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Cassazione civile sez. trib., 26/02/2025, n. 5008

Massima

In tema di responsabilità del professionista che appone il visto di conformità infedele, la competenza all’iscrizione a ruolo della sanzione spetta inderogabilmente alla direzione regionale dell’Agenzia delle entrate individuata in ragione del domicilio fiscale del trasgressore e non all’ufficio competente in relazione al domicilio fiscale del contribuente assistito; l’inosservanza di tale regola di competenza determina l’illegittimità dell’atto impositivo. La questione dell’applicabilità della lex mitior sul quantum della sanzione diviene assorbita dalla declaratoria di incompetenza.

Supporto alla lettura

VISTO DI CONFORMITA’ INFEDELE

I professionisti abilitati e i Caf, incaricati alla presentazione del modello 730, sono tenuti a verificare che i dati presenti nella dichiarazione dei redditi siano conformi ai documenti esibiti dal contribuente e ne attestano la correttezza mediante l’apposizione del visto di conformità. La loro responsabilità, quindi, deriva dalla verifica della corrispondenza, rispetto alla documentazione presentata dal contribuente, dei dati contenuti nella dichiarazione e riguardanti:

  • l’ammontare delle ritenute (anche a titolo di addizionali);
  • le deduzioni dal reddito e le detrazioni d’imposta;
  • i crediti d’imposta.

Tale responsabilità, non si configura quando i dati dichiarati trovano corrispondenza nella documentazione acquisita in sede di apposizione del visto, anche nel caso in cui i dati in possesso dell’Amministrazione divergano dai dati dichiarati, in tale ipotesi, il controllo può essere proseguito nei confronti del contribuente.

La mancata corrispondenza dei dati presenti nel modello 730 rispetto alla documentazione esibita dal contribuente determina l’apposizione di un visto di conformità infedele per il professionista o il Caf che ha effettuato la trasmissione della dichiarazione. Qualora questo accada, colui che ha effettuato la diciìhiarazione è tenuto ad avvisare il contribuente al fine di procedere all’elaborazione e trasmissione all’Agenzia delle Entrate della dichiarazione rettificativa, tramite il modello 730 relativo al periodo d’imposta da rettificare.

Il rilascio di un visto di conformità infedele comporta per il Caf o il professionista abilitato l’applicazione di un regime sanzionatorio specifico di cui all’art. 39, c. 1, lett. a), del D. Lgs. 241/1997, infatti i soggetti che appongono il visto sono tenuti al pagamento di un importo pari al 30% della maggiore imposta riscontrata, sempre che il visto infedele non sia stato indotto dalla condotta dolosa o gravemente colposa del contribuente. Nel caso invece di trasmissione della dichiarazione rettificativa, la somma da versare è ridotta ai sensi dell’art. 13 del D. Lgs. 472/1997 (c.d. ravvedimento operoso).

Ambito oggettivo di applicazione

(omissis)

 

FATTI DI CAUSA

1. Il dott. (omissis), nella qualità di responsabile dell’assistenza Fiscale, quale professionista abilitato a tale incombente, su incarico del Centro autorizzato di assistenza fiscale (CAAF) “50EPiù Srl”, appose il proprio visto di conformità sui documenti allegati alla dichiarazione Modello 730/2015 (relativa all’ annualità d’imposta 2014) di un contribuente avente domicilio fiscale nel territorio di competenza dell’Ufficio dell’Agenzia delle entrate di Enna.

La direzione provinciale di Enna dell’Agenzia delle entrate sottopose a controllo formale ex art. 36-ter D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, la dichiarazione del contribuente assistito ed all’esito, ritenendo che il visto apposto fosse infedele, iscrisse a ruolo a carico del dott. Sc.Fa., ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. a), secondo periodo, D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, l’imposta (Irpef), la sanzione (pari al 30 per cento dell’imposta) e gli interessi “che sarebbero stati richiesti al contribuente”.

Notificata dall’Agenzia delle Entrate Riscossione la relativa cartella di pagamento allo stesso dott. Sc.Fa., quest’ultimo l’ha impugnata innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Enna, assumendo, tra l’altro, che a seguito della modifica dell’art. 39 D.Lgs. n. 241 del 1997, operata dalla legge 28 marzo 2019, n. 26 (che ha convertito in legge, con modifiche, il D.L. 28 gennaio 2019, n. 4), la quale costituirebbe lex mitior , anche colui che ha apposto il visto infedele a dichiarazioni presentate per l’anno 2014 e fino all’entrata in vigore della legge n. 26 del 2019, non avrebbe dovuto comunque rispondere dell’imposta, della sanzione e degli interessi che, secondo le risultanze del controllo formale, sarebbero stati richiesti al contribuente, ma solo del 30 per cento della maggiore imposta riscontrata. Infatti, il novellato art. 39, comma 1, lett. a), secondo periodo, D.Lgs. n. 241 del 1997, prevede, con riferimento alla medesima fattispecie, che coloro che abbiano apposto il visto di conformità siano tenuti al ” pagamento di una somma pari al 30 per cento della maggiore imposta riscontrata”, e non più ” di una somma pari all’importo dell’imposta, della sanzione e degli interessi che sarebbero stati richiesti al contribuente”, come nella versione previgente della medesima norma.

Inoltre, secondo il ricorrente, sulla base del dato letterale dell’art. 39, comma 2, D.Lgs. n. 241 del 1997, in parte qua rimasto invariato, l’ufficio dell’Agenzia delle entrate competente ad azionare la pretesa delle somme in questione – e nel caso di specie a provvedere alla formazione del ruolo, presupposto della cartella di pagamento notificata dall’agente della riscossione ed impugnata – avrebbe dovuto essere la “direzione regionale dell’Agenzia delle entrate competente in ragione del domicilio fiscale del trasgressore anche sulla base delle segnalazioni inviate dagli uffici locali della medesima Agenzia” (ovvero la direzione regionale di Roma), e non l’ufficio (la direzione provinciale di Enna) competente in relazione al domicilio fiscale del contribuente assistito che si era rivolto al CAF.

La Commissione tributaria provinciale adita ha accolto il ricorso, ritenendo che la cartella dovesse essere annullata sia per l’incompetenza della Direzione provinciale di Enna, che aveva effettuato l’iscrizione a ruolo; sia per le carenze della sua motivazione, derivate dall’ assenza di un previo atto di contestazione.

L’Agenzia delle entrate ha proposto appello, che la Corte di Giustizia Tributaria di 2 grado della Sicilia, con la sentenza qui impugnata, ha rigettato.

Il giudice tributario d’appello ha premesso che ” riguardo ai motivi fatti valere dal Dott. Sc.Fa., e rimasti assorbiti, nel paragrafo dedicato alla “devoluzione” l’Agenzia ha riprodotto il contenuto dell’atto di costituzione nel 1 grado di giudizio, compresa la parte relativa alla asserita illegittimità della cartella di pagamento per incompetenza dell’Ufficio. (…) Nel ribadire la necessità di applicare il principio del favor rei, ai sensi dell’art. 3 del D.Lgs. 472/97, l’appellato ha riproposto il (4) motivo del ricorso di 1 grado, non esaminato dalla CTP, con cui aveva fatto valere “l’incompetenza dell’ufficio che ha formato l’iscrizione a ruolo”. (…) l’appellato ha riproposto il (4) motivo del ricorso di 1 grado, non esaminato dalla CTP, con cui aveva fatto valere “l’incompetenza dell’ufficio che ha formato l’iscrizione a ruolo”. Il Collegio intende esaminare in via pregiudiziale tale motivo, che ritiene fondato e assorbente.”.

Tanto premesso, la stessa CGT2, all’esito di diffusa argomentazione in diritto, ha poi concluso che “ha ragione l’appellato ad affermare che a contestare le violazioni al RAF, e ad applicare la sanzione, avrebbe dovuto essere la Direzione Regionale di Roma, ove ha sede la 50EPiù Srl, a cui l’Ufficio di Enna avrebbe potuto segnalare la violazione commessa dal RAF.”.

Pertanto, il giudice a quo ha così deciso: “(…) rigetta il ricorso in epigrafe, accoglie il 4 motivo di ricorso proposto dal ricorrente in 1 grado, e per l’effetto annulla la sentenza appellata.”.

Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, l’Agenzia delle entrate.

Il dott. Sc.Fa. si è difeso con controricorso e successiva memoria.

L’Agenzia delle entrate-riscossione è rimasta intimata.

 

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate deduce ” Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39, comma 1 lett. a) e comma 2 del D.Lgs. n. 241/97 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.”, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto l’incompetenza funzionale e territoriale dell’ufficio che ha emesso il ruolo, poiché le trasgressioni di cui è causa andavano contestate dalla competente Direzione Regionale, in ragione del domicilio fiscale del trasgressore, con conseguente nullità della cartella impugnata.

Preliminarmente, deve darsi atto che la sentenza impugnata, a prescindere dall’improprietà della formula del relativo dispositivo, ha, nella sostanza, inequivocabilmente rigettato l’appello erariale avverso la sentenza di primo grado, confermando l’annullamento della relativa cartella per il vizio di incompetenza funzionale e territoriale denunziato dal dott. Sc.Fa. sin dall’atto introduttivo.

Tanto premesso, il motivo è infondato. Infatti, con riferimento alla medesima fattispecie, pronunziando tra le stesse parti, questa Corte ha già chiarito che la responsabilità, prevista dall’art. 39, comma 1, lett. a), secondo periodo, del D.Lgs. n. 241 del 1997 (ratione temporis applicabile), dei soggetti che rilasciano il visto di conformità o l’asseverazione infedeli, relativamente alla dichiarazione dei redditi presentata con le modalità di cui all’art. 13 del D.M. n. 164 del 1999, ha una funzione anche punitiva; ne consegue che, ai sensi del comma 2 del citato art. 39, la competenza all’iscrizione a ruolo, nei confronti dei medesimi soggetti, di una somma pari all’importo dell’imposta, della sanzione e degli interessi che sarebbero stati richiesti al contribuente, appartiene alla direzione regionale dell’Agenzia delle entrate, individuata in ragione del domicilio fiscale del trasgressore e non può essere derogata, pena l’illegittimità dell’atto compiuto in violazione di tale attribuzione (Cass. n. 11660/2024; conformi, tra le stesse parti, Cass. n. 14796/ 2024; Cass. n. 14792/2024; Cass. n. 14787/2024; Cass. n. 14785/2024; Cass. n. 14779/2024; Cass. n.14750/2024; Cass. n. 14749/2024; Cass. n. 14745/2024; Cass. n. 14699/2024; Cass. n. 14578/2024; Cass. n. 11818/2024; Cass. n. 11806/2024; Cass. n. 11799/2024; Cass. n. 11790/2024).

Il Collegio, non ravvisando nelle difese delle parti argomenti per discostarsi da tale orientamento – cui intende dare ulteriore continuità, richiamando le motivazioni degli arresti precedenti già citati- ritiene pertanto di rigettare il primo motivo di ricorso.

2. È inammissibile il secondo motivo di ricorso, con il quale si deduce ” Violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 39 del D.Lgs. n. 241/1997 e 3 comma 3 D.Lgs. n. 472/97 in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3 c.p.c. “, censurando la sentenza di secondo grado per aver riconosciuto l’applicabilità del principio del favor rei, con conseguente applicazione ai fatti di cui è causa dell’art. 39 del D.Lgs. n. 241/1997 come riformulato dal D.L. n. 26/2019, e quindi con imputazione all’intermediario delle sole sanzioni, limitate al 30 %, per il rilascio del visto infedele, e non anche della maggiore imposta dovuta dal contribuente e degli interessi.

Infatti, la ratio decidendi della sentenza impugnata si esaurisce nella rilevata illegittimità della cartella di pagamento per incompetenza dell’Ufficio, vizio espressamente definito assorbente dell’ulteriore questione della rilevanza o meno dello ius superveniens, riproposta dall’appello erariale e potenzialmente incidente, di per sé sola, esclusivamente sul quantum oggetto della stessa cartella.

Il secondo motivo di ricorso, senza censurare tale assorbimento, attinge dunque una ratio decidendi che manca nella sentenza impugnata, proprio perché ritenuta assorbita dal giudice a quo.

In ogni caso, il secondo motivo sarebbe comunque assorbito in questa sede, per effetto della conferma della sentenza impugnata in ordine alla rilevata illegittimità per incompetenza della cartella di pagamento, che, a monte, incide integralmente su quest’ultima, a prescindere da an e quantum delle singole pretese in essa contenute.

3. In considerazione della novità della questione e della conseguente recente formazione di un pur nutrito orientamento di legittimità in materia, le spese di legittimità si compensano.

Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1- quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2025.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2025.

Allegati

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