(omissis)
RILEVATO CHE:
1. Con l’avviso di accertamento n. (omissis) notificato alla G E P Detergents Srl, l’Agenzia delle Entrate per l’anno d’imposta 2006 recuperava a tassazione maggiori ricavi per Euro 176.384,76 e minori costi per Euro 81.500,00; in particolare l’Amministrazione procedeva alla quantificazione dei ricavi in via induttiva contestando la sussistenza di conti cassa in negativo, rilevando numerosi apporti di cassa effettuati in contanti dal legale rappresentante della società e ipotizzando la falsa apparenza di una informale capitalizzazione giustificata in contabilità quale apporto del socio o quale finanziamento infruttifero. L’amministrazione recuperava, altresì, dei costi ritenuti indeducibili per difetto del requisito dell’inerenza.
2. La società impugnava l’avviso di accertamento innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Lecce. L’Agenzia delle Entrate si sostituiva in giudizio eccependo l’inammissibilità del ricorso e deducendone l’infondatezza nel merito.
3. La CTP di Lecce accoglieva parzialmente il ricorso riconoscendo i costi ritenuti indeducibili dall’Ufficio e confermando nel resto l’atto di accertamento, con la sentenza n. 254/01/12 del 25/05/2012.
4. La società contribuente impugnava la sentenza innanzi alla CTR di Bari, sez. stacc. di Lecce; l’Agenzia delle Entrate si costituiva in giudizio spiegando appello incidentale e chiedendo il rigetto dell’impugnazione principale. La CTR di Bari, stacc. di Lecce, con la sentenza n. 1065/22/2016 depositata il 26/04/2016 ha accolto l’impugnazione principale annullando l’accertamento quanto ai maggiori ricavi, ha accolto solo parzialmente l’impugnazione incidentale circa i minori costi non ritenuti inerenti e deducibili e ha compensato le spese di giudizio.
5. Avverso la pronuncia della CTR di Bari, sez. stacc. di Lecce, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione articolato su due motivi. La G. E P. DETERGENTS Srl, che ha ricevuto rituale notifica del ricorso, è rimasta intimata.
6. Il ricorso è stato trattato dal Collegio nella camera di consiglio del 10/09/2024.
CONSIDERATO CHE:
1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39, primo comma, lett. d), D.P.R. 29/09/1973, n. 600 e dell’art. 54, D.P.R. 26/10/1972, n. 633 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. In particolare l’Ufficio ricorrente critica la sentenza impugnata perché, pur in presenza di incontroversi saldi di cassa negativi, ha affermato che «l’esame delle movimentazioni finanziarie da sole non prova l’emersione di fatti economici occulti se tale passaggio non viene dimostrato e provato» e ha escluso che si potesse ipotizzare «senza alcuna prova che vi fossero stati ricavi in nero, ricavi che dalla documentazione agli atti e dalle evidenze contabili non si riscontrano».
1.1. Il motivo di ricorso è fondato atteso che la motivazione, privando di rilievo la acclarata sussistenza di saldi di cassa negativi e attribuendo all’Ufficio un onere probatorio ulteriore, viola il principio di diritto più volte affermato da questa Corte secondo il quale: «in tema di accertamento induttivo del reddito d’impresa ai fini IRPEG ed IVA, ai sensi degli artt. 39 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 54 del D.P.R. n. 633 del 1972, la sussistenza di un saldo negativo di cassa, implicando che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degli introiti registrati, oltre a costituire un’anomalia contabile, fa presumere l’esistenza di ricavi non contabilizzati in misura pari almeno al disavanzo. (Fattispecie relativa ad impresa individuale in cui la S.C. ha fatto riferimento al principio ragioneristico, di portata generale, per il quale la chiusura in rosso di un conto di cassa significa che le voci di spesa sono entità superiore agli introiti)» (Cass. 26/03/2020, n. 7538). Si consideri, ulteriormente, che «in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, mentre si determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili» (Cass. 29/01/2024, n. 2928).
2. Con il secondo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate deduce la nullità della sentenza ai sensi degli artt. 36, comma 2, D.Lgs. 31/12/1992, n. 546, 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. In particolare la parte ricorrente lamenta che la sentenza impugnata avrebbe omesso ogni coerente motivazione circa la pretesa illegittimità del recupero a tassazione operato dall’accertamento per difetto dell’inerenza e della deducibilità dei costi.
2.1. il motivo è fondato: sul punto la motivazione della sentenza si limita ad osservare che «nel corso del giudizio, sia in primo che in secondo grado, il ricorrente si è affannato a spiegare e dimostrare l’inerenza delle attività di cui alle fatture. La Commissione esaminate le argomentazioni proposte dal ricorrente ritiene che i costi relativi alle fatture 82 e 97 debbano essere ritenuti deducibili ed il rilievo annullato». La sentenza impugnata, per questa via, non offre alcuna motivazione circa l’accoglimento delle ragioni del contribuente, non esamina le argomentazioni contrapposte delle parti, non esercita alcun vaglio critico dei motivi di fatto e di diritto che militavano per l’accoglimento dell’una e dell’altra soluzione e si limita ad una motivazione valutabile come apparente. In proposito assume rilievo il principio di diritto costantemente affermato da questa Corte, secondo il quale «in tema di ricorso per cassazione, è nulla, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., la motivazione solo apparente, che non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza di appello motivata per relationem alla sentenza di primo grado, attraverso una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame» (Cass. 25/10/2018, n. 27112).
3. Il ricorso deve, allora, essere accolto con cassazione della pronuncia impugnata e rinvio alla Corte di giustizia tributaria competente per un nuovo esame.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado di Bari, sez. stacc. di Lecce, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 10 settembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2024.
