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Cassazione civile sez. trib., 22/04/2024, n. 10785

Massima

È affetta da nullità per motivazione apparente, integrante violazione di legge costituzionalmente rilevante (art. 111 Cost. e art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., nonché art. 36 D.Lgs. n. 546/1992), la sentenza del giudice tributario d’appello che si limiti ad accogliere integralmente il gravame del contribuente mediante una mera adesione acritica ai motivi di appello, senza alcun autonomo esame critico delle argomentazioni del giudice di primo grado e delle controdeduzioni dell’Ufficio, e senza esplicitare le ragioni logico-giuridiche a fondamento della riforma, rendendo incomprensibile l’iter formativo del proprio convincimento e precludendo ogni effettivo controllo sulla correttezza e logicità della decisione.

Supporto alla lettura

PROCESSO TRIBUTARIO

Il Processo Tributario è un procedimento giurisdizionale che ha ad oggetto le controversie di natura tributaria tra il contribuente e l’amministrazione finanziaria, è disciplinato nel d.lgs. 546/1992 e non è incluso in nessuna delle giurisdizioni indicate dalla Costituzione, rappresenta quindi un’eccezione giustificata dal grande tecnicismo della materia.

Il 03 gennaio 2024 è stato pubblicato in G.U. il d.lgs. 220/2023 recante disposizioni in materia di contenzioso tributario, le quali vanno a modificare il d.lgs. 546/1992, e sono da collocare in attuazione della L. 111/2023, con la quale è stata conferita delega al Governo per la riforma fiscale.

Ambito oggettivo di applicazione

RILEVATO CHE:

1. L’Agenzia delle entrate ricorre nei confronti della Le.I.Ma. Srl, che resiste con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe. Con quest’ultima la C.t.r. ha accolto l’appello della contribuente avverso la sentenza della C.t.p. di Palermo che aveva accolto solo parzialmente il ricorso avverso l’avviso di accertamento col il quale l’Ufficio aveva recuperato a tassazione, ai fini Ires, Iva ed Irap, maggiori ricavi e, per l’effetto, ha accolto integralmente l’originario ricorso.

CONSIDERATO CHE:

1. Con l’unico motivo l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 4 e 5, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per motivazione apparente e violazione dell’art. 36 D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e dell’art. 132 cod. proc. civ., nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 62 sexies d.l. 30 agosto 1993 n. 331, e dell’art. 39, primo comma, lett. d) d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.

Censura la sentenza impugnata per aver accolto l’appello senza esporre le ragioni logico giuridiche a fondamento della decisione e per essersi limitata a riprodurre i motivi di impugnazione richiamandoli per relationem ed accogliendoli.

2. Preliminarmente va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla controricorrente sul presupposto del difetto di specificità.

2.1. Costituisce essenziale requisito del ricorso per cassazione, prescritto dall’art. 366 n. 3 cod. proc. civ., l’esposizione sommaria dei fatti sostanziali e processuali della vicenda, la cui mancanza, impedendo alla Corte di comprendere l’oggetto della pretesa ed il tenore della sentenza impugnata in coordinamento con i motivi di censura, determina l’inammissibilità del ricorso, essendo la suddetta esposizione funzionale alla verifica dell’ammissibilità, pertinenza e fondatezza delle censure proposte (ex plurimis, Cass., 24/04/2018, n. 10072). In particolare, il requisito della “esposizione sommaria dei fatti della causa” (art. 366, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), che deve avere ad oggetto sia i fatti sostanziali che i fatti processuali necessari alla comprensione dei motivi, è in stretto rapporto di complementarietà con quello della “esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione” (n. 4 dell’art. 366 cod. proc. civ.), essendo l’esposizione sommaria dei fatti funzionale a rendere intelligibili, da parte della Corte, i motivi di ricorso formulati. L’esposizione sommaria dei fatti della causa, per essere funzionale alla comprensione dei motivi, dev’essere “sintetica”, come si evince dal richiamo al suo carattere “sommario”, e, in ogni caso, deve essere assolta necessariamente con il ricorso e non può essere ricavata da altri atti, quali la sentenza impugnata o il controricorso, perché la causa di inammissibilità non può essere trattata come una causa di nullità cui applicare il criterio del raggiungimento dello scopo, peraltro, riferibile ad un unico atto (Cass., 22/09/2016, n. 18623).

Non costituisce, invece, condizione necessaria la corretta menzione dell’ipotesi appropriata, tra quelle in cui è consentito adire il giudice di legittimità, purché si faccia valere un vizio della decisione astrattamente idoneo a inficiare la pronuncia (Cass. 21/01/2013, n. 1370).

2.2. Nella specie, il ricorso per cassazione, – fondato, a prescindere da quanto indicato nell’epigrafe del motivo, esclusivamente sulla mancanza della motivazione della sentenza impugnata – rispetta il “modello legale” apprestato dall’art. 366 cod. proc. civ.; infatti, attraverso il confronto tra l’esposizione del contenuto della sentenza di primo grado, i motivi di appello e le ragioni del decisum consente a questa Corte di avere contezza del rapporto giuridico sostanziale originario da cui è scaturita la controversia, e di valutare la pertinenza dei motivi, cosicché, dalla sua lettura è possibile non solo la ricostruzione della vicenda processuale, ma anche l’individuazione della specifica censura rivolta alla sentenza impugnata.

3. Il motivo di ricorso è fondato.

3.1. La C.t.r., dopo aver sinteticamente esposto le ragioni spese dal giudice di primo grado ed i motivi di appello proposti dalla contribuente, ha illustrato le ragioni sottese al decisum, affermando testualmente: “per i trattati motivi di appello la sentenza impugnata appare erronea ed illegittima e dovrà, pertanto, essere riformata totalmente, con conseguente accoglimento dell’originario ricorso introduttivo”.

3.2. Le Sezioni Unite della Corte hanno precisato che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; è esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione. (Cass. Sez. U. 07/04/2014, nn. 8053 e 8054).

Pertanto, si è in presenza di una “motivazione apparente” allorché questa, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è quella perplessa e incomprensibile; in entrambi i casi l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (Cass. S. U 03/11/2016 n. 22232).

3.3. Quanto alla motivazione per relationem agli atti di parte, le Sezioni Unite della Corte hanno evidenziato che il difetto o l’apparenza della stessa vanno denunciati e valutati di per sé, con esclusivo riferimento al contenuto oggettivo della sentenza, quindi indipendentemente dal fatto che essa sia stata redatta attraverso la ricopiatura di altri atti (cfr. Cass. Sez. U. 16/01/2015, n. 642). Ciò non esclude, tuttavia, che il fulcro della motivazione stia nell’intellegibilità del percorso argomentativo. Si è chiarito, in tal senso che la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte, senza niente aggiungervi, non è nulla a condizione che le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo (Cass. 06/10/2022, n. 29082, Cass. 07/11/2016, n. 22562). In questo senso si è precisato che è nulla per mancanza sotto il profilo sia formale che sostanziale del requisito di cui all’art. 132, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., la sentenza la cui motivazione consista nel dichiarare sufficienti i motivi esposti nell’atto che ha veicolato la domanda accolta, senza indicare la ragione giuridica o fattuale che il giudice abbia ritenuto di condividere (Cass. 23/03/2017 marzo 2017, n. 7402). Ugualmente, si è ritenuta nulla la sentenza motivata mediante mera adesione acritica all’atto d’impugnazione, senza indicazione delle ragioni di condivisione (Cass. 14/10/2015, n. 20648).

3.4. La sentenza impugnata, non risponde a detti requisiti minimi restando del tutto oscure le ragioni che hanno indotto la C.t.r. a ritenere illegittimo, e per giunta integralmente illegittimo, il recupero a tassazione di cui all’atto impositivo.

La C.t.r. ha in primo luogo ricostruito la sentenza di primo grado evidenziando che la C.t.p. aveva affermato che gli studi di settore costituivano un indizio di maggiori ricavi che necessitava, tuttavia, di essere integrato da altri elementi; che l’Ufficio correttamente aveva fatto riferimento alla tipologia di impresa indicata dalla stessa contribuente; che quest’ultima si era limitata a criticare lo studio di settore senza indicare quale fosse lo strumento corretto.

Successivamente, ha sintetizzato i motivi di appello evidenziando che la contribuente aveva sostenuto che l’Ufficio non aveva dimostrato che le presunzioni fondate sugli studi di settore fossero gravi precise e concordanti; che la scelta della categoria di impresa di riferimento era obbligata; che i maggiori ricavi erano stati determinati solo in ragione dello scostamento dagli studi di settore in mancanza di altri elementi; che il valore dei ricavi era stato rideterminato dalla C.t.p. in modo arbitrario; che la sentenza non aveva tenuto conto della correlazione tra costi e ricavi.

Così ricostruito l’oggetto del giudizio la C.t.r. si è limitata ad affermare che la sentenza di primo grado era illegittima e che il ricorso del contribuente andava accolto integralmente.

La C.t.r., pertanto, ha prestato un’adesione acritica ai motivi di appello, tutti indistintamente, senza nessun confronto con quanto esposto dalla C.t.p. a fondamento dell’accoglimento parziale e con le controdeduzioni dell’Ufficio; inoltre, nel sintetizzare i motivi di gravame, nemmeno si è fatta carico di indicare puntualmente il percorso logico seguito dalla parte appellante a sostegno dei medesimi; di conseguenza, risulta del tutto incomprensibile il ragionamento che ha indotto la C.t.r. a ritenere che la sentenza della C.t.p. dovesse essere “riformata totalmente”, sì da doversi escludere che vi sia una, se pure minima motivazione, ancorché, eventualmente, per relationem.

4. Ne consegue, in accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, la quale provvederà al riesame, fornendo congrua motivazione, e al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma il 21 marzo 2024.

Depositata in Cancelleria il 22 aprile 2024.

Allegati

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