertà delle forme processuali, l’istanza della parte che opti per la trattazione della controversia innanzi alla commissione tributaria in pubblica udienza può essere formulata in un qualunque atto del processo (atto introduttivo, memoria o ricorso d’appello principale o incidentale) (Cass., Sez. 5, 26 ottobre 2005, n. 20852), ciò non di meno è stato affermato che la trattazione del ricorso in camera di consiglio invece che alla pubblica udienza, in presenza di un’istanza in tal senso di una delle parti ai sensi dell’art. 33 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, costituisce una nullità processuale che, pur travolgendo la sentenza successiva per violazione del diritto di difesa, non determina, una volta dedotta e rilevata in appello, la retrocessione del processo al primo grado, non rientrando tale ipotesi tra quelle tassativamente previste dall’art. 59 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e costituendo l’appello, anche nel processo tributario, un gravame generale a carattere sostitutivo che impone al giudice dell’impugnazione di pronunciarsi e decidere sul merito della controversia (Cass., Sez. 5, 16 febbraio 2010, n. 3559; Cass., Sez. 5, 24 luglio 2018, n. 19579; Cass., Sez. 5, 29 ottobre 2021, n. 30898; Cass., Sez. Trib., 14 novembre 2023, n. 31636; Cass., Sez. Trib., 8 luglio 2024, nn. 18650 e 18656).

Per cui, posto che il giudice di appello ha proceduto a pronunciarsi e a decidere la controversia confermando nel merito la sentenza di primo grado, il motivo è palesemente inammissibile per difetto di interesse (art. 100 cod. proc. civ.) (Cass., Sez. 5, 29 ottobre 2021, n. 30898).

Peraltro, il ricorrente non ha in alcun modo dedotto quali siano gli specifici aspetti che la discussione avrebbe consentito di evidenziare o di approfondire, colmando lacune e integrando gli argomenti ed i rilievi già contenuti nei precedenti atti difensivi, tenuto conto del fatto che l’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nel consentire la denuncia di vizi di attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza del denunciato error in procedendo (Cass., Sez. 5, 24 luglio 2018, n. 19579).

3. Con il secondo motivo, si denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 1, comma 2, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essere stato omesso dal giudice di secondo grado di pronunciarsi sul motivo di appello circa la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 del D.L. lgt. 1 dicembre 1918, n. 1446, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 aprile 1925, n. 473, in materia di consorzi tra gli utenti per la manutenzione, la sistemazione e la ricostruzione delle strade vicinali, in relazione alla carente motivazione della cartella di pagamento sugli atti presupposti.

Con il terzo motivo, si denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 1, comma 2, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essere stato omesso dal giudice di secondo grado di pronunciarsi sul motivo di appello circa l’adeguatezza motivazionale della cartella di pagamento in relazione alle prescrizioni dell’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212.

3.1 I predetti motivi – la cui stretta ed intima connessione consiglia la trattazione congiunta per la comune attinenza alla motivazione della cartella di pagamento – sono inammissibili sotto un duplice profilo.

3.2 Difatti, il ricorrente non ha riportato né trascritto, nel corpo del ricorso, i motivi di appello di cui si lamenta l’omessa pronuncia, essendosi limitato a fare un vago e generico cenno alle questioni controverse della carenza di motivazione, della mancanza di atti prodromici e del difetto del presupposto impositivo.

Invero, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, è inammissibile, per violazione del criterio dell’autosufficienza, il ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte (tra le tante: Cass., Sez. 2, 20 agosto 2015, n. 17049; Cass., Sez. 5, 21 novembre 2019, n. 30381; Cass., Sez. 5, 23 luglio 2020, n. 15735; Cass., Sez. 5, 24 dicembre 2020, n. 29522; Cass., Sez. 5, 18 novembre 2021, n. 35135; Cass., Sez. 5, 24 novembre 2021, n. 36393; Cass., Sez. 5, 14 dicembre 2021, n. 39869; Cass., Sez. Trib., 23 dicembre 2022, n. 37753; Cass., Sez. 3, 24 ottobre 2023, n. 29529; Cass., Sez. Trib., 23 gennaio 2024, n. 2316).

Il collegio non ignora che un recente arresto di questa Corte ha mitigato il rigore della richiamata esegesi, affermando che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, secondo il quale, ove si denunci la mancata pronuncia su motivi d’appello, è necessario che questi ultimi siano riportati nell’atto d’impugnazione, deve essere interpretato in maniera elastica, in conformità all’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte – oggi recepita dal nuovo testo dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., come novellato dall’art. 3, comma 27, lett. d, del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 – dovendosi perciò ritenere che la trascrizione del motivo non sia indispensabile, a condizione che il suo contenuto sia sufficientemente determinato in modo da renderlo pienamente comprensibile e ne sia fornita una specifica indicazione, tale da consentirne l’individuazione nell’ambito dell’atto di appello (in termini: Cass., Sez. 1, 2 maggio 2023, n. 11325).

Ad ogni buon conto, il ricorrente neppure ha assolto l’onere così attenuato, non avendo prodotto in questa sede l’atto d’appello, né avendo illustrato in modo esaustivo il contenuto petitorio dei motivi di appello.

4. In conclusione, alla stregua delle suesposte argomentazioni, si deve dichiarare l’inammissibilità del ricorso.

5. Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.

6. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

 

P.Q.M.

La Corte

– dichiara l’inammissibilità del ricorso;

– condanna il ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore del controricorrente, liquidandole nella misura di euro 200,00 per esborsi e di Euro e00,00 per compensi, oltre a rimborso forfettario nella misura del 15% sui compensi e ad altri accessori di legge;

–dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 17 dicembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2025.

Allegati

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